Che cosa significa “disbrigo degli affari correnti”

Quando il presidente del consiglio dà le dimissioni, si dice che il governo “resta in carica per il disbrigo degli affari correnti”. Vediamo cosa significa e quali sono i limiti all’azione di un governo dimissionario.

Definizione

Quando un governo è dimissionario, deve comunque restare in carica fino a che non se ne sia insediato uno nuovo. Il motivo è che un paese non può restare senza governo, cioè privo del vertice esecutivo e amministrativo dello stato. Si pensi agli atti dovuti (perché imposti dalle leggi) o urgenti che quotidianamente richiedono l’attività dell’esecutivo, sia collegialmente (in consiglio dei ministri) sia dei singoli ministeri. L’assenza del governo comporterebbe una paralisi amministrativa.

Allo stesso tempo, avendo dato le dimissioni, il governo uscente non ha più la stessa legittimazione politica di uno nel pieno delle sue funzioni. Per questa ragione, pur non essendo disciplinato in modo specifico dalla costituzione, la prassi prevede che il governo resti in carica per “il disbrigo degli affari correnti”. È con questa espressione che il Quirinale, nel prendere atto delle dimissioni del presidente del consiglio, invita il governo a restare in carica per garantire la continuità nell’azione amministrativa.

Il presidente della repubblica, Sergio Mattarella, ha ricevuto al palazzo del Quirinale il presidente del consiglio dei ministri, prof. Mario Draghi, il quale, dopo aver riferito in merito alla discussione e al voto di ieri presso il senato, ha reiterato le dimissioni sue e del governo da lui presieduto. Il presidente della repubblica ne ha preso atto. Il governo rimane in carica per il disbrigo degli affari correnti.

Ma cosa significa nello specifico l’espressione “disbrigo degli affari correnti“? Nell’ampiezza di questa formula (come vedremo dibattuta tra gli stessi costituzionalisti), dagli anni ’80 si è affermata la consuetudine, per i presidenti del consiglio uscenti, di esplicitare in un’apposita direttiva i confini dell’azione politico-amministrativa del proprio governo.

Si tratta di un atto di autolimitazione, con cui l’esecutivo si impegna a limitarsi ad assicurare la continuità amministrativa, ad attuare determinazioni già assunte dal parlamento e ad adottare solo atti urgenti. Non c’è un contenuto rigidamente preordinato, ma dei principi guida cui attenersi, enucleati dalla dottrina, per cui il governo dovrà:

(…) compiere gli atti dovuti (obbligatori) e tutti quelli la cui proroga comporterebbe un apprezzabile danno dello stato, mentre dovrà astenersi, sul piano della correttezza politica, da tutti quegli atti discrezionali che possono essere rinviati al futuro governo senza apprezzabile danno.

In concreto questi limiti si traducono nel:

  • non esaminare nuovi disegni di legge, a meno che non siano imposti da obblighi internazionali;
  • approvare decreti legislativi solo se serve ad evitarne la scadenza dei termini;
  • non adottare nuovi regolamenti ministeriali o governativi, a meno che la legge o obblighi internazionali non impongano altrimenti, oppure che siano necessari per l’operatività della pubblica amministrazione o per l’attuazione di riforme già approvate dal parlamento;
  • non procedere con nomine o designazioni che non siano vincolate nei tempi da leggi o regolamenti, o che comunque non siano procrastinabili fino all’entrata in carica del nuovo governo.

Mentre invece è possibile:

  • emanare decreti legge (in quanto, in base all’art. 77 della costituzione, dettati da casi di necessità e urgenza) ed esaminare i relativi disegni di conversione;
  • esaminare i disegni di legge di ratifica dei trattati, i ddl di delegazione europea e della legge europea (se si tratta di atti dovuti, in quanto adempimento ad obblighi internazionali o derivanti dall’appartenenza all’Ue).

Questo vale in linea generale, in concreto ogni direttiva è uno strumento dotato di grande flessibilità. Perciò il concetto di “affari correnti” ha un perimetro variabile, che si può comprendere meglio solo attraverso l’analisi delle singole direttive dei presidenti del consiglio.

La gestione delle emergenze rientra tra gli “affari correnti”.

Nel caso delle dimissioni del governo Draghi, il presidente della repubblica, nel messaggio in cui annunciava lo scioglimento delle camere, se da un lato ha riconosciuto che i poteri di un governo dimissionario sono comunque soggetti a delle limitazioni, dall’altro ha affermato come quest’ultimo abbia tutti gli strumenti per operare. Sottintendendo in questo senso un perimetro piuttosto ampio per l’operatività del governo. Ciò al fine di contrastare gli effetti della crisi economica (con particolare riferimento alla crescita dell’inflazione), di portare a compimento le scadenze relative al piano nazionale di ripresa e resilienza e a contrastare la recrudescenza del coronavirus.

Dati

La consuetudine dei presidenti del consiglio di delimitare i poteri del proprio governo, pur essendo ormai affermata da alcuni decenni, non è semplice da ricostruire. Non solo perché manca un chiaro perimetro normativo che vada oltre la prassi. Ma anche per la stessa reperibilità di questi documenti: si tratta di atti interni della presidenza del consiglio, non soggetti alla pubblicazione in gazzetta ufficiale (Elisabetta Catelani, Osservatorio sulle fonti 2/2018). Inoltre, trattandosi di un atto di autolimitazione le differenze in termini di contenuti possono essere molto ampie.

Una analisi comparata delle direttive emanate tra 2001 e 2018 (Catelani, 2018) ha comunque consentito di individuare similitudini e differenze in questi atti. Dal punto di vista della struttura, tutte le direttive tendono a ripetersi secondo questo schema:

  1. obiettivi del governo nel periodo limitato al “disbrigo degli affari correnti”;
  2. indicazione dei limiti all’attività normativa, con enunciazione sommaria degli atti che potranno essere adottati;
  3. indicazione dei limiti alle nomine che è possibile effettuare;
  4. indicazione dei limiti nella gestione delle relazioni internazionali.

Non fanno eccezione le ultime direttive in ordine di tempo: ad esempio, in quella emanata da Giuseppe Conte alla fine del suo primo governo, nell’agosto 2019, viene riproposta questa stessa struttura, in paragrafi distinti.

9 le direttive in tema di disbrigo degli affari correnti che risultano adottate tra 2001 e 2021.

A cambiare sono ovviamente i contenuti. In gran parte per ragioni contigenti: ogni crisi non è mai uguale all’altra, e avviene in un contesto politico e sociale diverso. In concreto l’espressione “affari correnti”

(…) si riempie di contenuto a seconda della prassi e delle necessità del momento. Si tratta non solo della ordinaria amministrazione ma anche della risposta a eventi straordinari come è il caso di un sisma che rende indispensabile l’adozione di un decreto legge.

Un altro aspetto di forte variabilità nel perimetro degli affari correnti è il motivo per cui il governo è uscente. In questo senso nella letteratura sono stati individuati 3 casi (Catelani, 2018), che configurano poteri decrescenti per l’esecutivo in via di sostituzione:

  1. direttive di governi in carica allo scioglimento delle camere: in questi casi il governo limita la sua azione perché legato a una maggioranza politica espressa in un parlamento ormai sciolto. Ma l’incipit dell’atto precisa da subito che la ridefinizione dei poteri è imposta dal fisiologico scioglimento delle camere, e non da una crisi politica nella maggioranza, tanto meno da un voto di sfiducia. Da tale affermazione, consegue una maggiore libertà di azione nell’attività normativa (pur limitata), in particolare rispetto all’emanazione dei decreti legislativi. Negli ultimi venti anni, in questa fattispecie rientrano le direttive dei governi Amato II (10 marzo 2001), Berlusconi III (11 febbraio 2006), Gentiloni (29 dicembre 2017);
  2. direttive di governi dimissionari in corso di legislatura: in questi casi, essendo venuta meno la base parlamentare su cui si regge il governo (pur in assenza di voto di sfiducia esplicito), il governo precisa che si limiterà ad adottare solo atti urgenti e ad assicurare la continuità amministrativa. Viene anche specificato che i ministeri devono fare riferimento alla presidenza del consiglio nello svolgimento delle proprie attività. Ad esempio, la direttiva emanata dopo le dimissioni del Conte I prevedeva che “resta subordinata all’assenso della presidenza del consiglio dei ministri l’emanazione di regolamenti, direttive o circolari ministeriali“;
  3. direttive di governi sfiduciati in parlamento: la delegittimazione politica che deriva da un voto di sfiducia nelle camere tende a ridurre ancora di più i margini di azione autoimposti dall’esecutivo. È il caso del governo Prodi II, sfiduciato nel gennaio 2008. L’attività dei ministeri viene limitata in modo ancora più perentorio: “non saranno adottati regolamenti governativi o ministeriali, salvo che la legge preveda termini per la loro emanazione (…) o quest’ultima sia richiesta come condizione di rispetto degli obblighi derivanti dall’appartenenza all’Unione europea o di operatività delle pubbliche amministrazioni; saranno, comunque, approvati soltanto i regolamenti per i quali risulti già in stato avanzato il procedimento di adozione” (cit. in Catelani, 2018). I decreti legislativi possono essere emanati, ma il parere delle commissioni parlamentari da obbligatorio diventa vincolante per il governo: “qualora sia intervenuto il previsto parere parlamentare, si provvederà in coerenza con questo”.

Da questo punto di vista il governo Draghi rientra nel secondo caso, anche se in modo particolare per le modalità con cui si è svolta la crisi e per l’eccezionalità del periodo storico che stiamo attraversando. Le dimissioni infatti sono arrivate a pochi mesi dalla fine della legislatura. Le prime, successive ad un contrasto nella maggioranza di governo sul voto di fiducia al Dl aiuti, sono state respinte dal capo dello stato. Una forza della maggioranza (M5s) aveva infatti fatto venire meno la propria fiducia. Il governo non era stato sfiduciato, ma si era posto un problema politico (il cambiamento nella composizione della maggioranza di governo) che il Quirinale aveva chiesto di risolvere davanti alle camere (la cosiddetta “parlamentarizzazione della crisi”).

Il governo Draghi non è stato sfiduciato.

Di conseguenza, il presidente del consiglio ha reso comunicazioni al senato aprendo il dibattito in aula e ponendo la fiducia sulla risoluzione a sostegno dell’esecutivo presentata dal senatore Casini. Il governo non è stato sfiduciato perché tale risoluzione è stata approvata (quindi non si configura il caso 3).

FONTE: elaborazione e dati openpolis
(ultimo aggiornamento: giovedì 21 Luglio 2022)

Tuttavia la fiducia è arrivata da una minoranza dell'aula, poiché i senatori di Lega, Forza Italia e Movimento 5 stelle non hanno partecipato al voto. In questo modo è venuta meno la base parlamentare su cui si reggeva il governo per cui il presidente del consiglio ha reiterato le proprie dimissioni, stavolta accolte, con il conseguente scioglimento anticipato delle camere da parte del capo dello stato.

Analisi

La prassi degli affari correnti è il compromesso tra due necessità opposte. La prima, per un sistema democratico, è che un governo uscente non possa condizionare l'attività di quello che sta per entrare in carica. Per un principio di correttezza istituzionale, dovrà perciò astenersi dal varare misure che possono andare in contrasto con una nuova maggioranza politica: dalle scelte strategiche alle nomine in ruoli chiave. Allo stesso tempo, va assicurata una continuità di azione dei poteri pubblici, specialmente di fronte a crisi di governo che possono durare anche molte settimane prima di risolversi. Oppure di fronte a emergenze che richiedono scelte immediate.

Su dove stabilire questo confine, il dibattito è ampio tra gli stessi costituzionalisti. Alcuni interpretano la formula in senso restrittivo, distinguendo rigidamente tra atti ammministrativi, i soli consentiti ad un governo dimissionario, e atti politici, non consentiti (Miceli, Petrone, Huber, cit. in Pietro Virga, La crisi e le dimissioni del gabinetto). Tuttavia, nella difficoltà di tracciare una linea di demarcazione così netta nella realtà, la maggior parte degli autori ha una posizione intermedia. L'orientamento prevalente, in linea con i contenuti delle direttive, è quello di considerare la formula il "frutto di un autolimite di correttezza" istituzionale (Olivia Pini, Il principio di continuità dei poteri pubblici e della funzione amministrativa).

La contraddizione tra i due principi (correttezza istituzionale e continuità amministrativa) pone una serie di questioni. In primo luogo, i potenziali conflitti istituzionali sull'attività di un governo dimissionario. Un rischio che diventa ancora più grande in fasi di emergenza, in cui la gravità della situazione - e l'importanza delle misure da prendere - rende molto sottile il confine su cui si regge la prassi di "affari correnti".

L'altro aspetto critico è che, in assenza di una formalizzazione normativa, la definizione del perimetro del governo è rimessa ad una direttiva interna, una comunicazione del premier ai membri del governo che spesso non è di facile reperibilità, non rientrando tra gli atti pubblicati sulla gazzetta ufficiale. Tuttavia, nonostante si tratti di una prassi, una volta che il governo ha stabilito i propri confini questi sono stati ritenuti vincolanti dalla giurisprudenza (Cassese)

Davanti al Tar della Puglia, infatti, è stata contestata la validità di un provvedimento di revoca, adottato dall’allora ministro Pecoraro Scanio, non conforme con le previsioni contenute nella direttiva Prodi. I magistrati amministrativi hanno annullato l’atto di revoca, fondando l’illegittimità proprio sulla violazione della direttiva del Presidente del consiglio e della prassi costituzionale (cfr. Tar Puglia, Bari, sentenza n. 996 del 22 aprile 2008).

Perciò, nonostante si tratti di provvedimenti di autolimitazione del tutto consuetudinari, la loro importanza giustifica una maggiore trasparenza nella pubblicazione sui siti istituzionali.

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