Non ci sono più scuse per non pubblicare i dati sui bandi Covid Contratti pubblici

Il commissario Arcuri ha rigettato la nostra richiesta di accesso agli atti sui contratti pubblici stipulati durante l’emergenza. Con giustificazioni inaccettabili, ma anche in contraddizione con una recente sentenza del Consiglio di stato.

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Fin dall’inizio della crisi, abbiamo chiesto trasparenza nella gestione dell’emergenza Covid-19, in particolare sull’uso delle risorse pubbliche e sull’esito dei bandi.

Pensiamo sia il solo modo per consentire ai cittadini una valutazione obiettiva dell’azione politica e amministrativa di questi mesi. A maggior ragione nel momento in cui la gestione emergenziale riguarda sempre più aspetti della nostra vita. Non più solo l’ambito sanitario, ma anche il ritorno a scuola. E domani potenzialmente nuovi settori, come il funzionamento dei trasporti o di altri servizi.

Questa domanda di trasparenza si è tradotta in due atti formali: un  accesso civico generalizzato e un accesso semplice, per chiedere che tutti i bandi fossero resi pubblici.

Il 5 agosto scorso abbiamo ricevuto una risposta di diniego da parte del commissario Arcuri. Una replica che per molte ragioni consideriamo inammissibile. Perciò, il 31 agosto, abbiamo dovuto replicare con una richiesta di riesame per ribadire come la pubblicazione sia dovuta e il rifiuto sia contro la legge. Anche a questa ci è stato risposto negativamente, ribadendo la posizione iniziale.

Proviamo a fare chiarezza, riassumendo i termini della questione.

Dove è scritto che i bandi devono essere pubblici?

Lo indicano sia il decreto trasparenza che il codice degli appalti.

Il primo, all’articolo 23 – dal titolo “obblighi di pubblicazione concernenti i provvedimenti amministrativi” recita:

Le pubbliche amministrazioni pubblicano e aggiornano ogni sei mesi, in distinte partizioni della sezione «Amministrazione trasparente», gli elenchi dei provvedimenti adottati dagli organi di indirizzo politico e dai dirigenti, con particolare riferimento ai provvedimenti finali dei procedimenti di:
(…)
b) scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi, anche con riferimento alla modalità di selezione prescelta (…);
(…)
d) accordi stipulati dall’amministrazione con soggetti privati o con altre amministrazioni pubbliche

Una prescrizione ribadita anche nel codice degli appalti, all’art. 29:

Tutti gli atti delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori relativi alla programmazione di lavori, opere, servizi e forniture, nonche’ alle procedure per l’affidamento di appalti pubblici di servizi, forniture, lavori e opere (…) ove non considerati riservati ai sensi dell’articolo 53 ovvero secretati ai sensi dell’articolo 162, devono essere pubblicati e aggiornati sul profilo del committente, nella sezione “Amministrazione trasparente”.

Se gli obblighi sono chiari com’è possibile che il commissario non adempia e soprattutto, a fronte di specifiche richieste, si rifiuti?

Si gioca, come spesso succede in questi casi, con una certa ambiguità delle norme. In particolare quelle sulla trasparenza che nel nostro ordinamento hanno stratificato tre diversi diritti di accesso.

Si genera così confusione tra l’accesso documentale, regolamentato dalla legge 241 del 1990, per cui solo chi ha un interesse legittimo può accedere a determinate informazioni, l’accesso civico semplice, per cui chiunque ha diritto di chiedere il rispetto degli obblighi di pubblicazione specificamente previsti dalle norme (Dlgs 33/2013), e l’accesso civico generalizzato (o Foia, in forza del quale chiunque può accedere a dati e documenti detenuti dalle Pa – anche se non oggetto di specifici obblighi di pubblicazione – nel rispetto di alcuni limiti prestabiliti).

Come funziona il Foia in Italia

Le tre tipologie convivono con grande difficoltà nell’ordinamento, creando continui contenziosi. Perché chi è chiamato ad interpretarle sceglie quella che più si confa ai propri interessi. Nel caso specifico il commissario (così come altre Pa in passato) dice che l’accesso è consentito solo a chi ha un interesse specifico (accesso documentale).

Può farlo?

Non più. Perché il 2 aprile 2020 è intervenuto il massimo organo giurisdizionale del Consiglio di Stato, ossia l’Adunanza Plenaria  presieduta dal Presidente, per dirimere la questione.

Il caso era di un’azienda che chiedeva accesso agli atti – senza specificare se accesso documentale o Foia – della fase esecutiva di un bando a cui aveva partecipato, arrivando seconda.

Cosa ha stabilito la sentenza?

Diverse cose che fanno chiarezza sulle possibili interpretazioni della legge:

  1. il diritto di accesso generalizzato (Foia) si applica sempre e comunque alla materia dei contratti pubblici e riguarda tutti i documenti e le procedure di gara sia in fase di aggiudicazione (bandi, contratti, convenzioni, aggiudicatari, etc.) che in fase di esecuzione (documenti e dati che consentono di verificare la corretta esecuzione di lavori, prestazioni, servizi rispetto a quanto previsto dai contratti);
  2. tale diritto trova dei limiti solo ed esclusivamente in casi particolari tassativamente previsti dalla legge (segreto, privacy, altro);
  3. il diritto di accesso generalizzato (Foia) si aggiunge e, in questo caso, sostituisce l’accesso documentale (interesse legittimo previsto dalla legge 241/1990). Il fatto, cioè, che il codice degli appalti preveda l’accesso documentale non soltanto non esclude quello generalizzato ma (nel caso specifico oggetto della sentenza) il soggetto al quale non si può concedere l’accesso documentale, perché non in condizione di dimostrare un interesse specifico, deve comunque poter accedere uti civis, come cittadino titolare di un diritto di sapere in base al Foia (right to know che si aggiunge al need to know)..

Ma allora perché il commissario all’emergenza insiste su questa posizione?

Per prendere tempo, forte del fatto che i costi per le richieste e i ricorsi sono interamente a carico del cittadino. Si tratta di un tipo di spese che, per i singoli e per le organizzazioni senza grandi risorse, sono difficilmente sostenibili.

Dunque che cosa possiamo fare?

Non possiamo che andare avanti sulla via giudiziaria e con la denuncia pubblica.

Per aumentare la consapevolezza sul tema, abbiamo messo online una piattaforma liberamente accessibile dove consultare e scaricare i dati finora resi disponibili.

Le spese per l’emergenza.

Naviga. Cerca. Scarica i dati.

In parallelo, abbiamo inviato la richiesta di riesame, per avere accesso completo agli atti dei bandi Covid.

Crediamo sia la strada giusta, per diverse ragioni:

  • quando chiediamo le informazioni stiamo esercitando un nostro chiaro diritto che è un diritto di tutti;
  • il commissario, non pubblicando e rifiutandosi di pubblicare, si rende responsabile di una violazione della legge, abusa del suo potere e delle sue funzioni;
  • chiediamo conto del rispetto dello stato di diritto, non delle promesse del commissario. Queste ci interessano poco, dato che si tratta di un funzionario pubblico soggetto alle norme e non di un rappresentante politico.

Siamo appena all’inizio, ma pensiamo che ormai non ci siano più scuse per non pubblicare i dati sui bandi.

Foto credit: Palazzo Chigi

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