L’Italia, l’Europa e l’aiuto pubblico allo sviluppo. Intervista a Luca De Fraia Cooperazione

Gli aiuti allo sviluppo si sono mostrati resilienti alla pandemia, anche se ancora una quota troppo elevata (13%) è destinata all’aiuto gonfiato. Rispetto ad altri paesi donatori però l’Italia è ancora lontana dagli impegni presi.

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Concord Europa, una federazione che raccoglie 2.600 Ong europee, ha pubblicato il rapporto AidWatch che ogni anno fa il punto sull’aiuto pubblico allo sviluppo (Aps) dei 28 paesi europei.

Abbiamo chiesto a Luca De Fraia, segretario generale aggiunto di ActionAid Italia quali sono le principali novità del rapporto AidWatch 2021, progetto al quale collabora sin dalle prime battute.

Il rapporto AidWatch si concentra su quattro principali indicatori, il primo e più semplice dei quali riguarda la quantità di risorse destinate dai paesi europei all’Aps nel 2020. Quali sono gli elementi principali da segnalare da questo punto di vista?

Il rapporto pubblicato quest’anno ha offerto la possibilità di valutare l’impatto della crisi pandemica Covid-19 sulle politiche dei paesi donatori. La buona notizia è la resilienza dell’aiuto pubblico allo sviluppo. I volumi di aiuto sono infatti aumentati, raggiungendo il volume record di 63 miliardi di euro, o lo 0,50% (al netto della Brexit). Un risultato raggiunto a dispetto delle giuste preoccupazioni di eventuali tagli motivati dalla necessità di riorientare la spesa pubblica nella lotta alla pandemia a livello domestico anche nei paesi donatori.

Alcuni paesi hanno fatto meglio di altri, come nel caso di Francia e Germania; altri hanno fatto meno bene, come nel caso dell’Italia. Ma abbiamo ora più che mai l’evidenza che le situazioni di crisi non possono fornire la giustificazione per ridurre gli aiuti. Al contrario: abbiamo la dimostrazione di come la cooperazione allo sviluppo è un bene comune da sostenere.

Il tema che più ha caratterizzato negli anni il rapporto AidWatch è quello dell’aiuto gonfiato. Ci spieghi di cosa si tratta, perché è stato così importante e qual è il suo impatto attuale?

Il rapporto AidWatch vuole essere uno strumento di verifica della concreta applicazione degli impegni in tema di cooperazione allo sviluppo da parte dell’Europa, che, ricordiamo, rappresenta il blocco più ampio nella comunità di donatori. In poche parole: uno strumento di accountability. Vogliamo essere in grado di poter offrire una risposta semplice alla domanda: quanta parte degli aiuti arriva nei paesi partner? Secondo questa prospettiva, escludiamo quelle tipologie di aiuto che prevedono spese realizzate negli stessi paesi donatori o che non generano nuovi flussi.

Si parla di aiuto gonfiato per le risorse contabilizzate come aiuto pubblico allo sviluppo – pur nel rispetto dei criteri e le regole fissate dai paesi dac – ma che non prevedono un effettivo trasferimento di fondi verso paesi in via di sviluppo. Vai a "Che cosa si intende per aiuto genuino e aiuto gonfiato"

Il caso più recente ed eclatante è quello dei costi, pur necessari, per il sostegno dei rifugiati che arrivano nei paesi donatori. Il peso della componente di aiuto gonfiato ha seguito nel tempo in modo significativo importanti processi sociali e politici come nel caso delle crisi migratorie e della cancellazione del debito. Ancora nel 2020 rappresenta il 13% dei volumi totali di aiuto.

Ogni anno ad aprile l’Ocse rilascia i dati preliminari su fondi stanziati in aps dai paesi Dac. Tra questi il rapporto tra aiuto pubblico allo sviluppo e reddito nazionale lordo (Aps/Rnl) che misura il contributo di ciascun paese nel settore della cooperazione in rapporto alla ricchezza nazionale.

In questo caso il rapporto Aps/Rnl è stato scomposto nelle principali componenti dell’Aps ovvero: il canale multilaterale, la spesa per i rifugiati nel paese donatore e il canale bilaterale al netto della spesa per i rifugiati.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Ocse
(ultimo aggiornamento: giovedì 16 Settembre 2021)

Gli ultimi due indicatori riguardano l’efficacia dell’aiuto e quanto questo sia orientato alla lotta alle diseguaglianze. Quali sono le strategie suggerite dal rapporto per andare incontro a questi obiettivi e quali i risultati più recenti?

Per tracciare la capacità dell’Unione europea e dei suoi stati membri di impiegare le risorse della cooperazione allo sviluppo in maniera efficace e utile alla lotta alle disuguaglianze dobbiamo affinare la nostra analisi. Dobbiamo, ad esempio, verificare in che misura la cooperazione europea è allineata agli obiettivi di sviluppo dei paesi partner o quante risorse sono indirizzate a beneficio dei paesi meno sviluppati (Least developed countries, secondo la definizione delle Nazioni unite).

I least developed countries (ldcs), ovvero i paesi a più basso tasso di sviluppo, sono uno dei gruppi di paesi cui sono destinate le risorse dell'aiuto pubblico allo sviluppo (Aps). Vai a "Che cosa sono i paesi Ldcs"

In molti casi si tratta di impegni di lunga data che devono ancora realizzati. Il rapporto AidWatch riprende alcune preoccupazioni rispetto all’eccessiva politicizzazione dell’aiuto europeo; un orientamento che ha le sue premesse in alcuni posizionamenti strategici come nel caso del consensus adottato nel 2017, nel quale quali già si lascia intendere l’intenzione di usare anche la cooperazione per perseguire interessi europei. Una scelta comprensibile dal punto di vista politico, ma che può avere impatti pesanti in termini di efficacia e lotta alle diseguaglianze. Ad esempio: l’imposizione di fatto di condizionalità (vedi il caso delle politiche migratorie), che erodono l’ownership nazionale dei processi di sviluppo; la scelta di paesi di intervento per motivi geopolitici anche secondo un’oggettiva valutazione dei bisogni.

Qual è infine a situazione fotografata da AidWatch per il nostro paese e quali le raccomandazioni?

La situazione della cooperazione allo sviluppo dell’Italia è rappresentata da volumi complessivi che non si allontanano da una percentuale assai contenuta: lo 0,22% del reddito nazionale lordo (Rnl), nel 2020. In termini assoluti si tratta di circa 3,6 miliardi di euro, con una perdita di circa 23 milioni sull’anno precedente.

È un risultato inadeguato per almeno due motivi: il pesante ritardo rispetto all’impegno internazionale che anche il nostro paese ha sottoscritto, ovvero investire in cooperazione lo 0,70% del Rnl, e quindi il mancato contributo alla realizzazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile a livello internazionale; la mortificazione degli sforzi dei tanti operatori e operatrici che, in diverse forme e ruoli, mantengono viva la nostra cooperazione. Il primo passo per rafforzare il ruolo dell’Italia non può che passare per un chiaro impegno per raggiungere l’obiettivo dello 0,70%, adesso ripreso anche da una nuova iniziativa: la campagna 070, che propone l’introduzione di uno strumento legislativo ad-hoc.

 

Foto credit: Aics twitter

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