Giovani che si sentono italiani tra discriminazione e integrazione Hate speech

Vivere da stranieri nel paese in cui sei nato e cresciuto può essere difficile. Una situazione in cui si trova un numero sempre maggiore di minori che da un lato si sentono italiani e dall’altro vivono un contesto fatto anche di discriminazione sia nella vita quotidiana che online.

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I discorsi d’odio (hate speech) sono purtroppo una realtà crescente delle nostre società. La diffidenza e la discriminazione verso il diverso infatti, sono sempre esistite, ma la diffusione di questi contenuti attraverso i social network amplifica enormemente la portata del fenomeno, estendendo la platea di chi può sentirsi colpito da affermazioni razziste o comunque discriminatorie.

Il termine hate speech deve essere inteso come l’insieme di tutte le forme di espressione che si diffondono, incitano, sviluppano o giustificano l’odio razziale, la xenofobia, l’antisemitismo ed altre forme di odio basate sull’intolleranza contro le minoranze. Vai a "Che cos’è l’hate speech e com’è regolamentato"

I minori stranieri in questo contesto sono colpiti due volte all’odio in rete. Come tutti i giovani, quale che sia la loro nazionalità, sono molto esposti a quello che leggono online, senza contare l’effetto moltiplicatore che può avere su un ragazzo vittima di atti di bullismo la condivisione sui social. A questo poi si aggiunge il fatto di essere stranieri e in quanto tali oggetto diretto o indiretto di espressioni d’odio.

Si tratta in molti casi di ragazzi che si sentono italiani e che pensano in Italiano. Nonostante questo ottenere la cittadinanza può essere per loro un percorso complesso, scoraggiando un già difficile processo di integrazione.

Libertà di espressione e discorsi d’odio

Quando si parla di hate speech bisogna tenere presente che il fenomeno ha molte sfaccettature e la loro gravità può variare sia in termini di contenuto e tono che rispetto al contesto e al ruolo ricoperto dall’autore. Da un lato quando i discorsi d’odio sono espliciti sono più gravi, a maggior ragione se rivolti contro minori. Dall’altro è più facile che gli utenti prendano le distanze da contenuti di questo tipo. In particolare, quando questi episodi emergono dall’anonimato è anche frequente che chi ha scritto il commento lo cancelli o lo rinneghi pubblicamente.

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Nel 2019 ad esempio, fece scalpore la foto di un bambino che lasciava una casa oggetto di sgombero portando via i suoi libri. Nonostante questa immagine non abbia dissuaso alcuni utenti da commenti odiosi, il risultato tutto sommato è stato quello di innescare ampio senso di solidarietà nei confronti del bambino e della sua famiglia.

Certo questo è un caso su cui ha inciso l’eco mediatico che si è sviluppato sulla vicenda. Ben diverso invece è quando la violenza verbale rimane all’interno di circuiti social più di nicchia.

Esistono poi altri tipi di contenuti che pur adottando un linguaggio meno aggressivo hanno comunque un impatto molto negativo. Questo perché essendo più difficili da inquadrare nel loro contenuto discriminatorio circolano più liberamente. Inoltre si tratta spesso di conteunti spesso pubblicati o rilanciati da figure con grande visibilità pubblica.

Post di questo tipo sono molto frequenti. Di recente ad esempio in reazione all’intenzione del nuovo segretario del Partito democratico di riportare al centro della discussione politica il tema dello ius soli, il senatore Pillon ha reagito con un post dai contenuti non violenti, ma che comunque possono risultare odiosi per molte persone.

Affermare infatti che la cittadinanza va meritata equivale a mettere in dubbio che bambini e i ragazzi nati e vissuti nel nostro paese meritino la cittadinanza. Un’affermazione che si presenta come una posizione politica legittima che può però essere offensiva per una fetta molto grande di bambini e ragazzi che frequentano scuole italiane, pensano in Italiano e si sentono italiani.

Ragazzi stranieri che si sentono italiani

Infatti se 20 anni fa gli studenti con cittadinanza straniera che frequentavano scuole italiane erano poco più di 196mila al già nel 2016 erano diventati oltre 826mila.

+76,2% il numero di studenti stranieri nelle scuole italiane tra gli anni accademici 2001/2002 e 2016/2017.

Una realtà cresciuta molto negli ultimi anni, che il paese dovrebbe fare ogni sforzo per integrare nella società. Si tratta infatti di bambini che in larga parte si sentono italiani e pensano in italiano.

Se si guarda i ragazzi stranieri che frequentano le scuole secondarie sono il 37,8% quelli che dichiarano di sentirsi italiani, dato che sale al 47,5 per i ragazzi nati in Italia.

FONTE: Istat
(ultimo aggiornamento: martedì 6 Aprile 2021)

Dai dati emerge chiaramente come solo i ragazzi arrivati in Italia dopo i 10 anni dichiarano in maggioranza di non sentirsi italiani (52%), mentre per i ragazzi nati in Italia o arrivati prima dei 5 anni questo dato si ferma a 1/4.

Ancora più interessante forse è il dato sul numero di ragazzi che pensano in Italiano.

63,4% la quota di studenti stranieri delle scuole secondarie che dichiara di pensare in italiano.

FONTE: Istat
(ultimo aggiornamento: mercoledì 31 Marzo 2021)

Ovviamente anche in questo caso il dato cambia molto a seconda di quando questi ragazzi sono arrivati in Italia. Ciò nonostante anche i giovani arrivati tra i 6 e i 10 anni dichiarano in larga parte di pensare in Italiano.

Peraltro, come sottolineato da Istat, la maggior parte dei ragazzi che dichiarano di non sentirsi italiani o che pensano in un'altra lingua provengono da comunità particolarmente chiuse, come quelle filippine o cinesi. È evidente quindi che solo politiche volte a una maggiore integrazione di queste comunità possono incidere sul fenomeno, aiutando a creare un nuovo senso di appartenenza nelle comunità straniere.

Ottenere la cittadinanza per un minore straniero

Eppure non appena qualcuno, parlando di ius soli, ha provato a riportare il tema dell'integrazione al centro del dibattito, si è riacceso uno scontro dai toni non sempre civili e adeguati. La discussione infatti non si è sviluppata intorno a proposte politiche differenti che riflettono visioni diverse su come sia più opportuno migliorare le politiche di integrazione. Al contrario lo scontro si è acceso, nel migliore dei casi, sulla semplice opportunità di affrontare l'argomento. Ma cosa prevede oggi la legge sull'acquisizione della cittadinanza italiana?

La normativa attuale stabilisce che un ragazzo di nazionalità straniera possa richiedere la cittadinanza al raggiungimento dei 18 anni, ma solo se nato in Italia.

Lo straniero nato in Italia, che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore eta', diviene cittadino se dichiara di voler acquistare la cittadinanza italiana entro un anno dalla suddetta data.

La ragione per cui, nonostante questa prescrizione, secondo alcuni sarebbe necessario introdurre una forma di ius soli e di ius culturae è però legata sia ad alcuni problemi molto pratici, sia a un aspetto di principio.

Infatti se l'intenzione è quella di favorire il maggior livello possibile di integrazione il fatto che molti ragazzi si sentano italiani senza che la legge gli riconosca questo status, non aiuta a sviluppare un senso di identità e di appartenenza verso il nostro paese.

Chi arriva in Italia anche a pochi mesi dalla nascita deve comunque seguire un percorso più difficile per accedere alla cittadinanza.

Inoltre, come accennato, la normativa presenta diversi aspetti critici. In primo luogo non si applica a coloro che non sono nati in Italia ma vi sono arrivati anche solo nei primi mesi di vita. Questi ragazzi una volta arrivati a 18 anni dovranno seguire la normale procedura, dimostrando di risiedere in Italia da almeno 10 anni consecutivi. L'iter burocratico inoltre è lungo e nel frattempo il neo maggiorenne deve ricorrere a permessi di soggiorno temporanei dovendo dimostrare di avere un reddito sufficiente. Una condizione che li discrimina profondamente in tutti quegli ambiti, anche di opportunità professionali e formative, in cui il possesso della cittadinanza è un requisito.

Anche per i nati in Italia l'accesso alla cittadinanza non è un percorso né semplice né automatico.

Anche per i nati in Italia comunque è richiesta la residenza continuata sul territorio nazionale. Quindi se, per motivi di lavoro, i genitori si sono spostati anche solo per alcuni mesi il minore rischia di perdere questa possibilità. Si tratta di un tema su cui sono stati fatti degli aggiustamenti ma che comunque può rappresentare ancora un problema per accedere alla cittadinanza. Più in generale, per come è strutturata la norma, fino al raggiungimento dei 18 anni l'accesso alla cittadinanza resta strettamente legato alla possibilità che i genitori riescano a rinnovare il permesso di soggiorno.

Inoltre anche quando questi criteri risultano rispettati, è frequente che i ragazzi incontrino difficoltà sconosciute ai loro coetanei italiani, spesso legate alle lente procedure di rinnovo del permesso di soggiorno.

Il dibattito sullo ius soli e lo ius culturae

Il dibattito, tornato ora di attualità, era emerso con una certa forza nel corso della passata legislatura. A fine 2015 infatti fu approvata alla camera una proposta di legge che riformava i criteri di accesso alla cittadinanza per i minori con genitori stranieri. L'obiettivo era di inserire sia una forma di ius soli temperato, che una forma di ius culturae.

Infatti dove vige lo ius soli puro è sufficiente nascere in quel paese per ottenere in automatico la cittadinanza. Il disegno di legge invece prevedeva che fosse riconosciuta la cittadinanza ai bambini nati in Italia da genitori stranieri di cui almeno uno in possesso di un permesso di soggiorno permanente o di un permesso di soggiorno Ue di lungo periodo.

In aggiunta era anche prevista una forma di ius culturae per chi fosse nato in Italia o vi fosse arrivato prima del dodicesimo anno di età.

Il minore straniero nato in Italia o che vi ha fatto ingresso entro il compimento del dodicesimo anno di età che [...] ha frequentato regolarmente, nel territorio nazionale, per almeno cinque anni, uno o più cicli [...] di istruzione [...], acquista la cittadinanza italiana.

La frequentazione di un ciclo di studio diventava, nelle intenzioni dei proponenti, un modo per identificare i ragazzi più integrati nel nostro paese. In ogni caso la proposta non è mai stata neanche discussa al senato, rimanendo lettera morta.

Anche nell'attuale legislatura ci sono state diverse proposte di legge su questa materia, ma nessuna ha avuto particolare successo. Inoltre per quanto sia comunque positivo tornare a parlare di un tema così importante, è improbabile che nell'attuale contesto politico riforme di questo genere possano realmente avere successo.

 

Foto Credit: Sergio Gimenez - Flickr (Licenza)

 


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