Che cos’è l’hate speech e com’è regolamentato

Per hate speech o discorsi d’odio si intendono espressioni d’intolleranza rivolte contro delle minoranze. Un fenomeno sempre più presente nelle nostre società e che in buona parte è legato alla comunicazione online.

Definizione

Ad oggi non esiste una definizione internazionale univoca di hate speech o discorso d’odio.

Presso le Nazioni unite sono molti anni che si discute in vari contesti di questo tema o di argomenti strettamente collegati. Si tratta ad esempio del patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, adottato già nel 1966, o della convenzione per l’eliminazione della discriminazione razziale (Cerd). In entrambi i casi tuttavia non si parla esplicitamente di hate speech e le definizioni fornite riguardano vari standard di protezione rispetto alle discriminazioni.

Più di recente le Nazioni unite hanno elaborato un piano d’azione contro l’hate speech con cui ci si propone di contrastare il fenomeno attraverso diverse azioni, tra cui rientrano il monitoraggio, l’analisi e la comprensione delle cause profonde che lo generano, il coinvolgimento delle vittime e dei media, sia nuovi che tradizionali, l’utilizzo della tecnologia ma anche dell’istruzione come strumenti per contrastare i discorsi d’odio.

Neanche a livello europeo esiste una definizione giuridicamente vincolante del fenomeno. Ciononostante consiglio d’Europa ha dato una prima spiegazione già nel 1997 tramite una raccomandazione del comitato dei ministri. Questa è stata poi ampliata nel 2015 da un’altra raccomandazione politica redatta dalla commissione contro il razzismo e l’intolleranza (Ecri) dello stesso consiglio d’Europa.

si intende per discorso dell’odio il fatto di fomentare, promuovere o incoraggiare, sotto qualsiasi forma, la denigrazione, l’odio o la diffamazione nei confronti di una persona o di un gruppo, nonché il fatto di sottoporre a soprusi, insulti, stereotipi negativi, stigmatizzazione o minacce una persona o un gruppo e la giustificazione di tutte queste forme o espressioni di odio testé citate, sulla base della “razza”, del colore della pelle, dell’ascendenza, dell’origine nazionale o etnica, dell’età, dell’handicap, della lingua, della religione o delle convinzioni, del sesso, del genere, dell’identità di genere, dell’orientamento sessuale e di altre caratteristiche o stato personale;

Quanto all’Unione europea ad oggi la materia non è stata oggetto diretto di interventi normativi. Nel maggio 2016 però, la commissione ha firmato un codice di condotta per il contrasto all’hate speech on line con le maggiori piattaforme di social media. Un modo per cercare di avere un impatto sul mercato senza dover passare attraverso il lungo e complesso lavoro necessario ad approvare una direttiva. Il monitoraggio di questo strumento tuttavia ha individuato alcune criticità legate sia al delicato equilibrio tra la rimozione di materiale segnalato come “non appropriato” e la preservazione del diritto di espressione, sia alla possibilità che alcuni soggetti migrino su piattaforme meno regolate. Inoltre è utile ricordare l’adozione da parte dell’Unione europea del Piano d’azione dell’Ue contro il razzismo 2020-2025.

Come l’Unione neanche l’Italia ha una disciplina legislativa sul tema dell’hate speech. Un elemento che è stato messo chiaramente in evidenza nella relazione conclusiva della Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo, istigazione all’odio e alla violenza, presieduta dalla senatrice a vita Liliana Segre.

In particolare, è stata messa in luce la necessità di regolamenti chiari e di misure definite, per distinguere dove finisce il diritto alla critica e la libertà di manifestazione del pensiero e dove inizia l’odio insopportabile e illegale.

Infatti nel nostro ordinamento esistono varie norme che riguardano questo tema, ma mai in modo chiaro e diretto. Tra queste si trovano innanzitutto quelle contenute nella costituzione, sia nei suoi principi fondamentali sia in tutta la parte prima (Diritti e doveri dei cittadini Artt.13-54).

Più nello specifico poi l’articolo 406bis del codice penale che punisce la “propaganda e l’istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa”. Una norma introdotta originariamente dalla legge 654/1975 con cui è stata ratificata la Convenzione contro il razzismo adottata dalle Nazioni unite nel 1966 e poi modificata dalla legge Mancino (D.l . 122/1993).

Un altra norma importante rispetto ai discorsi d’odio è poi la più recente legge 71/2017 che introduce disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo. Il testo introduce una serie di misure di carattere educativo e formativo, finalizzate in particolare a favorire una maggior consapevolezza tra i giovani del disvalore di comportamenti persecutori che, generando spesso isolamento ed emarginazione, possono portare a conseguenze anche molto gravi sulle vittime che si trovano in situazione di particolare fragilità.

Dati

L’Eurobarometro speciale 2019 riporta i risultati di una serie di interviste condotte a maggio dello stesso anno in tutti i paesi europei. Da questa analisi emerge come la percezione della discriminazione sia più elevata in Italia piuttosto che nella media dei paesi Ue. E questo in tutte le categorie su cui è stato realizzato il sondaggio.

La maggiore discrepanza tra il dato italiano e quello europeo si registra sulla discriminazione nei confronti delle persone di etnia Rom, ma è alto anche il livello di discriminazione legato al colore della pelle e all’orientamento sessuale.

Per ciascuno dei tipi di discriminazione in oggetto è stata posta la seguente domanda “potrebbe dirmi se, secondo lei, è molto diffusa, abbastanza diffusa, piuttosto rara o molto rara nel nostro paese?”. Il grafico mostra la percentuale in cui la risposta è stata “molto diffusa” o “abbastanza diffusa”. Le interviste sono state condotte in tutti i paesi dell’Unione europea a maggio del 2019 (Eu28) e in Italia hanno riguardato un campione di 1.023 persone.

FONTE: Eurobarometro
(ultimo aggiornamento: venerdì 23 Aprile 2021)

La discriminazione e l'odio verso il diverso proliferano in contesti in cui la qualità dell'informazione è bassa. Per questo è importante tenere in considerazione il legame tra hate speech e affidabilità delle notizie che circolano in particolare in rete. Uno studio realizzato da Swg per Parole_O_Stili ha fatto emergere come negli ultimi anni sia fortemente aumentata la diffidenza degli italiani nei confronti dell'informazione.

80% la quota di intervistati che vede le false notizie come un grave problema per la società.

Un'ampia maggioranza degli intervistati peraltro (68%) si è rassegnato alla violenza verbale online considerandola un nuovo modo di comunicare ai tempi di internet.

Analisi

La crescita dell'hate speech e dei discorsi d'odio è un problema sia per le singole persone che per le società. Da un lato infatti segna individualmente le vittime di questi attacchi. Dall'altro rappresentano un problema sociale erodendo la coesione all'interno delle collettività e inquinando la qualità del dibattito pubblico, indispensabile in una democrazia.

Quando i discorsi d'odio sono poi più o meno direttamente giustificati, appoggiati, o rilanciati da figure politiche di primo piano diventa concreto il rischio che questi discorsi smettano di essere marginalizzati all'interno della società. D'altra parte, secondo alcuni studi, l'emergere di discorsi d'odio ai livelli più alti della pubblica amministrazione di alcuni stati membri, comporta il rischio concreto che tali discorsi si trasformino poi in vere e proprie politiche.

[...] hate speech has also appeared at the highest level of the public administration of some Member States, where transformation into policy is just one step away.

Per questo è importante contrastare i discorsi d'odio attraverso strumenti, azioni o politiche che accrescano la qualità del dibattito riportando la discussione politica su basi concrete e verificabili.

 


Il contenuto di questo articolo rappresenta solo la visione dell’autore ed è sua sola responsabilità. La Commissione Europea non si assume nessuna responsabilità per l’uso che può essere fatto delle informazioni che contiene.

PROSSIMO POST