Emissioni di Co2: i disincentivi Ue non bastano Europa

Livelli alti di gas serra contribuiscono all’aumento dei cambiamenti climatici. L’Unione europea ha attuato una serie di misure volte a limitare le emissioni di alcuni di questi, tra cui la Co2. Tuttavia, i risultati per ora ottenuti non sono quelli sperati.

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Il sistema per lo scambio delle quote di emissione (Eu Ets) è uno degli strumenti della politica europea volto a contrastare i cambiamenti climatici. L’approccio su cui si basa è un meccanismo di limitazione e di scambio delle emissioni di Co2. Questo sistema pone dei tetti massimi alla quantità totale di alcuni gas serra (Co2, no2 e Pfc) che possono essere emessi dagli impianti delle imprese nei paesi europei.

La Co2 è uno dei fattori principali che causano i cambiamenti climatici. Vai a "Che cos’è il cambiamento climatico"

L’Eu Ets opera in tutti i paesi membri, oltre che in Islanda, Liechtenstein e Norvegia.

Una delle policy europee adottate per ridurre le emissioni di Co2 è quella di tassare gli impianti che producono queste emissioni. Questa iniziativa è la cosiddetta politica del carbon pricing, un approccio di mercato che tratta le emissioni come beni da scambiare e tassare a livello internazionale.

Le quote di emissioni dell’Ue sono messe all’asta o assegnate gratuitamente, e possono successivamente essere scambiate tra le varie aziende. Queste ultime infatti devono monitorare e segnalare le loro emissioni di Co2, assicurandosi di avere a disposizione abbastanza quote per coprire le loro emissioni.

Se le emissioni superano quanto consentito dalle quote di un’azienda, quella deve acquistare quote da altri. Al contrario, se un impianto è riuscito a ridurre le sue emissioni, può vendere i suoi crediti rimanenti.

Attraverso l’Emissions trading system, dunque, l’Europa limita le emissioni di Co2 di circa 10.000 impianti nel settore energetico e nell’industria manifatturiera, nonché le emissioni delle compagnie aeree che operano tra i paesi.

Questo meccanismo messo in atto dall’Unione europea mira al raggiungimento dell’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050, ponendosi come obiettivo intermedio una riduzione netta di almeno il 55% delle emissioni di gas serra entro il 2030.

Tuttavia, attualmente questo sistema per lo scambio di quote di emissione sembra non aver avuto i risultati sperati. Probabilmente a causa di grandi gruppi industriali che, con l’appoggio dei rispettivi governi, continuano comunque a produrre energia dai combustibili fossili.

 

Il sistema di scambio di emissioni

Lanciato nel 2005, l’Eu Ets è stato il primo sistema di riduzione di emissioni di co2 istituito in Europa, viene considerato come una spina dorsale della politica di transizione energetica dell’Ue e della più ampia lotta contro il cambiamento climatico.

11.000 le industrie nel settore dell’energia e le compagnie aeree coperte dall’Ets che operano in tutto il territorio europeo, oltre che in Norvegia, Islanda e Liechtenstein.

Attraverso il sistema dei tetti delle emissioni di Co2 fissati a livello europeo, anno dopo anno, le aziende più pulite possono vendere i loro crediti, accumulati riducendo le emissioni, alle aziende responsabili della produzione di un surplus di inquinamento.

Il punto forte di questo strumento europeo è che a livello teorico dovrebbe incoraggiare la decarbonizzazione. Infatti, ogni anno la soglia massima dei gas che è possibile emettere si abbassa, mentre il costo delle emissioni in eccesso cresce. Così facendo diventa sempre più costoso produrre energia con i metodi più dannosi per l’ambiente, come i combustibili fossili.

Tuttavia in questo sistema si sono riscontrate alcune criticità. La prima fra tutte è quella che riguarda le emissioni nel settore energetico che non sembrano aver subito alcun impatto da questa politica europea. Un recente studio dell’Institute for new economic thinking, che dipinge un quadro più ampio, mostra che l’effettiva riduzione delle emissioni dovuta alla politica del carbon pricing non ha sortito gli effetti desiderati.

1%-2,5% è la riduzione stimata di emissioni di Co2 tra il 1990 e il 2006.

Infatti, da un’analisi della Corporate europe observatory, è emerso che alcune grandi multinazionali avrebbero iniziato a usare la strategia europea Ets come un’opportunità per ottenere sussidi e aumentare i profitti, piuttosto che per realizzare effettivamente la transizione energetica e agire contro il cambiamento climatico.

Il ruolo degli stati membri

Insieme alle industrie, anche gli stati membri ricoprono un ruolo chiave nel processo di decarbonizzazione in Europa.

I paesi Ue allocano dei sussidi alle imprese che operano nel settore energetico. Tuttavia, da una ricerca condotta da Investigate europe emerge che molti paesi finanziano ancora l’energia derivante dai combustibili fossili.

140 mld la cifra che in media ogni anno i paesi dell’Unione europea spendono per finanziare imprese che usano i combustibili fossili per produrre energia.

Oltre che con i finanziamenti diretti, gli stati elargiscono fondi alle imprese in vari modi: dal taglio delle tasse ai sussidi diretti per la produzione o l’uso di combustibili fossili, fino all’assegnazione gratuita di quote di emissione, che le aziende possono spendere all’interno del sistema europeo per lo scambio delle quote.

I dati rappresentano la stima annuale per le diverse tipologie di aiuti che ogni stato membro, più Norvegia, Svizzera e Regno Unito, ha speso per imprese del combustibile fossile. I dati sono presentati in miliardri di euro e la cifra deriva dalla stima della spesa dal 2016 a 2019.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Investigate Europe
(ultimo aggiornamento: martedì 31 Dicembre 2019)

Tra i paesi che si stima finanzino maggiormente le industrie di combustibile fossile vi è la Germania, che ogni anno spende in questi aiuti 37,5 miliardi di euro. Di questi, più dell'87% arriva sotto forma di tagli delle tasse, mentre il 9,4% rientra nel meccanismo delle quote dell'Ets.

33,1 mld la somma in euro che la Germania ha stanziato in tagli delle tasse per le industrie che impiegano combustibili fossili.

Seguono Regno Unito (19,0 mld €), Italia (18,3 mld €) e Francia (17,5 mld €). Il Regno Unito è tra paesi con la quota maggiore di sussidi diretti, pari a 9,8 mld €, ossia il 51,8% del totale britannico. Invece, per quanto riguarda l'Italia è il terzo paese con la percentuale di spesa più alta per finanziamenti che sfruttano il sistema Ets, pari al 26,6% del totale italiano ossia 1,603 mld €.

Tra quelli che, invece, spendono la minor quota in aiuti a imprese di combustibile fossile ci sono il Lussemburgo ( 3,5 mln €), Cipro ( 46,6 mln €) e Croazia (108,37 mln €). Questi tre stati non hanno effettuato spese per sussidi, ma nel caso croato e cipriota il 100% è stato stanziato ad imprese che hanno attivato lo strumento di scambio europeo delle quote.

Finora, tuttavia, 19 stati membri hanno procedure d'infrazione in corso per non aver attuato questa direttiva. Le iniziative della commissione hanno la tendenza a scontrarsi con la riluttanza dei paesi dell'Ue. Guardando i dati sulle procedure di infrazione attualmente aperte, le questioni ambientali rappresentano il 25,7% del totale.

European data journalism network, i dati nel resto dell'Europa

Openpolis fa parte dell'European data journalism network, una rete di realtà che si occupano di data journalism in tutta Europa. La versione originale di questo articolo è di OBC Transeuropa, un think thank focalizzato sui paesi del sud est Europa, Turchia e il Caucaso, ed è partner di Edjnet. I dati relativi alle stime delle spese dei paesi membri dell'Unione europea, più Norvegia, Svizzera e Regno Unito fanno parte della ricerca di Investigate europe.

Photo credit di levulapart - Shutterstock

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