Lo spopolamento della montagna abruzzese è inevitabile? Abruzzo Openpolis

I comuni della montagna abruzzese si stanno spopolando a un ritmo superiore rispetto alla media nazionale. Ma non è un destino ineluttabile: alcuni fattori – legati all’economia del territorio e al livello di istruzione – incidono sulla capacità di adattamento delle aree interne e montane.

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Le aree di montagna in Abruzzo stanno attraversando uno spopolamento molto superiore a quello medio. In una regione che sta già perdendo popolazione, e in cui tra vent’anni potrebbero abitare oltre 100mila persone in meno rispetto a oggi, i territori montani abruzzesi si segnalano per una tendenza ancora più marcata.

-6,2% i residenti nei comuni montani abruzzesi tra 2015 e 2022. Molto più della media regionale (-3,8%) e degli altri comuni di montagna in Italia (-4%).

Se, come segnalato dalla letteratura scientifica, l’aumento della popolazione (o almeno il suo mantenimento) è un indicatore della salute e della capacità di adattamento di un territorio ai processi economici, tecnologici e sociali in atto, la montagna abruzzese non attraversa certo un momento florido.

Una tendenza che peraltro, come approfondiremo attraverso i dati, non è affatto nuova. E che però non deve essere nemmeno considerata un destino immutabile: esistono infatti casi e territori che contrastano il trend generale di spopolamento.

Alle radici dello spopolamento della montagna

Il progressivo calo demografico della montagna, e in particolare dell’Appennino, non è affatto un fenomeno inedito.

Il fenomeno dello spopolamento delle aree interne italiane affonda le sue radici negli anni ’30, quando la dorsale appenninica ha visto scivolare a valle i suoi abitanti, principalmente come conseguenza del venire meno di quegli elementi essenziali alla vita: l’emigrazione, soprattutto maschile, e la perdita di redditività dell’allevamento e della silvicoltura, tra gli altri.

In anni più recenti, tra 2015 e 2022, in Abruzzo la popolazione è diminuita del -3,8%, passando da 1,32 a 1,28 milioni. Per i comuni montani della regione il calo è stato anche maggiore: -6,2%. Una contrazione superiore anche alla media dei territori montuosi del paese, che dal 2015 hanno avuto una perdita di abitanti del -3,9%, se si considerano solo i comuni di montagna interna, e del -4,1%, se si considerano anche quelli di montagna litoranea.

Con l’eccezione del Trentino-Alto Adige (+1,6% tra 2015 e 2022), tutte le regioni hanno vissuto negli ultimi anni uno spopolamento della propria montagna. A subire il maggiore spopolamento, i comuni montani della Puglia, con un calo in doppia cifra. Quello della montagna abruzzese è inferiore a questo dato, ma comunque più elevato della media nazionale.

Per ciascuna regione, il dato si riferisce ai soli comuni che nella classificazione per zone altimetriche effettuata da Istat sono classificati come “montagna interna” e “montagna litoranea”. Per approfondire.

FONTE: elaborazione Abruzzo openpolis su dati Istat
(ultimo aggiornamento: venerdì 22 Marzo 2024)

Una tendenza che peraltro si è confermata anche con la pandemia. Tra il capodanno del 2020 e quello del 2022, la popolazione italiana è diminuita dell’1%, passando da 59,64 a 59,03 milioni di abitanti. In questo quadro, per i comuni montani il calo è stato dell’1,6%: da 7,27 a 7,16 milioni di residenti.

Per l’Abruzzo è andata anche peggio: -2,4% in appena due anni nei 166 comuni classificati come “montagna interna”, un punto sopra la media regionale dei 305 comuni abruzzesi (-1,4%). Vale a dire oltre ottomila persone in meno su un calo complessivo di 17.991 nella regione. Quasi un abitante su due “perso”, per diversi motivi, dall’intero Abruzzo nel corso del biennio.

-8.439 i residenti nei comuni montani dell’Abruzzo tra 2020 e 2022.

Le cause di una tendenza allo spopolamento superiore per le aree montane e interne sono note. Si tratta di comuni abitati da una popolazione maggiormente anziana e da cui i giovani – spesso per mancanza di opportunità sul territorio – tendono a trasferirsi più facilmente. Un trend che però non è sempre scontato, come ricostruito da alcune analisi sul tema.

I fattori in grado di frenare la tendenza allo spopolamento

Alcuni studi hanno individuato nella capacità di adattamento di un territorio – anche interno o montano – la variabile chiave nel determinare la sua traiettoria di sviluppo.

Da questo punto di vista, va sottolineato come molte analisi si focalizzino sul concetto di resilienza, intesa come capacità di reazione a shock acuti. Un approccio che però non è esente da critiche. E che, come ricostruito nella letteratura, è del tutto insufficiente per capire processi di lungo periodo, cronici, come quelli che riguardano le aree rurali, montane e interne.

I comuni montani sono più soggetti allo spopolamento.

Il declino di questi territori non è seguito a un singolo evento, ma si è cronicizzato nel secolo scorso, a partire dai processi di urbanizzazione e industrializzazione, successivamente rafforzati dalla globalizzazione. Una traiettoria visibile in tutti i paesi occidentali, compreso il nostro. Anzi in Italia questa dinamica, con il parallelo spopolamento della dorsale appenninica, è stata ancora più intensa, essendo concentrata – per lo sviluppo industriale tardivo del paese – in appena 50 anni.

(…) delayed industrialsation leading to a concentration in 50 years of typical phases of urban transitional dynamics, a heterogeneous, uneven economic and social development across the country (Bonifazi & Heins 2003), an out-migration phenomenon from mountain and rural areas along the Apennines and the Mezzogiorno regions (…)

Tuttavia, a fronte di queste tendenze, anche nei territori interni o montani la capacità di adattamento non è stata la stessa. Una ricerca del Gssi, il Gran Sasso Science Institute, ha individuato che il declino non è scontato: anche nelle aree interne, vi sono comuni che hanno mostrato una maggiore adattabilità ai processi di sviluppo, per una serie di fattori.

Tra questi, gli elementi cruciali sembrano essere l’esistenza di un contesto socio-economico diversificato, capace di cogliere le opportunità offerte dalla terziarizzazione dell’economia, con un elevato livello di occupazione femminile e una bassa esposizione al rischio di vulnerabilità sociale e materiale.

Questi sono i fattori maggiormente correlati con la capacità di adattamento. Vi sono poi altri aspetti particolarmente salienti, specie nelle aree interne, come l’incidenza di residenti con almeno il diploma. A conferma di quanto l’accesso all’istruzione rappresenti una variabile cruciale nelle dinamiche di sviluppo territoriale.

La capacità di adattamento delle aree di montagna in Abruzzo

I comuni con maggiore capacità di adattamento ai processi in corso sono quindi classificabili “vibranti”. Parliamo di comuni che, in base alla demografia (usata come indicatore dell’adattabilità), mostrano una traiettoria di crescita continua dal censimento 1971 al 2011. Vale a dire nell’arco dei decenni successivi al boom economico del dopoguerra.

I comuni maggiormente adattivi, o vibranti, si distinguono da quelli per cui la tendenza nel periodo non è chiara, e che quindi alternano fasi di declino ad altre di crescita, nonché da altri territori che da tale crescita invece sono rimasti esclusi. Si tratta dei cosiddetti comuni “a combustione lenta”, caratterizzati da uno spopolamento cronico e apparentemente irreversibile. Gran parte della montagna abruzzese rientra esattamente in queste caratteristiche. Sono le aree urbane – e nello specifico caso abruzzese quelle costiere – a mostrare una maggiore adattabilità.

La classificazione dei comuni per zona altimetrica riprende quella stabilita dalla metodologia Istat. Quella per capacità di adattamento è stata sviluppata dalle ricercatrici Gssi all’interno della ricerca Distant but Vibrant Places. Local Determinants of Adaptability to Peripherality.

FONTE: elaborazione Abruzzo openpolis su dati Istat e Gssi
(consultati: lunedì 25 Marzo 2024)

Quasi il 60% dei comuni abruzzesi di montagna sono classificabili, in base ai trend demografici dagli anni ’70, come “a combustione lenta”. Oltre un terzo ha una traiettoria instabile e appena il 7% è qualificabile come “vibrante”. Una quota residuale, ma che segnala come la tendenza non sia ineluttabile. Mostrano infatti una maggiore adattività rispetto ad altre aree montane alcuni territori intorno al capoluogo regionale e altri nell’area di Avezzano.

Anche se sono ovviamente i comuni della collina litoranea, lungo la costa adriatica, ad essere classificabili come “vibranti”, essendo così categorizzati nel 45% dei casi.

58% i comuni montani abruzzesi classificabili come “a combustione lenta”.

Non è affatto un unicum abruzzese che siano proprio le aree appenniniche quelle a in spopolamento cronico, con i poli a mostrare una vivacità notevolmente maggiore.

(…) the majority of slow-burning municipalities are concentrated along the Apennines ridge (from where the origin of the term ‘Inner’ used in the national strategy). (…) Conversely, vibrant municipalities account overall for approximately a third of the total, out of which almost three quarters are Centres.

Tale tendenza peraltro è continuata in anni più recenti: nel confronto sia tra 2015 e 2022, che tra pre e post-pandemia (2020-2022), a registrare i cali maggiori sono stati proprio i comuni che già risultavano “a combustione lenta”. Con cali di residenti superiori, in media, al 10% dal 2015 e pari al 3,6% nel biennio del Covid. In coerenza con il declino demografico del paese nel suo complesso, e dell’Abruzzo in particolare, anche i territori vibranti hanno visto un calo, ma a un ritmo molto inferiore (-0,2% tra 2020 e 2022).

Per contrastare la tendenza allo spopolamento della montagna, investire sui fattori di sviluppo identificati come prioritari dalla letteratura è essenziale. Dall’offerta educativa al contesto socio-economico, sono numerosi i fronti su cui intervenire. Le priorità individuate però si scontrano con possibilità di intervento spesso molto limitate, proprio in questi territori.

Tra le maggiori fragilità è la scarsa capacità di utilizzare fondi di piani e programmi statali e regionali, sia per la complessità delle misure elaborate dagli apparati pubblici, sia perché i destinatari dei finanziamenti non hanno le competenze per richiedere i sussidi e portare a termine i progetti (Bartolini, 2020).

Rafforzare la capacità amministrativa degli enti, con interventi e servizi programmati su scala sovracomunale, resta quindi un presupposto necessario di qualsiasi politica per la montagna, insieme al coinvolgimento delle comunità residenti sul territorio. Un aspetto quest’ultimo altrettanto imprescindibile, per dare basi solide al potenziale di rilancio di queste aree.

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