La ricerca in Europa, una questione di genere Disparità di genere

Il numero di ricercatori universitari è in aumento nella maggior parte dei paesi Ue. Le donne incontrano ancora maggiori barriere in questo tipo di carriera, in primo luogo da un punto di vista contrattuale.

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Secondo la definizione offerta da Eurostat, un ricercatore è un professionista impegnato nella concezione o nella creazione di nuove conoscenze, prodotti, processi, metodi e sistemi, nonché nella gestione dei progetti in questione. Si tratta dell’esito di un percorso che inizia con il dottorato di ricerca, di cui abbiamo parlato in un recente approfondimento.

Analizziamo i dati relativi al numero di ricercatori nei paesi dell’Unione europea, alla loro incidenza sulla popolazione totale, e alla loro variazione nel tempo. Soffermandoci in particolare sulle disuguaglianze, a oggi ancora persistenti, tra ricercatori e ricercatrici. Queste ultime sono più esposte a difficoltà e barriere durante il loro percorso e le loro condizioni lavorative continuano a essere in media inferiori rispetto a quelle dei colleghi di sesso maschile.

I ricercatori in Europa

Nel corso dell’ultimo decennio il numero di ricercatori nell’Unione europea ha visto un sostanziale aumento: +24% tra 2012 e 2021. In Lussemburgo e a Malta in particolare la cifra è più che raddoppiata. Mentre sono 5 gli stati che hanno riportato un calo, seppur modesto: Romania, Slovacchia, Irlanda, Estonia e Bulgaria. Stando all’ultimo aggiornamento disponibile, i ricercatori universitari in Europa sono più di 630mila.

638.232 i ricercatori universitari in Ue nel 2021.

A ospitarne il numero più elevato in termini assoluti è la Germania (120mila, circa il 19% del totale). Seguono Francia (14%) e Spagna (11%). L’Italia, l’altro grande paese dell’Ue per numero di abitanti, si posiziona al quarto posto (dopo la Polonia), con quasi 59mila ricercatori.

La situazione cambia però significativamente se analizziamo i dati in rapporto al numero di abitanti. In tal caso, non sono i paesi più popolosi a registrare i dati più elevati.

I dati si riferiscono al totale dei ricercatori in ambito universitario, contati come unità di lavoro (full time equivalent), in rapporto alla popolazione totale registrata da Eurostat al primo gennaio dello stesso anno.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Eurostat
(pubblicati: lunedì 6 Febbraio 2023)

La Danimarca detiene in questo senso il record europeo, con oltre 300 ricercatori universitari ogni 100mila abitanti. Segue il Portogallo con 280. Agli ultimi posti si posizionano invece Romania (32) e Bulgaria (48). L’Italia, con 99 ricercatori ogni 100mila abitanti, è al quartultimo posto in Europa e ben al di sotto della media, pari a circa 143.

L’accesso delle donne alla ricerca universitaria

La ricerca è uno degli ambiti di maggiore interesse per quanto riguarda la parità di genere. Infatti si tratta di posizioni lavorative di elevato prestigio, dove tradizionalmente la presenza maschile è dominante.

Come afferma l’istituto europeo per l’uguaglianza di genere (Eige), che ha realizzato un apposito report, la ricerca in Europa è ancora caratterizzata da una marcata sotto-rappresentazione delle donne. Secondo i dati raccolti dall’istituto, le donne nel 2018 costituivano appena un terzo dei ricercatori presenti nell’Unione europea.

Gli ostacoli all’inclusione delle donne nell’ambito della ricerca universitaria sono vari. Tra questi, le discriminazioni rispetto all’accesso ai fondi, siano esse consapevoli o frutto di un bias cognitivo. Ma anche la cultura e l’ambiente, spesso percepito come tossico, maschilista o respingente, stando a numerose testimonianze.

Le donne incontrano ancora barriere nella propria carriera.

In parte, la presenza maschile e femminile incide diversamente nei diversi settori della ricerca. Le donne sono nettamente in minoranza negli ambiti tecnici come le ICTs o l’ingegneria. Mentre sono la maggioranza nelle scienze biologiche o negli studi ambientali o umanistici. Oltre a questo, le donne affrontano difficoltà molto maggiori nel loro percorso di avanzamento di carriera e la loro presenza rispetto a quella maschile diminuisce fortemente all’aumentare del livello e del prestigio della posizione, come mostrano i dati di She figures.

Ma la disparità di genere si manifesta anche, con particolare forza, a livello di contratto. Le ricercatrici donne sono infatti molto più spesso precarie rispetto ai loro colleghi uomini. I dati più recenti su tale divario, forniti da Eige, sono relativi al 2019.

18 su 27 gli stati Ue in cui le ricercatrici universitarie sono più spesso precarie rispetto ai loro colleghi uomini (2019).

Sono indicate le percentuali di ricercatori e ricercatrici che dichiarano di essere precari, ovvero di avere un contratto a tempo determinato di breve durata o nessun contratto.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Eige
(pubblicati: mercoledì 21 Dicembre 2022)

Il divario più marcato si registra in Danimarca (quasi 10 punti percentuali di differenza) e risulta elevato anche in Ungheria, Grecia, Malta e Austria (tutte sopra i 6 punti percentuali). Mentre in 9 paesi dell’Unione lo scarto è a vantaggio delle donne: in questo caso, il dato più elevato è quello riportato dalla Lettonia (6 punti).

Foto: Università campus bio-medico di Romalicenza

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