La condizione minorile in un paese che invecchia

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I dati sono un ottimo modo per analizzare fenomeni, raccontare storie e valutare pratiche politiche. Con Numeri alla mano facciamo proprio questo. Una rubrica settimanale di brevi notizie, con link per approfondire. Il giovedì alle 7 in onda anche su Radio Radicale. Leggi “Come stanno i bambini in un paese in progressivo invecchiamento“.

+24%

i residenti con almeno 65 anni tra 2005 e 2022. Il prossimo 2 ottobre si celebra la festa dei nonni. Si parla spesso dell’Italia come di un paese in progressivo invecchiamento. E in effetti, anche grazie all’allungamento delle prospettive di vita, il numero degli anziani nel nostro paese è notevolmente cresciuto rispetto al 2005, quando venne istituita la giornata nazionale con una legge dello stato. A essere cambiato da allora però non è solo il loro numero, ma spesso di fatto anche la loro posizione all’interno di nuclei familiari che si sono man mano impoveriti. Vai all’articolo.

14,2%

i minori in povertà assoluta nel 2021. Un’incidenza oltre 3 volte superiore al 2005 (3,9%). In attesa di leggere le nuove statistiche sulla povertà, che saranno pubblicate da Istat nel prossimo mese, sappiamo infatti che negli ultimi vent’anni sono aumentati i divari generazionali. Specialmente dopo la grande recessione seguita alla crisi del 2008, e poi ancora dopo l’emergenza Covid. Nel 2005 i più in difficoltà erano proprio gli anziani (4,5% in povertà assoluta). Gli effetti delle successive crisi economiche hanno invertito la situazione, colpendo in primis le famiglie lavoratrici, specialmente se giovani e in condizioni di lavoro precarie. In questo quadro, il contributo dei “nonni” nella vita familiare ha spesso supplito alle carenze del welfare. Dal supporto nell’accudimento dei bambini, in molti casi essenziale per consentire ai genitori di lavorare, all’aiuto materiale, anche economico nelle situazioni di maggiore difficoltà. Vai al grafico.

-31,9%

i bambini nati in Italia tra 2008 e 2022. Che questo modello però non funzioni sembra segnalarlo l’andamento delle nascite negli ultimi anni. Dopo l’effimera crescita demografica registrata attorno alla metà degli anni duemila, con la grande recessione iniziata nel 2008 il numero di nuovi nati è calato progressivamente. Da allora la curva discendente non si è più arrestata, portando gli osservatori a parlare di un vero e proprio “inverno demografico”. Gli ultimi dati Istat confermano il declino di nascite: le prime stime per il 2022 parlano di 393mila nuovi nati. Circa il 2% in meno dell’anno precedente, in cui si era già registrato il record negativo dall’unità d’Italia. Addirittura quasi un terzo in meno rispetto al 2008. Vai al grafico. 

1 su 3

i residenti in Italia con almeno 65 anni di età nel 2042 (34%). Oggi sono circa 1 su 4 (23,8%). In base alle previsioni di Istat, con l’attuale andamento delle nascite, tra venti anni si accentueranno le tendenze allo spopolamento e in parallelo all’invecchiamento della popolazione. Tendenze asimmetriche, perché colpiscono l’Italia in modo differenziato sul territorio. Attraverso i dati a livello locale, possiamo monitorare come questo debito demografico incida nelle diverse parti d’Italia, comune per comune. A indicare questa tendenza è l’indice di vecchiaia, ovvero il numero persone con almeno 65 anni ogni 100 giovani di età inferiore a 15 anni. Vai all’articolo.

9

le regioni dove già nel 2020 c’erano 2 anziani per ogni minore tra 0 e 14 anni. Nell’anno dell’esplosione dell’emergenza Covid, il 2020, l’indice di vecchiaia era pari a 179,4. Ovvero quasi 180 persone di almeno 65 anni di età ogni 100 con meno di 15. Tale rapporto risulta fortemente variabile sul territorio nazionale. Tra le regioni, l’indice di vecchiaia in Liguria ha raggiunto la quota di 262,43 e ha comunque superato i 200 in Molise, Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Piemonte, Umbria, Toscana, Marche e Basilicata. Ovvero più di 2 ultra-sessantacinquenni per ogni residente fino a 14 anni.  Anche a livello locale spiccano per un indice di vecchiaia molto inferiore alla media la città metropolitana di Napoli (121,8), la provincia di Caserta (122), la provincia autonoma di Bolzano (126,9) e la città metropolitana di Catania (140,3). Mentre i valori più alti, superiori a 270, si rilevano nelle province di Biella, Savona e Oristano. Tra i capoluoghi, Carbonia supera quota 300 (313,7), mentre i valori più contenuti tra le città si sono registrati nelle città di Andria (124,98), Crotone (132,04), Barletta (140,55), Napoli (144,40), Reggio Emilia (149,57), Trani (149,59) e Palermo (149,98). Vai alla mappa. 

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