In Italia 4 lavoratori su 100 rientrano nell’economia informale Europa

Questo tipo di lavoro è caratterizzato da rapporti non regolamentati di lavoro in ambito familiare o in contesti meno strutturati. Per quanto caratterizzi principalmente le economie dei paesi più poveri, è una realtà anche nel continente europeo.

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Prima dell’epidemia da Covid-19 circa 2 miliardi di persone nel mondo erano impiegate nell’economia informale, secondo l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo (Ocse). Questo contesto comprende tutte quelle attività economiche remunerate ma non regolamentate che si svolgono a livello di nucleo familiare o in una dimensione di poco più grande.

La pandemia ha colpito in modo particolare i lavoratori informali.

L’emergenza pandemica ha avuto un impatto importante su questi lavoratori, che si sono trovati spesso senza occupazione e senza la possibilità di rivalersi su contratti e tutele che permettessero loro di sostenersi nell’immediato. L’inattività lavorativa ha inoltre reso queste persone anche meno competitive sul mercato, rendendo ancora più complesso il loro reinserimento lavorativo. Queste dinamiche hanno evidenziato la necessità di ampliare il sistema di protezione sociale anche ai lavoratori informali, dando loro la possibilità di accedere anche in situazioni come questa a una rete di tutele che permettono di arginare la vulnerabilità economica delle famiglie.

La complessità della misurazione dell’economia informale

Innanzitutto, è importante chiarire che cosa si intende con questa espressione. Si tratta, come definito dalle Nazioni Unite, di un settore che comprende attività in contesti di tipo familiare o poco più ampi.

Sono inclusi i lavoratori impiegati nell’autoproduzione (come nel caso dell’agricoltura di sussistenza) o che contribuiscono con alcune occupazioni al lavoro familiare senza un contratto esplicito (per esempio il lavoro di cura). Le imprese non hanno un’entità legale separata dai proprietari e non sono registrate ed è questa la differenza principale rispetto al settore dell’economia sommersa: in quest’ultimo, l’impresa risulta una realtà strutturata e registrata in cui non vengono dichiarate tutte le transazioni. L’economia informale è comunque un settore in cui avvengono degli scambi di beni e servizi sia in termini di vendita che di baratto, fa quindi parte dell’ambito più ampio dell’economia non osservata.

Per economia non osservata si intendono tutte quelle attività economiche che per diverse ragioni non risultano direttamente rilevabili. Vai a “Cos’è l’economia non osservata”

Si tratta per sua natura di un fenomeno particolarmente difficile da rilevare. L’indicatore dell’incidenza viene curato dall’organizzazione internazionale del lavoro (Oil) principalmente sulla base delle rilevazioni sulla forza lavoro che attraverso specifiche domande permettono di stabilire se la persona lavora o no all’interno di un settore informale dell’economia.

Sono dinamiche che vedono coinvolti principalmente i paesi poveri del mondo. Prima della pandemia da Covid-19, il lavoro informale rappresentava l’89% dei lavoratori nei paesi a basso reddito e l’81,6% in quelli a reddito medio-basso. Per quelli invece dove si registra il reddito maggiore, l’incidenza era pari al 15,9%. Anche all’interno dei paesi europei si possono rilevare dei lavoratori di tipo informale.

I dati si riferiscono all’incidenza del lavoro informale sull’occupazione totale delle persone di età superiore ai 16 anni. Sono considerati sia i lavoratori dipendenti che gli autonomi. Non sono disponibili per il 2022 i dati di Danimarca, Romania, Malta, Ungheria e Cipro.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Oil
(consultati: lunedì 20 Maggio 2024)

Il paese con l’incidenza maggiore di lavoratori nell’economia informale è la Polonia (9,8%), seguito da Portogallo (4,6%), Grecia (4,5%), Slovacchia (3,9) e Italia (3,8). I valori minori si registrano invece in Bulgaria (1,3%), Belgio (1,3%) e Slovenia (1%).

È interessante anche confrontare i dati rispetto al 2019, prima delle restrizioni legate all’emergenza pandemica. Il paese in cui la quota è aumentata di più è la Slovacchia (2 punti percentuali), la diminuzione più ampia si registra invece in Francia (2 punti percentuali). In Italia si registra un calo di 1,1 punti percentuali.

I dati si riferiscono all’incidenza del lavoro informale, divisa per genere, in relazione al totale degli occupati e delle occupate. Si considerano le persone di età superiore ai 16 anni.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Oil
(consultati: lunedì 20 Maggio 2024)

Approfondendo ulteriormente il caso italiano, tra il 2007 e il 2022 i valori hanno oscillato tra il 4,0% (registrato nel 2012, nel 2016, nel 2018 e nel 2019) e il 3,1% (dato del 2009). In questo arco di tempo, l’incidenza tra le donne è sempre risultata maggiore rispetto a quella tra gli uomini. Il divario tra i due generi si è però ridotto rispetto al periodo dell’emergenza pandemica.

0,7 la differenza percentuale tra uomini e donne impiegati nel lavoro informale nel 2022. Nel 2020 era di 2,7 punti percentuali.

L’incidenza maggiore di lavoro informale femminile si registra nel 2012, quando questo componeva il 6% di tutte le occupate. Per quel che riguarda gli uomini, invece, la percentuale maggiore si registra nel 2016 (4,3%).

I dati si riferiscono all’incidenza del lavoro informale, divisa per settore, rispetto all’occupazione nell’ambito in questione. Si considerano le persone di età superiore ai 16 anni.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Oil
(consultati: lunedì 20 Maggio 2024)

A livello di settore, quello in cui il lavoro informale ha un peso maggiore è quello agricolo. Si parla del 13,7% della manodopera nel settore. Come abbiamo approfondito, si tratta di un ambito particolare in cui non è sempre presente una formalizzazione dei contratti di lavoro che spesso hanno un carattere di tipo stagionale oppure non dichiarato. Inoltre, le imprese del settore sono molto spesso a conduzione familiare, un ulteriore motivo per cui il lavoro informale ha una sua rilevanza.

Formalizzare il lavoro permette al lavoratore di usufruire di aiuti e tutele.

L’informalità lavorativa è un fenomeno multifattoriale e complesso. Come spiegato da Ocse, i fattori possono riguardare più ambiti: la struttura di un’economia, lo sviluppo socio-economico, la capacità di regolamentazione e il ruolo delle istituzioni, le attitudini e i comportamenti a livello sociale, le caratteristiche individuali di lavoratore e azienda. Per quanto sia complicato agire su questi contesti, è importante l’inserimento del rapporto di lavoro all’interno di dinamiche formali: le tutele legali ed economiche che il lavoratore ha diritto di avere garantiscono una minore marginalizzazione economica e sociale del nucleo familiare e una maggiore stabilità. È cruciale agire su quei settori in cui tradizionalmente si ricorre a rapporti di questo tipo (come nel caso dell’agricoltura) ma anche su quelli più nuovi, come le professioni digitali portate avanti sulle piattaforme online necessitano di continua attenzione. Ocse afferma infatti che è necessario comprendere anche le nuove dinamiche e i nuovi spazi del mondo del lavoro per evitare di creare nuovi bacini di informalità.

Foto: Romain Dancrelicenza

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