Il lavoro da remoto prima e dopo la pandemia Europa

La pandemia ha avuto un forte impatto sul mondo del lavoro, anche se molti effetti sono poco chiari oppure figli di processi ancora in corso. Abbiamo analizzato il fenomeno insieme ad altre 6 redazioni di Edjnet, soffermandoci in questa analisi sul lavoro da remoto.

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Il Covid ha avuto un impatto significativo su numerosi ambiti della vita quotidiana delle persone, e il lavoro non ha fatto eccezione. Dalla temporanea sospensione di alcune attività alla crescente consapevolezza collettiva dell’importanza dei lavori “essenziali”. Dal rischio sanitario sul posto di lavoro ai rischi ancora in fase di definizione legati al lavoro da remoto. Fino alle problematiche relative alla separazione tra occupazione e vita privata in ambito domestico, per chi lavorava o lavora tutt’ora da casa. Con un peso particolare sulle donne, considerate ancora – per stereotipi di genere – le principali responsabili della cura della famiglia.

Ma se la pandemia ha realmente modificato il mondo del lavoro, si è trattato di cambiamenti permanenti, di vere e proprie rivoluzioni? Insieme ad altre 5 redazioni dello European data journalism network (Edjnet), sotto la direzione di Alternatives économiques, abbiamo cercato di rispondere a questa domanda, investigando una serie di dimensioni in cui la pandemia ha avuto un impatto sul mondo dell’occupazione. Tra queste, il rapporto tra domanda e offerta e il lavoro da remoto, una condizione ormai consolidata per numerose professioni. Ma anche il ruolo centrale di lavoratori essenziali e piattaforme. Queste ultime hanno infatti visto una crescita senza pari durante il periodo della pandemia. Cercando i dati più recenti per illustrare i cambiamenti che, ormai un anno o due dopo il lockdown, hanno lasciato delle tracce evidenti.

Premessa la difficoltà di valutare la situazione a così poca distanza dall’inizio della pandemia, abbiamo constatato che in tutti i casi il Covid ha comportato dei cambiamenti all’interno del mondo del lavoro. Tuttavia si tratta perlopiù di dinamiche ancora in corso o fittamente intersecate tra loro. Pertanto in questa analisi abbiamo scelto di isolare un elemento, quello che ha rappresentato la maggiore novità all’interno del mondo del lavoro, in Italia in modo particolare, per quanto non è detto che sarà una novità destinata a permanere: il lavoro da remoto.

Il lavoro da remoto, uno dei principali cambiamenti portati dalla pandemia

Come evidenzia Eurostat l’aumento dei lavoratori da remoto è stato uno degli eventi di maggiore portata di questo periodo. Si tratta di una modalità che esisteva già prima dello scoppio della pandemia, ma che era fortemente limitata soprattutto in alcune aree, come quelle rurali.

Mediamente nell’Unione europea le persone che lavoravano abitualmente o occasionalmente da casa costituivano il 14,4% del totale degli occupati, nel 2019. Due anni dopo, successivamente alla fase più dura di lockdown, la quota era salita di quasi 10 punti percentuali.

24% le persone che lavorano abitualmente o occasionalmente da casa in Ue (2021).

Se consideriamo soltanto i lavoratori da remoto “abituali”, la cifra è passata dal 5,5% del 2019 al 13,5% del 2021.

Una situazione che comunque risulta molto diversificata da paese a paese. Registrando le cifre più elevate nei paesi dell’Europa nord-occidentale e quelle più basse nella parte orientale del continente.

I dati provengono dal “Labour market survey” di Eurostat e indicano la quota di persone che hanno risposto positivamente alla domanda se lavoravano frequentemente o occasionalmente da casa.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Eurostat
(consultati: martedì 7 Marzo 2023)

I Paesi Bassi riportano la quota più elevata di persone occupate che dichiarano di lavorare, abitualmente o occasionalmente, da casa (53,8%). Seguono Svezia, Lussemburgo e Finlandia con quote superiori al 40%. Agli ultimi posti invece alcuni stati dell’Europa orientale e centrale. In particolare Romania e Bulgaria con meno del 10%. A livello regionale spicca il dato di Stoccolma, dove nel 2021 oltre il 40% degli intervistati dichiara di lavorare abitualmente da casa.

L’Irlanda è invece il paese nell’Unione europea che ha registrato il più marcato aumento tra 2019 e 2021 (+19,4 punti percentuali). In nessun caso si è verificato un calo e soltanto la Polonia ha visto un incremento molto contenuto, pari a meno di 1 punto percentuale.

L’Italia e le difficoltà del lavoro da remoto

Stando ai dati Eurostat analizzati sopra, l’Italia è uno dei paesi che, prima della pandemia, registrava la minor incidenza di lavoro da remoto (il quinto dopo Bulgaria, Romania, Lituania e Ungheria). Una situazione che è certamente cambiata con la pandemia stessa, ma che ancora oggi risulta difficile fotografare. In primis per via della carenza di dati a riguardo.

Come evidenzia l’istituto nazionale della previdenza sociale (Inps), la stragrande maggioranza delle persone non aveva avuto nessuna esperienza di lavoro da remoto prima dello scoppio della pandemia.

87,6% degli intervistati dichiara di non aver mai fatto esperienza di alcuna forma di lavoro da remoto prima dell’emergenza sanitaria.

Da un altro sondaggio, realizzato da Inapp, sappiamo che nella fase più acuta della pandemia quasi 9 milioni di persone, nel nostro paese, hanno lavorato da remoto, pari a circa il 40% di tutti gli occupati. Una cifra che si sarebbe poi abbassata nel 2021 al 32,5%.

Un privilegio, ma con degli aspetti negativi.

Si è trattato certamente di un cambiamento positivo, che ha permesso a molte persone di rimanere a casa durante la fase di emergenza sanitaria, pur continuando a lavorare. E che ha inoltre aperto la strada al ripopolamento delle zone rurali. Un privilegio che tuttavia ha comportato anche una serie di problematiche. Per esempio quella di una maggiore sregolatezza delle ore lavorative, come emerge da uno studio di Eurofound (la fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro). La condizione di lavoro da remoto ha infatti significato spesso, come evidenzia l’agenzia, un eccesso di ore lavorate.

Nel nostro paese Istat ha condotto una ricerca su chi ha continuato a lavorare da remoto anche dopo l’allentamento delle restrizioni (il sondaggio è stato svolto tra dicembre del 2021 e gennaio del 2022) e ne è emerso che oltre la metà degli intervistati avvertiva almeno un ostacolo in tale modalità di lavoro. Tra cui anche la sovrapposizione rispetto ad attività personali e familiari, dovuta proprio alla sregolatezza degli orari lavorativi.

54,2% degli intervistati afferma di aver incontrato almeno una difficoltà, lavorando da remoto.

I dati provengono dal “Diario della giornata e attività ai tempi del coronavirus”, un’indagine condotta da Istat dopo l’allentamento delle restrizioni (tra dicembre 2021 e gennaio 2022). Le quote non sono cumulabili perché ogni intervistato poteva indicare più di una difficoltà. I rispondenti che hanno riportato almeno una difficoltà costituiscono il 54,2% del totale. Tutti gli intervistati sono maggiorenni.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Istat
(consultati: giovedì 9 Marzo 2023)

La difficoltà più frequentemente rilevata riguarda la connessione a internet (28,6%). Una questione che ha a che fare con le ampie disuguaglianze digitali ancora oggi radicate nel nostro paese. Nel 2020 l’Italia era infatti uno degli ultimi paesi Ue nella classifica degli indicatori digitali.

Seguono, come difficoltà più frequentemente indicate, quella di concentrazione (26,1%) e quella causata dalla sovrapposizione con attività personali o familiari (23,4%).

Un fenomeno, quello del lavoro da remoto, che a oggi sembra essere stato uno dei più impattanti del periodo pandemico. Almeno in Italia, dove prima aveva un’incidenza molto bassa. E almeno nel breve termine. Se questo sarà un cambiamento di lungo termine emergerà più chiaramente nei prossimi anni. Come anche per le altre dinamiche, estremamente complesse, che hanno caratterizzato il mondo dell’occupazione a ridosso della pandemia.

European data journalism network

Questo articolo è stato scritto nell’ambito dello European data journalism network, la piattaforma per le notizie data-driven sugli affari europei di cui openpolis fa parte. Il progetto sugli effetti della pandemia sul mondo del lavoro è stato coordinato da Alternatives économiques e ha visto la partecipazione di altre 5 redazioni europee: il Sole 24 ore, Voxeurop, El Confidencial, Pod črto e Divergente.

Foto: Jean-Etienne Minh-Duy Poirrierlicenza

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