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Dichiarazione di Emma BONINO
Uno status quo dannoso per l'emancipazione economica
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(09 gennaio 2009) - fonte: Le nuove ragioni del socialismo - Emma Bonino - inserita il 10 gennaio 2009 da 31
In Italia coesistono due fenomeni: un tesoro sommerso, le donne, e un tabù, le pensioni. La questione della differenza nell’età pensionabile tra uomo e donna si trova precisamente al crocevia di questi due fenomeni. Una differenza che trovo discriminatoria, insostenibile e nemica delle donne. Paradossalmente, la crisi economica mondiale e la particolare fragilità del sistema Italia può trasformarsi in un’occasione utile per affrontarla con senso di responsabilità.
La situazione occupazionale delle donne in Italia era già particolarmente grave prima ancora che la crisi economica si abbattesse su di noi. Ci sono cifre che ho perfino pudore a pronunciare tanto sono eloquenti. In Italia il 67% degli inattivi sono donne, un fatto che le colloca in una zona grigia, al confine tra attività e inattività. Secondo le statistiche, 3,5 milioni di donne inattive in Italia sarebbero propense ad intraprendere un’attività lavorativa qualora se ne presentasse l’occasione ma non possono, per mancanza di servizi e di domanda dalle imprese. L’accesso femminile al mercato del lavoro è del 46,7% (per gli uomini il 70,9%) con una chiara spaccatura Nord-Sud: al Nord è nella media europea, sul 60%, ma appena si scende al centro-Sud precipitiamo a cifre sotto il 30%. Scattata questa fotografia impietosa di un capitale inespresso, passo al tabù delle pensioni.Abbiamo avuto tre riforme in dodici anni. Tre diversi governi italiani hanno provato ad indirizzare la spesa pensionistica su binari di sostenibilità per le finanze pubbliche. Prima la riforma Dini, con il passaggio al sistema contributivo, quindi la Maroni, con l’introduzione dello scalone, ed infine l’ultima versione con il Governo Prodi e gli scalini. C’è stata in effetti una certa schizofrenia in materia pensionistica, che fa sì che tale argomento sia sistematicamente derubricato per vari motivi: perché "in troppi ci hanno già messo le mani", perché si fa sempre scontento qualcuno, perché "i sindacati poi chi li sente". Insomma, meglio lasciare la patata bollente al prossimo Governo in arrivo.
Più le battaglie sono ostiche e anche apparentemente impopolari, più, forse per tradizione radicale, mi appassionano. Ma, allo stato in cui siamo, questa in particolare dovrebbe appassionare un po’ tutti. Tanto più che oggi dobbiamo fare i conti con una condanna della Corte di Giustizia europea per la mancata equiparazione dell’età pensionabile tra uomini e donne nel pubblico impiego, con eventuale multa da capogiro. Il Governo italiano deve dare entro il 13 gennaio una risposta alla sentenza dicendo se e cosa intende fare. Finora il dibattito che si è acceso mi è sembrato troppo ideologico ed improntato al "politichese". E’ forse utile contribuirvi con qualche dato che aiuti a comprendere perché le pensioni delle donne, l’occupazione femminile, la continuità della carriera lavorativa, l’equiparazione dell’età pensionabile, le reti di servizi di cura, debbano ritornare nell’agenda politica del Paese: l’importo medio mensile delle donne è pari al 52% di quello dei maschi per le pensioni di vecchiaia, del 70% per quelle di invalidità e sono invece superiori del 147% per quelle di reversibilità perché le donne vivono più a lungo. Negli ultimi 10 anni l’importo medio delle pensioni dei maschi è cresciuto del 41% mentre quello delle donne è cresciuto del 35%. Inoltre, i salari delle donne sono di un terzo inferiore a quello degli uomini a parità di mansione; e solo l’8% dei bambini ha accesso all’asilo nido rispetto ad una richiesta europea del 30% e ad una media effettiva che supera il 40%.
Di fronte a tutto questo come risponde lo Stato italiano? Con il risarcimento, che definirei "peloso", di mandare le donne a casa prima, con una pensione quindi più bassa, perché facciano da baby sitter ai figli dei loro figli. Come si fa a difendere uno status quo così palesemente dannoso? Bisogna invece cogliere l’occasione della sentenza della Corte europea per dire sì all’equiparazione dell’età pensionabile, perché diventi anche un sì all’equiparazione dei salari, delle carriere e all’inizio di una diversa politica di servizi di cura e di assistenza. Altrimenti tra un anno e mezzo avremo anche la beffa di una multa di milioni di euro che potremmo invece usare a soluzione parziale delle tante carenze. Questa proposta potrebbe andare in parallelo con la direttiva europea da recepire sulla parità di accesso al mercato del lavoro che sta nella prossima legge comunitaria in votazione a gennaio o febbraio al massimo. Se ne potrebbe fare occasione per una discussione più ampia con l’opinione pubblica anche perché talvolta ho l’impressione che abbiamo perso di vista, a destra come a sinistra, un concetto - eppure così "femminista"- dell’emancipazione economica della donna. Prima degli anni ‘70, le donne, pur partendo da una situazione ben più difficile di adesso, i mezzi se li sono presi. Forse è il caso che le donne tornino alla riscossa, possibilmente evitando il qualunquismo del "tutto da buttare" o l’altra malattia tipica del nostro dibattito politico quando si parla di donne, il "benaltrismo". Cioè la mania di rifiutare qualunque proposta di cambiamento perché "ci vuole ben altro", con la sola conseguenza della paralisi totale. Perché mi domando: chi può oggi considerare civile, paritario, giusto, sensato mantenere questa differenza, per noi e per le prossime generazioni?
Fonte: Le nuove ragioni del socialismo - Emma Bonino | vai alla pagina » Segnala errori / abusi