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Dichiarazione di Paolo CIRINO POMICINO


 

«Sotto il Vesuvio la politica è morta Ma non è solo colpa dei magistrati» - INTERVISTA

  • (04 dicembre 2008) - fonte: Il Giornale - Stefano Zurlo - inserita il 04 dicembre 2008 da 31

    Sta in poltrona, raggomitolato come un gatto. Ma gli occhi scrutano il disastro napoletano. Paolo Cirino Pomicino, eterno come solo certi dc, allarga le braccia e trasmette il suo sconforto: «Napoli è al disastro».
    Napoli è un verminaio. E la magistratura va con la ramazza.
    «Non condivido la sua impostazione giustizialista».
    Le inchieste sono sotto gli occhi di tutti. «Lo so. Purtroppo devo constatare che l’azione della magistratura, questa volta, è irrilevante».
    Che vuol dire?
    «Le faccio io una domanda: sa dirmi i nomi di tre parlamentari napoletani di destra o di sinistra? La politica, a Napoli, è morta».
    Addirittura?
    «Sì, non ci sono più i partiti e la società partenopea, strutturalmente debole, va a fondo. Ci sono i rifiuti, la marginalizzazione, la criminalità fortissima. Solo se si riprende il bandolo della politica si può sperare in un futuro diverso».
    Forse facciamo i conti con la fine del Rinascimento napoletano?
    «Io ho sempre criticato ad alta voce la Napoli fasulla di Bassolino, la Napoli che s’imbellettava in piazza Plebiscito, ma bastava girare l’angolo per trovare il degrado. Del resto a suo modo, anche Bassolino ha fatto leva sull’antipolitica e oggi è al tramonto. Come la Iervolino. La sinistra a Napoli ha fatto della politica un buco nero».
    Il presidente Napolitano ha parlato con toni drammatici del caso Napoli. Come se ne esce?
    «La memoria è breve».
    A cosa si riferisce?
    «Due anni fa, ottobre 2006, lo stesso Napolitano disse che Napoli attraversava i suoi giorni peggiori. Fu creata dal neonato governo Prodi una task force per puntellare le molte facce della crisi. È servita a poco o nulla. Napoli, a parte gli interventi di Berlusconi sull’immondizia, è morta con Mani pulite».
    Parla lei che fu inquisito almeno quindici volte.
    «E anche arrestato per estorsione. Ma sempre assolto».
    Veramente, lei ha sulle spalle una prescrizione.
    «Per corruzione impropria: pensi che hanno sequestrato perfino i regali per il matrimonio di mia figlia. Comunque sto aspettando il deposito di quella sentenza per fare appello, perché io quella macchia non la voglio».
    Ci sono anche un patteggiamento e una condanna per il capitolo Enimont.
    «A Milano, per finanziamento illecito. La mia colpa, la colpa della classe dirigente degli anni Novanta, è stata quella di non dichiarare da dove provenivano i soldi della politica. Perché chi ce li dava, in qualche misura si vergognava, non voleva che la donazione diventasse pubblica».
    Mani pulite tolse di mezzo una classe dirigente infestata dalla corruzione.
    «No, Mani pulite eliminò i partiti, un intero sistema. I capi sono stati prosciolti. Penso al sottoscritto, a Gava, a Scotti».
    Perché non pensa anche a De Lorenzo?
    «Un caso singolo».
    Di Donato?
    «Altro caso singolo».
    Oggi si indaga sulla gestione del patrimonio immobiliare del Comune di Napoli. Sullo stesso tema c’era già stata un’inchiesta alcuni anni fa. Si torna al punto di partenza?
    «Se ci sono responsabilità, le colpiscano. Per carità. Però, molte inchieste sono finite in nulla».
    Altre con condanne.
    «Se è per questo io sona la prova della terzietà della magistratura giudicante».
    Di che cosa?
    «Della terzietà. I giudici non sono affatto appiattiti sui pm. Le mie assoluzioni lo dimostrano. E io sono un privilegiato: ho avuto la fortuna di girare l’Italia, processo per processo, difendendo la mia storia personale, quella del mio partito, le istituzioni. Pensi che a un certo punto, i pm di Napoli volevano mettere nel mirino l’ala migliorista del Pci».
    Il futuro presidente Giorgio Napolitano?
    «Proprio lui. Mi fu fatto il suo nome, erano convinti che io avessi girato un contributo alla sua corrente. Ci fu un lungo confronto con una persona di cui non voglio fare il nome, la cosa finì lì».
    Oggi la criminalità condiziona la politica napoletana?
    «Certo e sa perché? Perché con l’avvento del bipolarismo i partiti si sono moltiplicati».
    Ma non si erano dissolti?
    «Appunto. Ogni persona si guarda allo specchio e forma un partito. A Napoli è così. E la solitudine espone a grandi tentazioni, facilita l’aggressione della criminalità, oppure è sinonimo di impotenza. Le do un dato: almeno il 40 per cento dei comuni intorno a Napoli è stato sciolto per infiltrazioni della camorra negli ultimi dieci anni».
    Conclusione?
    «La classe politica napoletana deve riaprire il dialogo con la gente: c’è bisogno di partiti strutturati, in cui non ci si senta più soli».

    Fonte: Il Giornale - Stefano Zurlo | vai alla pagina
    Argomenti: bassolino, napoli, camorra, magistratura, criminalità, partiti, inchieste, presidente Napolitano, patrimonio immobiliare, crisi | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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