Un quarto degli europei non ha né cerca lavoro Europa

La popolazione in età lavorativa non è composta solo da occupati e disoccupati, ma anche da inattivi, ovvero coloro che non hanno un impiego né lo cercano. L’Italia è il paese membro con il tasso di inattività più elevato e con uno dei maggiori divari di genere.

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Quando si analizza lo stato del mercato del lavoro si fa riferimento a indicatori come il tasso di occupazione e quello di disoccupazione. Elementi importanti, ma che da soli non ne restituiscono un’immagine completa. Infatti, la popolazione è composta anche di persone che non lavorano e che non sono alla ricerca di un impiego. Si parla in questo caso di inattivi.

Gli inattivi in età lavorativa costituiscono un quarto di tutta la popolazione europea e l’Italia è il primo paese membro per incidenza. Negli anni la quota si è lievemente ridotta come in praticamente tutti gli altri stati dell’Unione, ma il dato resta elevato e soprattutto è marcato il divario tra gli uomini e le donne.

La forza lavoro e gli inattivi in Europa

Quando si parla di inattività, si intende fondamentalmente quella fetta di popolazione che non ha un impiego né lo cerca. Un dato che Eurostat raccoglie nell’ambito del Labour force survey (rilevazione sulla forza lavoro).

Si definiscono inattivi tutti coloro che non fanno parte della forza lavoro. Una categoria che in teoria racchiude anche bambini, studenti e pensionati. Ma si può restringere il campo di analisi e identificare solo gli inattivi in età lavorativa, cioè tutte le persone che potrebbero lavorare, ma non lo fanno né hanno intenzione di farlo.

Occupati e disoccupati compongono la forza lavoro, cioè la popolazione economicamente attiva. Al di fuori della forza lavoro, gli inattivi: coloro che non sono classificabili né come occupati né come disoccupati. Vai a “Che cosa si intende per occupati, disoccupati e inattivi”

Stando all’ultimo aggiornamento Eurostat, nel 2022 l’inattività è una condizione che accomuna più di un quarto della popolazione europea di età compresa tra i 15 e i 64 anni.

25,5% il tasso di inattività in Ue (2022).

Il lavoro in nero influisce sull’inattività.

Il tasso varia ampiamente, registrando in Italia e in Romania i valori più alti. A influenzare il dato sull’inattività, rendendolo in questo senso meno affidabile nel descrivere il coinvolgimento dei cittadini nel mondo del lavoro, è l’incidenza del lavoro in nero e in generale dell’economia sommersa. Le numerose persone che hanno un lavoro irregolare non figurano infatti nella statistica come occupati, e se non stanno allo stesso tempo cercando un impiego regolare non contano nemmeno come disoccupati. In Italia, come abbiamo raccontato recentemente, l’economia sommersa ha un’entità notevole, e Istat ha stimato che nel 2019 ammontasse a oltre 200 miliardi di euro.

I dati provengono dal Labour force survey di Eurostat e si riferiscono alla quota delle persone di età compresa tra i 15 e i 64 anni che risultano inattive. Ovvero coloro che non fanno parte delle forze di lavoro, non classificate come occupate o in cerca di occupazione.

FONTE: elaborazione openpolis su dait Eurostat
(pubblicati: giovedì 27 Aprile 2023)

Con il 34,5%, l’Italia è il primo paese Ue per tasso di inattività. Seguono Romania, Grecia e Croazia con quote superiori al 30%. Sotto il 20% invece si trovano Danimarca, Estonia, Svezia e Paesi Bassi.

Dal 2013 il tasso di inattività si è comunque ridotto in tutti gli stati membri (tranne la Spagna che ha visto un lieve aumento, di 0,3 punti percentuali): mediamente una variazione di circa 3 punti percentuali. Anche da questo punto di vista le differenze sono notevoli, con paesi in cui il calo è stato di oltre 10 punti (Malta, Ungheria) e altri in cui non ha superato i 2 punti (Germania, Grecia e Romania, oltre alla già citata Spagna). Per quanto riguarda l’Italia, la diminuzione è stata pari a 2,1 punti percentuali: un dato inferiore alla media.

Le donne sono maggiormente esposte all’inattività

Nonostante gli avanzamenti in fatto di parità di genere che hanno avuto luogo in Europa, in primis rispetto alle politiche del lavoro, alcuni stereotipi gravano ancora sulle donne. In particolare l’idea, di matrice tradizionalista, che queste siano le principali responsabili della cura dei parenti e dei figli e che debbano avere maggiori oneri a livello domestico. A questo si aggiunge il fatto che spesso mancano le infrastrutture, in primis gli asili nido, per permettere alle madri di continuare a lavorare. E che spesso le donne seguono percorsi di carriera meno tecnici rispetto agli uomini, dove la disponibilità di lavoro è inferiore.

Tra le varie conseguenze c’è il fatto che le donne molto più spesso rispetto agli uomini si ritrovano a non lavorare. Non c’è un solo paese europeo, nel 2022, in cui non esista un divario di genere in questo senso. Anzi, è molto elevato: mediamente ammonta a quasi 10 punti percentuali.

30,5% il tasso di inattività tra le donne in Ue (2022).

È indicata la differenza, in punti percentuali, tra il tasso di inattività registrato tra le donne e quello registrato tra gli uomini, nei paesi membri dell’Ue. Rientrano tra gli inattivi le persone che non fanno parte delle forze di lavoro, ovvero quelle non classificate come occupate o in cerca di occupazione.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Eurostat
(pubblicati: giovedì 27 Aprile 2023)

La Romania è il paese che registra il divario più pronunciato: quasi 19 punti percentuali. Seguono Italia e Grecia sempre sopra i 16 punti percentuali di differenza. In 7 paesi membri lo scarto è inferiore ai 5 punti.

Foto: Renanlicenza

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