Senza programmazione trasparente ogni scadenza diventa emergenza Covid-19

Acquisto dei banchi, distanze sugli autobus, uso delle mascherine. Con la riapertura della scuola sono molti i nodi che stanno venendo al pettine. Ecco perché l’incertezza di queste settimane è frutto anche della poca trasparenza.

|

La riapertura della scuola, lunedì prossimo, segnerà per molti versi anche un ritorno alla quotidianità per il nostro paese.

Il rientro in classe porta con sé infatti una serie di questioni aperte: accesso al trasporto pubblico locale, condizione delle scuole, disponibilità di test e dispositivi di protezione, fino alle misure da adottare in caso di nuovi focolai.

Questioni che, come tutte quelle importanti, non sono affatto di facile soluzione, tanto meno in una situazione di emergenza. E che proprio per questo vanno affrontate con metodo, trasparenza e soprattutto per tempo, per evitare caos e confusione.

Risposte tardive provocano disservizi per i cittadini, aggravano l’emergenza e giustificano strumenti speciali per la soluzione della crisi, come provvedimenti straordinari e gestioni commissariali.

La mancanza di programmazione conduce a uno stato di emergenza permanente.

A nostro avviso, un approccio solo emergenziale mostra tutti i suoi limiti quando parliamo di scadenze già note, o comunque prevedibili. Spesso stabilite dalle stesse leggi di emergenza. La chiusura delle scuole poneva già la necessità di valutare come riaprirle in modo sicuro e ordinato. L’approdo alla fase 3 aveva come corollario l’esigenza di riprogrammare il trasporto pubblico. Così come la fine del regime agevolato per lo smart working, il 15 ottobre, porrà tutte le questioni di un paese che ritorna ad affollare strade, uffici e città: dai trasporti alla sanificazione di uffici, locali e servizi.

3 le fasi in cui si articola un processo decisionale efficace: valutazione tecnica, decisione politica, attuazione amministrativa.

Problemi complessi, che richiedono una risposta in 3 fasi. Una valutazione delle soluzioni praticabili, come emerse nel Comitato tecnico-scientifico. Decisioni politiche chiare, assunte in prima persona dagli organi politici, basate sulle evidenze scientifiche. Infine, la terza fase, sempre sottovalutata, dell’attuazione e implementazione delle norme. Quella più delicata, da monitorare con la massima trasparenza di tutti gli atti e le informazioni disponibili. In particolare sui contratti pubblici stipulati nel corso dell’emergenza: bandi di gara, aziende selezionate, importi di aggiudicazione.

Tutte le fasi di questo processo dovrebbero sempre essere rese trasparenti, coinvolgendo l’opinione pubblica in un dibattito basato sui dati e non sulle indiscrezioni.

La cronaca di queste settimane racconta che è stato seguito un percorso totalmente diverso, che ha trasformato tutte le successive scadenze in emergenze. Così gli spazi della gestione emergenziale si sono allargati, rendendo difficile il controllo sulle scelte politiche e amministrative.

Il progressivo allargamento dello stato di emergenza

Con questo meccanismo l’emergenza si perpetua, come abbiamo visto nel corso di questi mesi. Nella prima crisi sanitaria, del resto, sarebbe stato difficile fare altrimenti: l’imprevedibilità degli eventi rendeva impossibile qualsiasi programmazione preventiva. Ma questo, come già sottolineato, non si può dire per il ritorno a scuola o per la gestione dei trasporti pubblici.

Per queste ragioni, dall’inizio della crisi, abbiamo chiesto che sulle scelte politiche e amministrative ci fosse la massima trasparenza. Non solo per una questione di metodo, ma anche di efficacia nella risposta alla crisi e nella comunicazione con i cittadini, che hanno diritto di avere risposte chiare sulle modalità con cui il paese si prepara alla riapertura.

Con una maggiore trasparenza, il dibattito pubblico avrebbe potuto basarsi su assunzioni e previsioni scientifiche, emerse nelle sedute della commissione tecnico-scientifica. In questo senso, la scelta di non pubblicare da subito tutti i verbali delle sedute del Cts ha finito con l’alimentare speculazioni basate su retroscena e indiscrezioni carpite dalla stampa. Una pubblicazione che – a nostro avviso – deve essere completa e tempestiva, salvaguardando ovviamente le esigenze in termini di privacy.

La confusione di queste settimane è dovuta anche a un processo decisionale poco chiaro.

Sulla base del dibattito e dei pareri emersi nel Cts, si sarebbe potuto dare seguito ad un processo decisionale trasparente e basato su evidenze scientifiche. Mentre la cronaca di queste settimane ci racconta di incertezze – assolutamente comprensibili, dato che ci troviamo di fronte a una situazione inedita e di difficile gestione – ma anche di poca trasparenza e comprensibilità dei processi decisionali. Ne è un esempio il confronto tra stato e regioni sulla quota di passeggeri che possono salire sui mezzi pubblici. L’accordo raggiunto in conferenza unificata (80% di capienza massima, 100% per viaggi inferiori ai 15 minuti) da cosa deriva? Da una determinazione preventiva del Cts? Dalla difficoltà di programmare un ampliamento del parco mezzi? Da un compromesso tra stato e regioni?

Infine, nell’implementazione amministrativa sarebbe stato doveroso rendere pubbliche tutte le informazioni in possesso delle amministrazioni: dati, risorse, procedure, modalità di scelta dei fornitori, aziende selezionate. Senza conoscere questi aspetti diventa impossibile per i cittadini una valutazione obiettiva sull’operato dell’amministrazione pubblica.

Banchi mobili, la distanza tra atti ufficiali e dichiarazioni

La vicenda dei banchi monoposto in questo senso è emblematica di come comunicazione pubblica e atti ufficiali non siano sempre andati di pari passo, alimentando la confusione.

Il bando per l’acquisto dei banchi, pubblicato il 20 luglio scorso, prevedeva due lotti: il primo fino a 1,5 milioni di banchi e 700mila sedute di tipo tradizionale; l’altro fino a 1,5 milioni di sedute innovative (con le ruote e il banco annesso).

Queste ultime, come molti ricorderanno, erano state indicate in tv dal ministro dell’istruzione come una soluzione praticabile per l’attività didattica.

 

Eppure nello stesso allegato tecnico al bando viene specificato che si tratta di prodotti non conformi per l’utilizzo a scuola. Sono i singoli dirigenti degli istituti che devono attestarne idoneità:

Trattandosi di prodotti non ancora classificati, ai fini della normativa UNI EN, nella categoria dei banchi scolastici, l’idoneità funzionale all’impiego in istituti di istruzione di livello sub-universitario dovrà essere adeguatamente attestata dai responsabili degli istituti in cui tali sedute sono state già utilizzate.

Un aspetto confermato dalle stesse aziende che hanno partecipato al bando per le forniture.

L’unica certezza è che le loro sedute non sono “innovative” ma tradizionali «senza le rotelle, insomma, anche perché quelle che io sappia non sono a norma, specie per l’uso da parte dei minorenni». Quindi le aziende che le producono come fanno? «Si assumono il rischio di essere ritenute responsabili in caso di incidenti, poi non so quali accordi abbiano preso con il committente»

Incertezza sulle responsabilità e processo confuso

Il primo elemento per un processo decisionale efficace è la possibilità di attribuire responsabilità nelle varie attività svolte. In questo caso le responsabilità sono tutto meno che chiare. Possono ricadere sui presidi, come lascia intendere il bando? Sulle aziende produttrici? Oppure sulla gestione commissariale?

Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale presidi, ha però sottolineato che dovrebbe essere lo stesso Arcuri il garante sulla legittimità della possibile alternativa di attestazione. Infatti, in caso di eventuali incidenti o malfunzionamento la responsabilità non può essere data ai presidi. Giannelli ha tenuto a precisare che “la responsabilità connessa alla fornitura di un bene ricade su colui che lo fornisce e quindi non sul singolo preside che ne è destinatario”

L’altro aspetto che colpisce in questa vicenda è che tutte le fasi di un corretto processo di valutazione e programmazione sono state stravolte. Al Cts, come dichiarato dal suo coordinatore Agostino Miozzo, non sembra essere stata richiesta alcuna valutazione preventiva:

Sulla tematica dei banchi a rotelle, il Comitato tecnico scientifico non si è mai espresso, nessuno ci ha mai chiesto una valutazione. Noi abbiamo valutato i banchi a seduta fissa, perché l’Inail ci ha dato delle valutazioni su quelli.

Sul fronte politico, di conseguenza, è legittimo chiedersi se la la decisione sia stata presa dopo un’attenta valutazione basata su dati ed evidenze scientifiche. Anche considerando che il ministro che ha la responsabilità politica sul tema si è speso pubblicamente per giustificare l’acquisto di un prodotto non classificato a norma.

Sul piano amministrativo, il commissario Arcuri ha dichiarato che assicurerà trasparenza sui contratti, entro termini di legge. Ma le questioni che sono emerse in queste settimane chiedono in ogni caso uno sforzo in più in termini di trasparenza. Pubblicare tutti i dati sui fornitori e i contratti stipulati è l’unico modo per fare chiarezza su informazioni che, ad oggi, vengono ricostruite in modo frammentario attraverso interviste e dichiarazioni.

Inoltre, sui precedenti bandi relativi all’emergenza sanitaria, le assicurazioni iniziali sulla pubblicazione di tutti i dati non hanno avuto seguito. Le nostre richieste di accesso agli atti sono state rigettate, e le dichiarazioni del commissario Arcuri lasciano intendere che la trasparenza non sia un diritto dei cittadini, ma una prerogativa soggetta a discrezionalità politica:

È vero che non abbiamo ancora pubblicato i dati (…). Lo faremo quando saremo certi di evitare che vengano strumentalizzati per polemiche politiche.

Gli stop&go su mascherine e distanziamento in classe

Un altro esempio che evidenzia bene i limiti appena esposti è dato dalle determinazioni sul distanziamento e l’utilizzo della mascherina in classe. Questioni sanitarie, ma che chiaramente incrociano anche la riconfigurazione degli spazi in aula e l’acquisto dei nuovi arredi scolastici.

E che quindi riguardano le competenze di soggetti diversi: il comitato tecnico-scientifico, chiamato a fornire indicazioni e pareri al decisore sulle modalità della riapertura. Le istituzioni scolastiche e i presidi per la valutazione dei rischi nella singola scuola e delle necessità in termini di ridefinizione degli spazi e degli arredi. Gli enti locali, proprietari degli edifici scolastici, per gli interventi strutturali. Le regioni, che in base al titolo V della costituzione hanno competenza concorrente sull’istruzione.

Per l’acquisto degli arredi, in base al decreto semplificazioni del 17 luglio scorso, le gare sono affidate alla gestione commissariale del commissario Domenico Arcuri. Il ruolo centrale, infine, è quello del ministero dell’istruzione, che deve dettare le linee guida e soprattutto tenere le fila dell’intero processo.

6 i livelli istituzionali intervenuti sulle modalità della riapertura.

Una macchina che per funzionare ha bisogno di organizzazione, chiarezza sulle funzioni svolte e trasparenza nelle decisioni, in modo da evitare fraintendimenti e confusione. Purtroppo, oltre all’incertezza fisiologica data dal momento straordinario, ha probabilmente influito l‘opacità e la complessità dell’intero processo decisionale.

Nell’incertezza, si sono moltiplicate sui media informazioni basate su retroscena e indiscrezioni, che non hanno aiutato i cittadini a comprendere cosa veniva discusso e deciso. Una situazione che probabilmente non ha consentito neanche agli stessi decisori di operare in un clima di dibattito razionale su come programmare la riapertura.

Vediamo i passaggi fondamentali in cui questo processo si è articolato. Il primo documento cui fare riferimento sono le linee guida per la riapertura dell’anno scolastico 2020/21, presentate dal ministero dell’istruzione a fine giugno dopo il confronto con le regioni, e che fissavano la necessità di rispettare la distanza di un metro tra le “rime buccali” degli alunni, in coerenza con le indicazioni del comitato tecnico scientifico.

Mentre sull’utilizzo delle mascherine la decisione sembrava essere ancora in fase più interlocutoria, pur rimessa alle indicazioni comitato tecnico scientifico. Quest’ultimo, nella riunione del 28 maggio 2020, si era espresso indicando la necessità di indossare la mascherina per l’intera permanenza a scuola (salvo durante l’attività fisica e i pasti):

Gli alunni dovranno indossare, per l’intera permanenza nei locali scolastici, una mascherina chirurgica o di comunità di propria dotazione, fatte salve le dovute eccezioni (ad es. attività fisica, pausa pasto)

Una precauzione che poi era stata resa più flessibile, da modulare in base all’andamento dell’epidemia e in caso di effettivo distanziamento, come emerge nei verbali della seduta del 22 giugno:

Rimane la possibilità da parte del CTS di valutare a ridosso della ripresa scolastica la necessità dell’obbligo di mascherina per gli studenti (soprattutto della scuola primaria), per tutta la durata della permanenza a scuola e nei diversi ordini e gradi, una volta che possa essere garantito l’assoluto rispetto del distanziamento fisico sopra menzionato sulla base dell’andamento dell’epidemia anche in riferimento ai diversi contesti territoriali.

Le linee guida Miur pubblicate pochi giorni dopo, infatti, indicavano un termine di due settimane dall’inizio delle lezioni (previsto il 14 settembre) per il pronunciamento del Comitato tecnico scientifico. Un decisione da prendere in base alle misure di distanziamento realizzate e all’andamento dei contagi.

Nel corso del mese di agosto probabilmente emergono le difficoltà nei tempi di acquisto dei nuovi arredi scolastici. La gara bandita fissa come termine che la consegna avvenga prima della riapertura delle scuole. Mentre un comunicato del commissario all’emergenza, successivo alla scadenza del bando, praticamente prescinde da questo termine: “I banchi monoposto e le sedute attrezzate saranno consegnati a partire dai primi giorni di settembre e fino al mese di ottobre (…)”.

Pochi giorni prima, vi era stata una riformulazione delle indicazioni trasmesse ai presidi per la riapertura. Con la possibilità di derogare (solo temporaneamente) alla distanza di un metro, in presenza della mascherina:

(…) al solo scopo di garantire l’avvio dell’anno scolastico, in eventuali situazioni in cui non sia possibile garantire nello svolgimento delle attività scolastiche il distanziamento fisico prescritto sarà necessario assicurare la disponibilità e l’uso della mascherina, preferibilmente di tipo chirurgico, garantendo periodici e frequenti ricambi d’aria insieme alle consuete e già richiamate norme igieniche.

Il 19 agosto, nel corso di un’intervista a Skytg24, il coordinatore del Comitato tecnico scientifico sembra tornare al parere del 28 maggio rispetto all’obbligo delle mascherine:

Ai ragazzi sopra i sei anni sarà chiesto di portarla (…) Ci saranno delle condizioni particolari come ad esempio l’uso o non uso della mascherina per un ragazzo o una ragazza non udente, per un bambino o una bambina con delle difficoltà neurologiche o psicologiche oppure durante l’interrogazione. Ci saranno dei momenti del contesto locale e specifico che saranno di volta in volta valutati. Ovviamente non c’è la mascherina a mensa o mentre si fa ginnastica, però l’indicazione è di utilizzarla

Processi decisionali poco chiari e trasparenti portano a interpretazioni, retroscena e confusione.

Una posizione poi corretta con un comunicato del Cts alla stampa in serata, che conferma la possibilità di togliere la mascherina al banco, se è mantenuta la distanza di un metro. Le raccomandazioni tecniche del 31 agosto scorso (il termine per la decisione finale) confermano questa posizione, distinguendo tra i diversi gradi scolastici. Nella scuola primaria, in condizione di staticità e con un metro di distanza, è possibile togliere la mascherina (salvo alcune eccezioni). Nella secondaria, data la trasmissibilità analoga a quella degli adulti, la mascherina si può togliere – oltre ai requisiti precedenti – in caso di una “situazione epidemiologica di bassa circolazione virale come definita dalla autorità sanitaria”.

Processi decisionali trasparenti per aumentare la chiarezza

Nel paragrafo precedente abbiamo cercato di ricostruire, in modo quanto più possibile ordinato, i passaggi che hanno portato alla formazione di una decisione sulle mascherine e il distanziamento in classe. Non è il solo esempio che avremmo potuto sviluppare, basti pensare al citato dibattito sulle distanze da tenere nei trasporti pubblici.

Ovviamente, il problema fondamentale risiede – come già sottolineato – in una situazione inedita, che nessuno nega. Ma, a nostro avviso, questi casi dimostrano come l’incertezza derivi anche da opacità e complessità nei processi decisionali e dalla poca trasparenza con cui questi passaggi vengono gestiti.

Nella carenza di fonti e atti ufficiali cui fare riferimento, in queste settimane il dibattito pubblico si è alimentato attraverso indiscrezioni, dichiarazioni a mezzo stampa e social, retroscena. E questo ha prodotto ancora più confusione in una situazione incerta per sua natura, alimentando preoccupazione e sfiducia nei cittadini.

L’opacità non può essere una scelta politica

Alla luce di tutto questo, appare incomprensibile che i verbali del Comitato tecnico scientifico siano stati pubblicati solo a seguito della meritoria iniziativa della fondazione Einaudi, e di una forte pressione dell’opinione pubblica. E non capiamo perché le nostre richieste di accesso agli atti sui bandi Covid siano state negate dal commissario Domenico Arcuri.

Nel momento in cui la gestione commissariale si sta occupando di temi decisivi per la ripartenza del paese, come la riapertura delle scuole, sarebbe fondamentale avere a disposizione tutti i dati disponibili sulla gestione della crisi. Sapere nel dettaglio come vengono spesi i soldi per far fronte all’emergenza, attraverso quali canali e fornitori.

Su questo tema il commissario è tornato alla fine di agosto, con dichiarazioni che lasciano poco spazio a dubbi.

È vero che non abbiamo ancora pubblicato i dati (…). Lo faremo quando saremo certi di evitare che vengano strumentalizzati per polemiche politiche.

La dichiarazione del commissario ha il merito di non nascondersi dietro a ipocrisie e ragioni tecniche, ma di identificare la scelta di non pubblicare come una decisione politica. Una scelta che non condividiamo, ma che almeno viene rivendicata per quello che è. Se le informazioni che riguardano l’emergenza non sono ancora pubbliche è per una decisione politica, e ne deve rispondere necessariamente il governo in carica.

PROSSIMO POST