Propaganda online, a che punto siamo in vista del voto Elezioni europee

Le soluzioni messe in campo da Facebook, Twitter e Google per le elezioni europee lasciano ancora molte zone d’ombra. Il parlamento italiano dovrebbe intervenire, ma non fa nulla.

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Manca un mese e mezzo alle elezioni del parlamento europeo, ed è ora possibile iniziare ad analizzare le iniziative che i grandi del web hanno lanciato per rispondere alle richieste della commissione europea nel campo delle sponsorizzazioni social.

Ad oggi infatti la cosiddetta propaganda politica online, sui social e internet più in generale, non è ancora correttamente normata. Questo sia perché in paesi come l’Italia non vengono imposte le regole già in essere per la normale propaganda elettorale anche a quella online, sia perché i grandi del web che forniscono servizi di advertisement online hanno livelli di trasparenza ancora troppo bassi.

Gli strumenti lanciati non bastano, e il parlamento italiano continua a non intervenire.

Nelle roadmap firmate lo scorso autunno da Facebook, Twitter e Google sotto invito della commissione europea, i diversi stakeholder si erano impegnati ad introdurre nella primavera del 2019 soluzioni che rendessero più trasparenti i meccanismi della propaganda elettorale sul web. Alcuni di questi strumenti sono ormai online da un paio di settimane, e le criticità sembrano già essere evidenti. Le soluzioni implementate infatti forniscono poche informazioni, non danno un quadro chiaro della situazione, e provano ancora una volta come l’autoregolamentazione non può essere la strada da precorrere.

I capitoli precedenti

Ad aprile dello scorso anno la commissione europea era intervenuta per cercare di arrivare alle elezioni europee preparata. Nella comunicazione al parlamento europeo “Contrastare la disinformazione online: un approccio europeo” aveva tentato di affrontare in maniera diretta il tema delle pubblicità online, richiedendo alle piattaforme digitali e all’industria pubblicitaria di conseguire, tra gli altri, i seguenti obiettivi:

  • migliorare significativamente il vaglio delle inserzioni pubblicitarie;
  • garantire trasparenza circa i contenuti sponsorizzati, in particolare per quanto riguarda i messaggi pubblicitari di natura politica e le campagne di sensibilizzazione;
  • la realizzazione di un archivio;
  • intensificare e dimostrare l’efficacia degli sforzi impiegati per chiudere i profili falsi;
  • offrire alle organizzazioni e al mondo accademico accesso alle piattaforme di dati (in particolare tramite interfacce per programmi applicativi).

Un problema particolarmente rilevante, considerando che in paesi come il nostro, la propaganda online non è assolutamente regolamentata. Sia la legge 515 del 1993 infatti, che regola lo svolgimento delle campagne elettorali, che la 212 del 1956, che invece norma in concreto le propagande elettorali, non sono ancora state integrate ed adattate al largo utilizzo che la classe politica fa dei social e degli strumenti di comunicazione online. Questo comporta una serie di problemi:

  • nella scheda di rendicontazione spese che bisogna consegnare alle fine di ogni campagna elettorale non vi è l’obbligo di includere le spese per la propaganda online;
  • a differenza di quanto avviene per i manifesti elettorali, nelle pubblicità online non vi è l’obbligo di comunicare il mandatario (colui che finanza l’inserzione);
  • l’obbligo di silenzio elettorale, che vige dal giorno precedente del voto, non ha applicazione, almeno in maniera chiara, per internet.

Come conseguenza le informazioni disponibili sulla propaganda elettorale svolta su internet, ed in particolare sui social network, sono poche e soprattutto non strutturate in un modo che permetta un pieno monitoraggio della materia.

Camminando per strada tutti vediamo gli stessi manifesti elettorali, su internet ognuno di noi vede pubblicità politiche differenti.

Questo è un problema perché mentre tutti vediamo gli stessi manifesti elettorali, parlando della tradizionale propaganda elettorale, ogni singolo utente su internet vede contenuti pubblicitari differenti, e questo ovviamente ha delle implicazioni che non si possono ignorare.

 

Il parere della commissione

A fine marzo la commissione europea ha pubblicato la sua relazione mensile sui progressi fatti dalle piattaforme online nell’ambito degli impegni presi.

I commissari Andrus Ansip, Věra Jourová, Julian King e Mariya Gabriel hanno dato un parere ampiamente positivo sull’avanzamento delle roadmap, ma andando a vedere nel dettaglio le novità, molti dubbi rimangono. La commissione infatti nota con piacere, definendolo persino un raggiungimento importante, che Google, Twitter e Facebook abbiano confermato che i diversi tool scelti saranno messi online entro le elezioni europee di maggio.

Definire tale conferma come un avanzamento positivo appare certamente esagerato considerando che la sottoscrizione degli impegni risale allo scorso autunno, quasi 6 mesi fa, che al giorno del voto manca ormai poco più di 1 mese, e che tutto questo processo è stato attivato proprio in vista delle elezioni europee.

Gli unici commenti negativi riguardano la necessità di aumentare il numero di informazioni fornite per valutare le iniziative messe in campo per contrastare sia i bot che gli account falsi. La commissione ha poi incoraggiato le 3 aziende a lavorare più attivamente con ricercatori e attivisti soprattutto sui dati degli account non autentificati che sono stati individuati e rimossi.

Nelle mani dell’autoregolamentazione

Nei singoli report presentati dalle varie strutture poi viene fatto il punto sulle specifiche novità introdotte in questi mesi. Novità che ricordiamo sono introdotte in spirito di autoregolamentazione da parte delle piattaforme, e che non seguono indicazioni coordinate su quali debbano essere esattamente le informazioni rilasciate al pubblico e i dati forniti a ricercatori e attivisti.

Difficile chiamare le linee guida della commissione europee delle vere linee guida, sono troppo vaghe.

Questa mancanza di indicazioni dettagliate era già emersa nell’opinione pubblicata dal sounding board chiamato ad esprimersi sul Code of practice fatto firmare dalla commissione. Opinione che sottolineava come persino il definire quanto chiesto come “auto-regolamentazione” fosse fuorviante, in quanto mancavano da parte della commissione europea chiare linee guida da seguire, metodi di valutazione e obiettivi comuni.

Le iniziative in questione replicano quanto già messo in campo altrove, principalmente negli Stati Uniti. Ma andiamo con ordine.

La libreria delle inserzioni di Facebook, già pubblicata nel mese di marzo, dà la possibilità di vedere i dati su tutte le inserzioni relative a contenuti di natura politica o temi di interesse pubblico all’interno dell’Unione europea pubblicati da marzo del 2019. Archivio che conserverà ogni singola inserzione nella libreria per 7 anni.

Ad oggi la libreria dei post su politici su facebook risulta vuota.

Navigando lo strumento per i principali politici e partiti nazionali però non risultano essere state fatte, dall’avvio dell’iniziativa, sponsorizzazioni di nessun tipo. Verosimile o meno, sta di fatto che l’elemento della ricerca rende più difficile intercettare il fenomeno. Il tool infatti non fornisce un quadro immediato e completo delle sponsorizzazioni politiche, ma è necessario andarsele a cercare di volta in volta, pagina per pagina.

Dubbi sorgono in generale sul funzionamento del strumento di per sé, visto che cercando qualsiasi pagina che fa inserzioni in modo ricorrente per scopi pubblicitari e non politici, non vengono mostrati risultati di alcun tipo.

Negli Stati Uniti il progetto è già attivo e funzionante da mesi, e fornisce quantomeno una fotografia del fenomeno. Una volta selezionato il profilo di interesse, quello che gli utenti hanno a disposizione è una visualizzazione come quella qui riprodotta che si riferisce al presidente Usa Donald Trump.

Oltre alla spesa totale, e alcuni informazioni sulla natura della pagina, viene fornito l’elenco delle sponsorizzazione attive e non attive fatte nei mesi. Per ogni post poi, vengono indicati i dati relativi all’inserzione (spesa e durata dalla campagna), con i dettagli del pubblico (sesso, età, genere e location) che ha visualizzato il contenuto. Ovviamente questo elemento rappresenta un limite: non vengono mostrati i target selezionati, ma bensì le statistiche demografiche generali su chi ha visualizzato l’inserzione.

 

Per Twitter la situazione non migliora di molto. Il lancio dell’iniziativa anche nell’Unione europea, avvenuto l’11 marzo scorso, costringe ora gli inserzionisti a seguire un processo di certificazione ben preciso. Qui lo strumento di ricerca è più immediato, nel senso che per singola area di riferimento, nel nostro caso l’Unione europea, viene mostrato l’elenco dei soggetti accreditati, e per ognuno il numero di inserzioni fatte. Un passo in avanti perché l’individuazione delle sponsorizzazione politiche qui è più facile rispetto all’interfaccia di Facebook.

Ad oggi l’unico partito registrato è il Partito socialista europeo, per cui è possibile vedere: l’elenco dei post sponsorizzati, che vengono etichettati come “campagna politica”, e il dettaglio dei finanziamenti effettuati tramite carta di credito (esborso ed intestatario).

Per ogni singola sponsorizzazione poi vengono forniti alcuni dei parametri selezionati: durata della campagna, target selezionati, spesa totale e numero di visualizzazioni. Interessante anche la sezione “pubblico effettivo” in cui sono mostrati i dati demografici degli utenti realmente raggiunti dalla campagna: fasce d’età, aree metropolitane, genere, lingua e regione.

Per esempio nel tweet riportato qui sopra in onore dell’8 marzo, come target erano stati selezionati solo un numero circoscritto di paesi, e solamente le donne. L’investimento economico era stato inferiore ai 100 euro, per un numero di visualizzazioni che non superava le 1.000 unità.

In un certo senso quindi Twitter, a differenza di Facebook, mostra i due lati della medaglia: i parametri inseriti dall’inserzionista, come anche l’effettivo pubblico che ha visualizzato i post.

I limiti comunque ci sono anche per questo tipo di iniziativa. Uno su tutti, il fatto che non è possibile scaricare le informazioni (su Facebook vengono fornite delle Api per la consultazione dei dati) rende molto difficile analizzare realmente la portata del fenomeno. Una migliore regolamentazione della materia passa soprattutto per una sua maggiore comprensione.

Sarà ora interessante vedere l’evoluzione dello strumento perché, e questo rappresenta un altro problema, ad oggi un solo partito in tutta Europa ha portato a termine l’intero processo di accreditamento per fare sponsorizzazioni su twitter.

Per quanto riguarda Google la versione europea del portale creato negli Stati Uniti non è ancora disponibile. Come annunciato dall’azienda di Mountain View nel report mensile fornito alla commissione, l’Ad transparency report per le elezioni europee sarà introdotto nel mese di aprile, e mostrerà tutte le pubblicità politiche online della piattaforma. Aspetto interessante è che sullo strumento di Google è possibile scaricare i dati in formato csv, rendendo quantomeno possibile analizzare per sommi capi la grandezza fenomeno.

In attesa del parlamento

Sulla mancanze di regole chiare nei singoli paesi è intervenuto anche Mark Zuckerberg.

In lungo post su Facebook dello scorso 30 marzo il fondatore del social network ha trattato diversi temi: contenuti dannosi, integrità elettorale, privacy e portabilità dei dati.

Sul tema specifico delle pubblicità politiche online poi Zuckerberg affronta la questione in maniera diretta. Denuncia la mancanza di leggi al livello nazionale, sottolineando che quando ci sono spesso si limitano al periodo elettorale, e soprattutto ai candidati. Due variabili che condizionano fortemente la capacità di intercettare il fenomeno nella sua interezza.

Le leggi sulla pubblicità politica online si concentrano principalmente sui candidati e sulle elezioni, piuttosto che sulle questioni politiche divisorie in cui abbiamo visto più tentativi di interferenza. Alcune leggi si applicano solo durante le elezioni, anche se le campagne di informazione sono non stop. E ci sono anche domande importanti su come le campagne politiche utilizzano dati e targeting. Riteniamo che la legislazione debba essere aggiornata per riflettere la realtà delle minacce e stabilire gli standard per l’intero settore.

L’invito di aggiornare la legislazione viene quindi anche da Zuckerberg, che riconosce l’importanza di un intervento normativo statale per affrontare pienamente la materia.

L’autoregolamentazione porta a tante piccole soluzioni diverse che non aiutano a risolvere il problema.

Come abbiamo dimostrato gli esempi di autoregolamentazione portano tutti a soluzioni differenti, con informazioni variegate e con limiti (nonché pregi) diversi. Iniziare ad imporre delle regole comuni almeno al livello nazionale rappresenta sicuramente il primo step per affrontare il problema.

Dal canto suo il parlamento italiano continua però a rimanere in silenzio, e il governo giallo-verde guidato da Giuseppe Conte insiste nel non considerare il problema una priorità da affrontare prima delle prossime elezioni per il parlamento europeo.

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