Cos’è e cosa fa la commissione antimafia

È un organismo parlamentare bicamerale e d’inchiesta. Ha molti compiti, tra cui valutare l’attuazione delle leggi antimafia e monitorare i rapporti tra criminalità organizzata e politica.

Definizione

La commissione antimafia è un organismo parlamentare bicamerale (cioè composto sia da deputati che da senatori) e d’inchiesta. Questo tipo di commissioni viene creato ad hoc per svolgere indagini e ricerche su materie e argomenti di interesse pubblico. Nel caso specifico l’argomento riguarda l’analisi del fenomeno mafioso.

In base a quanto stabilito dall’articolo 82 della costituzione, per le loro indagini tali commissioni hanno gli stessi poteri e limitazioni dell’autorità giudiziaria. Ovviamente una commissione parlamentare non può sostituirsi alla magistratura né per quanto riguarda giudizi di condanna né per l’emanazione di provvedimenti che limitino la libertà personale. È però generalmente prevista la possibilità dell’accompagnamento coattivo di chi, benché convocato, si rifiuti di presenziare per un’audizione.

Sebbene quest’organo sia presente in parlamento fin dalla fine degli anni cinquanta, per ogni legislatura deve essere istituito di nuovo con una specifica legge. Per questo motivo, di legislatura in legislatura possono variare leggermente nome, composizione e compiti.

Nella XVIII legislatura, ad esempio, la commissione antimafia è stata istituita dalla legge 99/2018. Il nome puntuale era “Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere”. Si componeva di 50 membri (25 deputati e 25 senatori) scelti dai presidenti delle rispettive aule rispettando la numerosità dei diversi gruppi parlamentari.

Le attività e i poteri della commissione erano indicati all’articolo 1 della legge. Tra queste, le principali erano:

  • valutare l’attuazione delle leggi antimafia, indicando anche le iniziative di carattere normativo o amministrativo necessarie per rafforzarne l’efficacia;
  • indagare sul rapporto tra mafia e politica, sia a livello nazionale che locale, con particolare riferimento alla selezione dei gruppi dirigenti e alle candidature per le assemblee elettive;
  • indagare sulle forme di accumulazione di patrimoni illeciti e sulle modalità di investimento e riciclaggio di questi fondi;
  • valutare il rapporto tra le mafie e l’informazione (con particolare riferimento a violenze e intimidazioni nei confronti dei giornalisti);
  • riferire della propria attività alle camere.

Per svolgere questi compiti, la commissione può ascoltare testimoni e collaboratori di giustizia, oltre che esponenti politici, delle forze dell’ordine e del sistema giudiziario. Può inoltre effettuare missioni e sopralluoghi, nonché acquisire prove e documenti. Tra le sue prerogative infine vi è anche quella di presentare al parlamento proposte di legge che riguardano il fenomeno mafioso. Possono inoltre essere istituiti anche dei sotto-comitati che affrontino temi specifici. Per il suo funzionamento infine la commissione è chiamata ad adottare un regolamento interno.

Per quanto riguarda l’attuale legislatura, la legge istitutiva della commissione non è ancora stata approvata. Sono già state depositate due proposte, una alla camera e una al senato che però sono ancora nella fase iniziale dell’iter.

Dati

La prima volta in cui si parla di una commissione antimafia nell’ambito del parlamento risale alla terza legislatura (giugno 1958 – maggio 1963). In questo caso però la commissione, istituita dalla legge 1720/1962, non si riunì mai a causa dello scioglimento anticipato delle camere.

L’attività della commissione diviene stabile a partire dal quinquennio successivo. Con la sola eccezione della VII legislatura (luglio 1976 – giugno 1979) infatti la commissione antimafia è sempre stata presente in parlamento. Anche se si deve precisare che nell’VIII e nella IX legislatura (1979-1987) la commissione creata non aveva le prerogative della commissione d’inchiesta ma si configurava come una commissione di controllo, indirizzo e vigilanza.

Il numero di componenti di quest’organismo nel tempo è aumentato. Se nei primi anni infatti la commissione era composta da 30 esponenti, equamente distribuiti tra deputati e senatori, a partire dal 1992 (un anno certo non banale vista l’esplosione di tangentopoli) questi sono aumentati a 50.

FONTE: elaborazione openpolis su dati parlamento
(ultimo aggiornamento: martedì 17 Gennaio 2023)

Le varie leggi istitutive hanno sempre disposto l’obbligo per queste commissioni di presentare al parlamento e alla cittadinanza una relazione finale sul loro operato. Tali documenti sono consultabili sul sito del parlamento. Un’indicazione quantitativa del lavoro fatto può essere tratta dal numero complessivo di sedute plenarie svolte.

Escludendo dal conteggio le commissioni della III, VII, VIII e XIX legislatura per i motivi già detti, possiamo osservare che in media le sedute plenarie sono state 123,6. I dati più elevati da questo punto di vista riguardano le commissioni più recenti. Nella XVII legislatura la commissione allora presieduta da Rosy Bindi svolse ben 368 sedute. Circa il doppio di quelle effettuate nella legislatura che si è appena conclusa in cui il presidente era Nicola Morra (193, il secondo dato più elevato).

Nella III legislatura la commissione, sebbene istituita con una legge, non si è mai riunita. Nella VII legislatura la commissione non è stata istituita. Nell’VIII e nella IX legislatura non si è trattato di una commissione d’inchiesta ma di una commissione di controllo, indirizzo e vigilanza. Per questo motivo le sedute non sono state conteggiate. 

FONTE: elaborazione openpolis su dati parlamento
(ultimo aggiornamento: martedì 17 Gennaio 2023)

Il valore più basso invece si è registrato nel corso della XV legislatura con solo 66 sedute. Un dato condizionato dal fatto che in questo caso il parlamento rimase in carica solamente 2 anni. Dall’aprile 2006 allo stesso mese del 2008.

46.146 pagine la mole di documentazione acquisita dalle commissioni antimafia dall’XI alla XVIII legislatura e liberamente consultabile.

Focalizzando l’analisi sulle 2 commissioni più “attive”, che sono anche le più vicine nel tempo, è possibile avere maggiori informazioni sul loro operato. Nel periodo 2013-2018, in base alla relazione finale, osserviamo che sono stati acquisiti 5.493 documenti, si sono tenute 162 audizioni e 62 tra missioni e sopralluoghi (di cui 54 in Italia e 8 all’estero).

Per quanto riguarda la XVIII legislatura la relazione non è definitiva e alcune sue sezioni non sono state ancora pubblicate. Ma in base alle informazioni fornite dal presidente Morra nel corso di una presentazione, possiamo sapere che le audizioni svolte sono state 143, le missioni 25 (di cui 2 all’estero) e i documenti acquisiti 2.744. 

Analisi

Un aspetto particolarmente rilevante nell’attività della commissione riguarda le indagini sui rapporti tra la criminalità organizzata e la politica, sia a livello nazionale che locale. Una declinazione di tale prerogativa è l’analisi delle liste elettorali a seguito della quale è prevista, di solito, la pubblicazione di una specifica relazione in cui sono evidenziate le candidature considerate a rischio di “collusioni” con le organizzazioni criminali.

Questo aspetto ha scatenato un dibattito che, nel tempo, ha portato a posizioni polarizzate. Da un lato, coloro che ritengono che il controllo preventivo sia doveroso, dato che un candidato dovrebbe essere al di sopra di ogni sospetto. Dall’altro chi invece ritiene inaccettabile fornire “patenti di moralità” anche a quei candidati per cui non sia ancora intervenuta una condanna definitiva.

Tra le prerogative di cui va fiera la commissione Antimafia c’è la cosiddetta lista degli “impresentabili”, ovvero dei candidati che pur essendo in possesso di tutti i diritti politici la commissione consigliava di non votare in quanto indagati per qualche ipotesi di reato. […] Bastava il sospetto per marchiare qualcuno.

Al di là del dibattito però occorre comunque evidenziare alcuni aspetti problematici. In primo luogo il fatto che la verifica svolta dalla commissione antimafia avviene su due piani diversi. Il primo riguarda il rispetto delle misure previste dalla cosiddetta legge Severino (decreto legislativo 235/2012) che prevede l’incandidabilità per tutti i condannati anche solo in primo grado per una serie di reati, tra cui quelli contro la pubblica amministrazione.

Il secondo piano di indagine riguarda invece il codice di autoregolamentazione dei partiti in materia di designazione dei candidati. Riformato più volte, l’ultima delle quali nel corso della XVII legislatura (altre proposte di modifica sono intervenute anche successivamente ma non sono ancora state adottate), tale codice chiede ai partiti e alle liste che si presentano alle elezioni di non candidare o sostenere persone rinviate a giudizio, indagate o sottoposte a misure cautelari per reati di stampo mafioso o per i cosiddetti “reati spia”. È proprio su questo aspetto che si concentrano le criticità maggiori.

Il codice di autoregolamentazione sulle liste elettorali non è vincolante e non ha conseguenze pratiche per partiti e candidati.

In primo luogo perché tale codice non è un atto avente forza di legge e le varie forze politiche possono aderirvi liberamente. Non ci sono però conseguenze di nessun tipo per chi non lo fa. Né per i partiti né per i candidati. Un caso che nel 2015 destò molto scalpore da questo punto di vista fu quello dell’attuale presidente della Campania Vincenzo De Luca. L’esponente del Partito democratico infatti finì nella lente della commissione per una vicenda risalente alla fine degli anni ottanta. De Luca si candidò ugualmente e vinse le elezioni.

Ma proprio questa vicenda fa emergere un altro aspetto critico. E cioè il fatto che si rischiano processi mediatici anche ai danni di coloro che poi risultano prosciolti dalle accuse o comunque non condannati. Nel caso specifico, il presidente campano aveva rinunciato alla prescrizione. Motivo per cui risultava essere ancora sotto processo al momento della candidatura. Da questo punto di vista sarebbe opportuno che la relazione su eventuali impresentabili fosse resa nota con largo anticipo, in modo da consentire ai diretti interessati di chiarire la propria posizione. Cosa che, come nel caso in esame, non sempre è avvenuta a causa delle difficoltà nel reperire le informazioni necessarie.

Sono argomenti delicatissimi: si tratta di conciliare il diritto alla conoscenza dei cittadini con il diritto di chi si candida di poter spiegare la propria posizione, soprattutto se non c’è una sentenza di condanna.

Un ultimo aspetto critico riguarda il fatto che questa attività di controllo risulta molto parziale quando si tratta delle elezioni amministrative. Essendo impossibile verificare ogni lista di ogni comune al voto infatti in passato spesso la commissione ha fatto dei controlli a campione concentrandosi sui contesti più a rischio, come i comuni sciolti per mafia. Una scelta senza dubbio di buon senso ma che restituisce un quadro incompleto. Proprio in quell’ambito che la stessa commissione considera “il varco di ingresso delle mafie”. Da questo punto di vista la digitalizzazione di tutti i documenti necessari e la loro condivisione in un unico database nazionale aiuterebbe a velocizzare queste operazioni e a rendere l’indagine più rapida ed estesa.

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