Le dimissioni volontarie dopo la pandemia Europa

Si parla molto di “grandi dimissioni” in riferimento a questi fenomeni che dal 2021 hanno caratterizzato il mercato del lavoro statunitense e in parte anche quello europeo. Anche in Italia si verificano dinamiche simili, ma il loro peso va ridimensionato.

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Negli ultimi due anni si è spesso sentito parlare di “grandi dimissioni“, un fenomeno che si è presentato in modo evidente negli Stati Uniti – la cosiddetta great resignation – poco dopo lo scoppio della pandemia e che secondo alcuni starebbe avendo luogo anche in Europa. Si tratterebbe di un’ondata di dimissioni volontarie, presumibilmente a causa di squilibri interni al mondo del lavoro stesso, tra la domanda e l’offerta.

In Italia, come in molti altri paesi Ue, il numero di persone che hanno deciso di lasciare il proprio impiego è aumentato tra 2021 e 2022. Tuttavia i dati non bastano a sostenere che qualcosa sia cambiato, e che la pandemia abbia giocato un ruolo dirimente. L’aumento delle dimissioni può essere interpretato come un segno di relativa dinamicità del mondo del lavoro, come il sintomo di una graduale ripresa iniziata anni fa dopo la crisi del 2011.

Le dimissioni dei lavoratori europei dal 2021

Secondo Eurostat, mediamente in Europa l’11% delle persone al di fuori del mondo del lavoro hanno recentemente lasciato il proprio impiego, nel terzo trimestre del 2022. Un dato che ha registrato un lieve aumento, pari a 0,5 punti percentuali, rispetto all’anno precedente. In Spagna la quota supera il 20%, in Italia si attesta poco al di sotto del 10%. Mentre in Bulgaria, Slovacchia e Romania non arriva al 5%.

In molti paesi Ue, come abbiamo avuto modo di approfondire nel corso di una collaborazione con lo European data journalism network (Edjnet), guidata dalla redazione francese Alternatives économiques, si è visto un aumento nel numero delle dimissioni. In Francia per esempio si è passati da 354mila dimissioni a inizio 2021 a ben 523mila a inizio 2022 e anche in Spagna si è verificato un fenomeno analogo. Anche se non tutti gli stati membri hanno registrato andamenti simili: in Germania e Belgio per esempio non si è parlato di una vera e propria ondata di dimissioni.

In ogni caso non è diminuito il tasso di occupazione: anzi, sempre secondo Eurostat è aumentato subito dopo lo scoppio della pandemia. Sono infatti in lieve calo le persone che transitano dalla disoccupazione all’occupazione, ma anche, viceversa, quelle che passano dall’occupazione alla disoccupazione. Risulta marcato invece l’incremento nel numero di lavoratori che cambiano impiego.

Ma quali sono i motivi che spingono le persone a lasciare il proprio posto di lavoro? Secondo i sondaggi Eurostat, tra le principali ragioni figurano quelle familiari, il pensionamento o semplicemente la fine del contratto in corso. Rilevante anche il riferimento alle condizioni del mondo del lavoro stesso. In questo caso, il dato record è quello italiano.

I dati sono riferiti al terzo trimestre del 2022 e provengono dal sondaggio “rilevazioni sulla forza lavoro” di Eurostat. Quelli di Croazia, Lituania, Estonia e Slovenia sono poco affidabili, mentre mancano quelli di Malta, Lussemburgo e Slovacchia.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Eurostat
(pubblicati: giovedì 16 Febbraio 2023)

L’Italia è il paese Ue con la quota più elevata di persone che dichiarano di aver lasciato il proprio impiego per ragioni legate al mondo del lavoro (90%). Seguono Ungheria, Grecia e Spagna con cifre superiori all’80%. Mentre il dato più basso si registra nei Paesi Bassi (27%).

Le grandi dimissioni in Italia

Grazie ai dati forniti dal ministero del lavoro possiamo ricostruire la situazione del mondo del lavoro italiano, a ridosso dello scoppio della pandemia. Le persone che hanno deciso di lasciare il proprio impiego nel 2021 hanno sfiorato i 2 milioni.

1,9 milioni le persone che si sono dimesse in Italia nel 2021.

Ovvero il 18,2% di tutte le cessazioni dei contratti di lavoro (10,6 milioni). Ma nel 2022 la quota è cresciuta, raggiungendo il 19,5%. Se a ridosso della pandemia è aumentato il numero di persone che hanno deciso, per una serie di ragioni, di lasciare il proprio impiego, il numero di licenziamenti non ha subito un simile cambiamento.

Per dimissioni si intende: dimissioni giusta causa; dimissioni; dimissioni durante il periodo di prova; dimissioni per giusta causa o giustificato motivo durante il periodo di formazione; recesso con preavviso al termine del periodo formativo. Per licenziamento invece si intende: licenziamento per giustificato motivo oggettivo; licenziamento per giustificato motivo soggettivo; licenziamento collettivo; licenziamento giusta causa; licenziamento per giusta causa durante il periodo di formazione; licenziamento per giustificato motivo durante il periodo di formazione.

FONTE: elaborazione openpolis su dati ministero del lavoro
(pubblicati: martedì 20 Dicembre 2022)

Nel 2021 il numero di dimissioni ha visto un aumento marcato rispetto ai livelli del 2020, in particolare in corrispondenza del secondo e terzo trimestre. Mentre durante il secondo trimestre del 2020 si è verificato un calo molto forte, dovuto allo scoppio dell’emergenza sanitaria. Per quanto riguarda invece i licenziamenti, questi si sono mantenuti sostanzialmente stabili e anzi sono lievemente calati nel 2020, 2021 e 2022 rispetto ai due anni precedenti.

Tuttavia i momenti in cui le dimissioni hanno costituito la quota maggiore rispetto al totale delle cessazioni dei rapporti di lavoro (che comprendono anche i pensionamenti, i licenziamenti e le terminazioni causate dalla cessazione dell’attività lavorativa stessa) sono stati il primo semestre del 2021, quando la quota ha raggiunto il 22%, e il primo semestre 2022 (23%).

È importante notare che non è disponibile una serie storica con una metodologia unica. Per questo motivo è difficile il confronto nel lungo periodo. Risulta quindi complesso dire se si tratta di una dinamica isolata o di particolare rilevanza oppure se è un segno di una graduale ripresa del mondo del lavoro dalla crisi del 2011. Come rileva un recente studio, da un lato le dimissioni sono state semplicemente rimandate, da molti lavoratori, dal periodo più duro di lockdown al 2021. Dall’altro, in molti casi le transizioni sono da un impiego all’altro, piuttosto che semplici abbandoni del proprio posto di lavoro. Pertanto il fenomeno risulta a oggi di non chiara interpretazione.

Foto: Jornada Produtoralicenza

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