Il decreto Cutro colpisce i diritti dei richiedenti asilo Migranti

Il recente decreto restringe il campo di applicazione dello strumento della “protezione speciale”, introdotta nel 2018 al posto della protezione umanitaria. Si torna al passato, con il rischio dell’aumento dei migranti irregolari.

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Il “decreto Cutro”, varato di recente dal governo, limita fortemente la protezione speciale, con l’effetto di ledere i diritti dei richiedenti asilo e il rischio di un aumento dei migranti irregolari sul territorio.

Nell’ultimo mese si è parlato molto della tragedia avvenuta a pochi metri della spiaggia di Cutro (Crotone), dove il 26 febbraio oltre cento migranti hanno perso la vita in un naufragio causato dal collasso dell’imbarcazione, proveniente dalla Turchia, che li trasportava. La risposta del governo è stata quella di introdurre, pochi giorni dopo, un decreto che pone ulteriori ostacoli nel percorso dei richiedenti asilo.

Il decreto 20/2023 (detto anche “decreto Cutro”), ancora non convertito in legge, si occupa di “disposizioni urgenti in materia di flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri e di prevenzione e contrasto all’immigrazione illegale”. Tra i vari temi, si sofferma sui flussi di lavoratori stranieri, sul rinnovo dei permessi di soggiorno e sul potenziamento della rete di centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr).

Uno dei cambiamenti più importanti e di maggiore impatto riguarda la protezione speciale. Ovvero una delle modalità attualmente esistenti per garantire l’asilo alle persone straniere presenti sul territorio italiano. Tale forma di protezione non viene eliminata, ma fortemente limitata, annullando di fatto le recenti riforme che l’avevano potenziata.

Cosa si intende con protezione speciale

Quella speciale è una forma di protezione straordinaria, introdotta nel 2018 dall’allora ministro dell’interno Matteo Salvini, con il cosiddetto decreto sicurezza, al posto dell’abrogata protezione umanitaria.

Quest’ultima era una forma di protezione residuale riservata a chi, per gravi situazioni di carattere umanitario, non poteva essere allontanato dal territorio nazionale. L’aveva introdotta l’articolo 5 comma 6 del testo unico sull’immigrazione (d. lgs. 286/1998).

Il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere altresì adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli stati contraenti, fatto salvo il rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali dello stato italiano.

Salute, età, rischio di trovarsi in situazioni difficili per cause esterne, ambientali o politiche: erano tutte ragioni per accordare la protezione umanitaria. Il decreto sicurezza ha però soppresso tale forma di asilo e l’ha sostituita con una serie di casi straordinari. Come lo sfruttamento lavorativo, la violenza domestica, le cure mediche, le calamità e gli atti di particolare valore civile.

In seguito, il decreto 130/2020 introdotto da Luciana Lamorgese, ministra dell’interno del secondo governo Conte, ha ampliato la categoria della protezione speciale. Contestualmente a questo ampliamento, si è verificato un aumento del numero di casi in cui tale forma di asilo è stata effettivamente accordata.

Rientrano in “altro esito positivo” lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria. Nel passaggio dal 2018 al 2019 è stata eliminata, dal decreto sicurezza, la protezione umanitaria, sostituita da quella “speciale”, concessa più raramente, soprattutto prima della riforma Lamorgese (decreto 130/2020), che ha ampliato la sua applicazione.

FONTE: elaborazione openpolis su dati ministero dell’interno
(consultati: martedì 28 Marzo 2023)

Negli anni tra il 2016 e il 2018, la protezione umanitaria è stata messa in atto all’incirca nel 21% delle domande di asilo. Sfiorando il 25% nel 2017 (per un totale di circa 20mila persone).

Si può notare invece che l’applicazione della protezione speciale ha avuto un raggio di gran lunga inferiore. Nel 2019 in maniera particolare è stata attuata soltanto nello 0,6% dei casi (per un totale di 616 persone) e nel 2020 nell’1,8% (757). Nel 2021, in seguito alla riforma Lamorgese che, come accennato, ha esteso l’applicazione della protezione speciale, la quota è salita al 13,7% (7.092 persone).

59.159 le persone che hanno ricevuto la protezione umanitaria tra 2016 e 2018.

Nei tre anni successivi (2018-2021), appena 8.465 persone hanno invece ricevuto la protezione speciale, circa 7 volte di meno. La quasi totalità è peraltro attribuibile all’anno 2021 e quindi al momento in cui l’applicazione è stata estesa.

Le strutture per richiedenti asilo e rifugiati.
Esplora il sistema di accoglienza. Scarica i dati.
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Le modifiche introdotte dal decreto n.20

Il decreto 20/2023 non elimina la protezione speciale, ma ne attua una risignificazione giuridica e normativa rispetto all’ultima formulazione del 2020.

Il decreto elimina il diritto alla vita privata e familiare dai criteri per il divieto di espulsione.

L’articolo 7 in particolare modifica l’articolo 19 del testo unico sull’immigrazione, sui criteri che determinano il divieto di espulsione, abrogando la parte aggiunta dal decreto Lamorgese nel 2020 (il terzo periodo del comma 1.1). Al rischio di subire persecuzioni, tortura e trattamenti inumani o degradanti, la riforma aveva aggiunto la potenziale violazione del diritto alla vita privata e familiare – un diritto fondamentale tutelato dalla convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu). Affermando che “non sono altresì ammessi il respingimento o l’espulsione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, a meno che esso non sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale ovvero di ordine e sicurezza pubblica.” Il “decreto Cutro” elimina tale periodo.

Si torna in questo senso alla concezione precedente, quella del decreto sicurezza, in cui i criteri per ottenere la protezione speciale erano molto rigidi. Facendo quindi un passo indietro rispetto alla riforma che aveva reso la protezione speciale un meccanismo capace, almeno in parte, di sopperire alla protezione umanitaria.

Le espulsioni e l’inefficace politica dei rimpatri

Modificando la normativa che definiva i casi in cui l’espulsione si riteneva non attuabile, il decreto facilita di fatto le espulsioni. Con “espulsione” si intende l’atto amministrativo o giudiziario con cui si obbliga lo straniero a lasciare il territorio nazionale. A differenza di procedure simili come il respingimento, l’espulsione prevede anche un divieto di reingresso per un periodo limitato di tempo.

L’atto di espulsione non comporta l’effettivo allontanamento.

Come evidenzia l’associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), il provvedimento amministrativo di espulsione si configura, ai sensi dell’articolo 2 della direttiva 2008/115/Ce (anche conosciuta come “direttiva rimpatri”), come “decisione di
rimpatrio
”. Ovvero come l’atto amministrativo che dichiara l’irregolarità del
soggiorno di un cittadino di paesi terzi e impone o attesta l’obbligo di rimpatrio. Che tuttavia non comporta l’effettivo allontanamento.

Il fine ultimo dell’espulsione è quindi quella di allontanare e rimpatriare i migranti. Tuttavia negli anni si è potuto constatare che i numeri dei rimpatri effettivi hanno sempre costituito una quota molto contenuta delle decisioni prese in questo senso.

I dati si riferiscono al numero di decisioni di rimpatrio e ai rimpatri effettuati ai danni di migranti presenti irregolarmente sul territorio italiano.

FONTE: elaborazione openpolis su dati corte dei conti
(pubblicati: giovedì 12 Maggio 2022)

Nel 2018 il 21% delle decisioni di rimpatrio si è concluso con un rimpatrio effettivo. Nel 2019 la quota è salita al 30%, mentre nel 2020 ha toccato il punto più basso del quadriennio (14%) e nel 2021 si è attestata al 15%.

Nonostante gli annunci nessun governo fino ad oggi è riuscito ad aumentare il numero di rimpatri in misura significativa. Con queste premesse quindi ridurre la possibilità di accedere a una qualsiasi forma di protezione non può che portare a una crescita del numero di irregolari. Significa incrementare il numero di persone che si trovano sul territorio in una situazione di presunta irregolarità, senza poter lavorare né integrarsi nel tessuto sociale e quindi spesso portate all’illegalità. Una situazione che crea soltanto sacche di disagio, con conseguenze negative sia per i cittadini che per i migranti stessi.

Foto: SeaWatch Italy

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