I cambiamenti climatici stanno generando sempre più sfollati Migranti

Disastri naturali e degrado ambientale sono la prima causa che porta le persone, nel mondo, a lasciare la propria residenza, anche se per lo più senza attraversare i confini nazionali. In Europa ad oggi manca però un riconoscimento ufficiale per questa categoria.

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I cambiamenti climatici stanno costringendo milioni di persone ogni anno a lasciare la propria terra per spostarsi in altre aree del proprio paese. Nonostante sia un fenomeno ormai consolidato da anni e dalla portata sempre maggiore, ancora sono pochi e vaghi i riconoscimenti legali per le persone che ne sono colpite.

Gli effetti dei cambiamenti climatici sugli sfollamenti

Secondo l’organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), cambiamento climatico, disastri naturali e degrado ambientale stanno modificando profondamente le migrazioni a livello globale. Il loro effetto sulla mobilità è complesso, multicausale e stratificato.

Alcuni fenomeni causati dal cambiamento climatico, quali alluvioni, siccità e eventi meteorologici estremi, sono immediati e scatenano di conseguenza reazioni migratorie immediate. Altri invece sono lenti e possono influenzare la mobilità umana anche a distanza di decenni o secoli – come nel caso dell’erosione delle coste, dell’innalzamento del livello del mare, dello scioglimento dei ghiacciai e della desertificazione.

Gli effetti del cambiamento climatico sulla mobilità sono spesso indiretti.

Inoltre, gli effetti degli eventi climatici sulla vita delle persone, e quindi sulla loro decisione di lasciare la propria residenza, sono spesso mediati. L’ambiente può infatti agire su una serie di fattori che motivano le persone a migrare, ad esempio esasperando difficoltà economiche e sociali o anche inasprendo situazioni di instabilità politica e conflitti. Infatti, i disastri naturali possono avere un effetto amplificatore e aggravare situazioni di vulnerabilità preesistenti.

30,7 mln i nuovi sfollati interni per disastri ambientali nel 2020, secondo l’Internal displacement monitoring center (Idmc).

Nel mondo ci sono più persone che lasciano la propria casa senza attraversare i confini nazionali (i cosiddetti sfollati interni) per ragioni legate al clima che a causa di guerre e conflitti.

A differenza dei rifugiati […] non attraversano un confine internazionale riconosciuto. Restano quindi all’interno del Paese di origine.

Si tratta inoltre di una quota che negli ultimi anni è andata crescendo.

I dati presentati si riferiscono agli sfollati interni, ovvero quelli che si spostano ma rimangono all’interno del proprio paese, e sono delle stime. L’Idmc le realizza con due metodologie differenti. La prima prevede il monitoraggio situazionale in seguito alla comunicazione di un avvenuto sfollamento, cui seguono stime sull’andamento annuale (per quanto riguarda gli sfollati per conflitti). La seconda consiste in un monitoraggio caso per caso, condotto grazie a informazioni raccolte da varie fonti (per quanto riguarda gli sfollati per disastri naturali). Tra le fonti, le autorità nazionali e sub-nazionali, le agenzie appartenenti alle Nazioni unite e ad altre organizzazioni internazionali, le organizzazioni della società civile e i media.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Idmc
(ultimo aggiornamento: lunedì 15 Novembre 2021)

Il numero di sfollati climatici interni ha raggiunto un picco nel 2010, quando è arrivato a più di 40 milioni, per poi calare leggermente. Dal 2018 ha poi ripreso ad aumentare e nel 2020 gli sfollati climatici costituivano il 75,8% di tutti gli sfollati a livello globale, secondo l'Idmc.

3 su 4 sfollati interni, nel mondo, sono stati costretti a spostarsi a causa di eventi climatici, nel 2020.

Rispetto al 2009, nel 2020 sono aumentati dell'83,3%, ma l'aumento è stato considerevole anche rispetto al più recente 2018, quando ammontavano a circa 17 milioni di persone.

+78,5% gli sfollati climatici nel 2020 rispetto al 2018.

Secondo le analisi della Banca mondiale, quello delle migrazioni climatiche è un fenomeno eminentemente interno ai singoli paesi. Trattandosi di eventi territoriali e non necessariamente nazionali come potrebbe essere una guerra o una crisi economica, solitamente le persone che ne sono colpite non attraversano i confini del proprio stato.

I disastri naturali che costringono le persone a migrare

Varie tipologie di disastri naturali hanno effetti diversi sulle migrazioni.

In parte questo ha anche a che vedere con la difficoltà a individuare i nessi causali, essendo il clima un fenomeno complesso, composto di una moltitudine di fattori interconnessi. Oltre al fatto già accennato che alcuni tipi di disastri ambientali si sviluppano più lentamente, senza dar vita a flussi migratori improvvisi e compatti.

I dati si riferiscono alle principali tipologie di disastri naturali per numero di sfollati che hanno generato (qui, quelli che ne hanno causati più di 10 milioni). Altri eventi sono stati gli inverni estremi, le frane umide e l’attività vulcanica.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Idmc
(ultimo aggiornamento: mercoledì 17 Novembre 2021)

Il tipo di disastro naturale che ha causato il numero maggiore di sfollamenti è l'alluvione. Tra il 2008 e il 2020, le alluvioni hanno infatti generato oltre 156 milioni di sfollati interni nel mondo. Seguono le tempeste (119,2 milioni) e i terremoti (33,5 milioni).

Se isoliamo il 2020, però, sono state le tempeste a causare il numero maggiore di dislocamenti (14,5 milioni), seguite dalle alluvioni (14 milioni).

Non tutti i paesi sono poi colpiti ugualmente da questi fenomeni. È soprattutto il continente asiatico (e in particolare la sua parte meridionale) a subire con la maggiore frequenza disastri ambientali responsabili di sfollamenti.

I dati sono stime sul numero di sfollati interni.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Idmc
(ultimo aggiornamento: martedì 16 Novembre 2021)

La Cina, in particolare, è il primo paese per numero di sfollati climatici (più di 86 milioni tra 2008 e 2020, più di 5 milioni solo nel 2020), seguita da India e Filippine, entrambe con circa 48 milioni di sfollati.

Nella lettura di questi dati dobbiamo necessariamente tenere conto del fattore demografico. Alcuni dei su citati paesi, infatti, sono tra i più popolosi del mondo. Tuttavia, i loro territori sono anche particolarmente colpiti da alcuni tipi di disastri ambientali che portano a sfollamenti massicci, come le alluvioni e le tempeste.

Il riconoscimento dei migranti climatici

Nonostante la portata del fenomeno migratorio legato al cambiamento climatico, manca ancora un riconoscimento ufficiale vero e proprio per questa categoria di persone, cui raramente è garantita la protezione per il fatto di essere vittime di disastri naturali.

Da un punto di vista formale, l‘espressione “rifugiato climatico” è impropria poiché non si fonda su nessuna norma presente nel diritto internazionale. Non riflette, inoltre, la complessità con cui il clima e la mobilità umana interagiscono tra loro in un articolato rapporto di cause ed effetti.

A livello internazionale, ci sono diverse definizioni del concetto di "rifugiato", alcune più altre meno ampie, capaci o meno di includere questa categoria al proprio interno.

A oggi non c’è un riconoscimento univoco e ufficiale della categoria dei “migranti climatici".

Secondo uno studio del parlamento europeo, gli stati possono scegliere se applicare la definizione contenuta nella Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati delle Nazioni unite (1951), che descrive il rifugiato come colui che non può o non vuole rientrare nel proprio paese perché perseguitato "per ragioni di razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per opinioni politiche". Oppure se applicare la Dichiarazione di Cartagena sui rifugiati (1984) che, secondo l'Unhcr, permette un'interpretazione più ampia, estendibile anche ai fenomeni climatici.

Un passo avanti in questo senso è stato fatto con i Principi guida sullo sfollamento interno, che annoverano i disastri naturali tra le cause di dislocamento. Nonostante ciò, un limite resta, ovvero il mancato riconoscimento degli effetti indiretti del cambiamento climatico. Inoltre, si tratta di semplici raccomandazioni che non hanno valore vincolante, come anche nel caso del Global compact for migration del 2018.

Anche a livello europeo, ad oggi ancora non esistono né una definizione univoca né un riconoscimento ufficiale dei migranti climatici, che non rientrano nella categoria di chi potrebbe richiedere lo status di rifugiato né di chi potrebbe ricevere la protezione sussidiaria.

Per quanto riguarda l'Italia, i disastri naturali sono stati annoverati, anche se non sistematicamente, tra le possibili ragioni per ottenere la protezione umanitaria. Accanto all'abolizione di quest'ultima, nel 2018 il decreto sicurezza riconosceva dei permessi di protezione "speciale" per i migranti climatici, ma con forti limiti temporali e senza garantire il permesso di soggiorno lavorativo. Un ulteriore cambiamento è poi avvenuto con il dl 130/2020, che ha ampliato la definizione di disastro naturale, rimuovendo almeno in parte i sopracitati limiti.

Foto credit: Misbahul Aulia - licenza

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