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Il percorso di riforma delle province è andato di pari passo con i tagli delle risorse a disposizione di questi enti. Uno degli intenti era infatti proprio questo: ridurre le funzioni in capo alle province e parallelamente tagliarne i costi.

Un processo molto complesso, che ha portato il legislatore a lasciare alle province poche funzioni fondamentali. Oltre ad alcune competenze in materia ambientale, le funzioni principali rimaste alle province riguardano soprattutto la costruzione e gestione delle strade provinciali e la manutenzione dell’edilizia scolastica.

Si tratta di compiti che hanno un impatto decisivo sui territori, specie per quelli con estese aree montane o interne.

Le aree interne sono i territori del paese più distanti dai servizi essenziali (quali istruzione, salute, mobilità). Parliamo di circa 4.000 comuni, con 13 milioni di abitanti, a forte rischio spopolamento (in particolare per i giovani), e dove la qualità dell'offerta educativa risulta spesso compromessa. Vai a "Che cosa sono le aree interne"

Perché le funzioni che gestiscono sono fondamentali

Per chi vive nei comuni più lontani dai servizi fa la differenza la qualità della rete di infrastrutture e trasporti. Alle ex province sono rimaste in gestione, secondo le analisi dell’Ufficio valutazione impatto del senato, circa 130mila chilometri di strade e 30mila tra ponti, viadotti e gallerie. In molti casi collocate in aree montane, dove spesso non esistono collegamenti alternativi.

Non sono disponibili dati per le province delle regioni a statuto speciale.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Sose
(ultimo aggiornamento: martedì 22 Maggio 2018)

Allo stesso modo, anche la qualità dell'edilizia scolastica ha un impatto sulla vivibilità dei comuni. In particolare di quelli interni, soggetti a un progressivo spopolamento proprio per la carenza di servizi. Perciò anche in questo ambito, alle ex province è stato lasciato un compito di tutto rilievo.

5.179 gli edifici scolastici in gestione alle ex province. Il 41,2% si trova in zona a rischio sismico.

Le aule in gestione alle province sono frequentate quotidianamente da 2,6 milioni di alunni, e necessitano di tutte le spese relative: riscaldamento, acqua, luce e altri servizi.

Non sono disponibili dati per le province delle regioni a statuto speciale.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Sose
(ultimo aggiornamento: martedì 22 Maggio 2018)

Servizi cui, negli ultimi anni, hanno dovuto fare fronte con sempre meno risorse.

Una riforma tradita: dalla razionalizzazione ai tagli lineari

I tagli alle risorse delle province cominciano ben prima della legge Delrio. A partire dal 2010, una serie di norme si sono stratificate andando a ridurre i finanziamenti delle province.

Soprattutto nei primi anni '10, con l'ultimo governo Berlusconi prima e quello Monti poi, gli interventi sugli enti intermedi erano dichiaratamente finalizzati a produrre un risparmio. Perciò non era prevista una vera e propria revisione della spesa, con la valutazione dei servizi da erogare e delle risorse necessarie, ma solo dei tagli lineari.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Uvi senato e Centro studi camera
(ultimo aggiornamento: lunedì 18 Novembre 2019)

In questo senso, l'approccio della legge Delrio sulla carta partiva da un altro assunto, più condivisibile. Dal momento che alle province e città metropolitane restavano poche funzioni fondamentali (stabilite dalla legge nazionale), più altre eventuali (stabilite dalle regioni), anche i finanziamenti dovevano andare di pari passo con le funzioni trasferite.

Nella realtà concreta, l'approccio è rimasto centrato sui tagli lineari, e già la legge di stabilità successiva (2015) ha abbandonato la logica della riforma Delrio.

La legge di stabilità per il 2015 aveva, infatti, previsto tagli lineari alle “risorse” provinciali (...) con qualche rilevante difformità dal “metodo” definito nell’art. 1, comma 92, della legge Delrio, che, al contrario, ipotizza un’individuazione puntuale delle risorse da tagliare in relazione alle funzioni trasferite. E questo trend è proseguito anche successivamente.

I tagli hanno stravolto i meccanismi di perequazione.

Uno degli effetti più paradossali dei tagli sulle province, solo in parte ridotti con i governi Gentiloni e Conte, riguarda il fondo sperimentale di riequilibrio. Si tratta del fondo perequativo che, con la riforma del federalismo fiscale (2009), ha sostituito i trasferimenti erariali alle province. È alimentato con il gettito della compartecipazione provinciale all'Irpef, e ha lo scopo di ridurre le distanze tra le province più ricche e quelle più povere.

In teoria, vale oltre 1 miliardo di euro: soldi che dovrebbero andare alle province per svolgere le proprie funzioni. Nella realtà, l'accumularsi dei tagli lo ha trasformato in una fonte di entrata solo nominale per gran parte delle ex province. Presi insieme, gli enti intermedi delle regioni ordinarie dovrebbero ricevere 1 miliardo, ma a causa dei tagli devono restituire allo stato oltre 242 milioni di euro.

 

Il fondo sperimentale di riequilibrio nel 2019

Fondi alle province con Fsr (lordo)
€ 1.046.917.823,00
Riduzioni per costi politica
-€ 7.000.000,00
Recuperi somme a debito
-€ 192.775.188,95
Riduzioni per spending review
-€ 1.089.717.124,93
Fondi alle province con Fsr (netto)
-€ 242.574.489,83

 

Un aspetto sollevato anche dalla Corte dei Conti, e che mostra la difficoltà di gestire le province nell'attuale quadro normativo.

Nella Relazione sul "Riordino delle province, aspetti ordinamentali e riflessi finanziari" di aprile 2015, la Corte - analizzando i dati relativi alla ripartizione annuale del Fondo sperimentale di riequilibrio (...) - affermava come le risorse da Fondo sperimentale di riequilibrio rappresentino ormai, un'entrata solo nominale.

Gli effetti dei tagli

Di pari passo con le riforme e i tagli, la capacità di spesa degli enti intermedi si è drasticamente ridotta nel corso degli anni. Sono stati soprattutto gli investimenti a calare: le spese in conto capitale sono diminuite del 70% tra 2008 e 2017.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Istat, Finanza locale: entrate e spese dei bilanci consuntivi
(ultimo aggiornamento: martedì 16 Ottobre 2018)

Anche le spese correnti hanno avuto un calo importante, poco inferiore al 20% nell'intero periodo considerato. Ma, mentre per le spese in conto capitale la tendenza alla diminuzione è stata più netta, per quelle correnti l'andamento è stato più altalenante. Valevano circa 9 miliardi di euro fino al 2010, per poi calare a 7,1 miliardi nel 2014. Nell'ultimo biennio considerato si registra un aumento, tornando a poco meno di 8 miliardi, e poi di nuovo una diminuzione (7,4 miliardi nel 2017).

Dati che suggeriscono come, nell'incertezza legata alla ridefinizione degli enti intermedi in Italia, siano stati soprattutto gli investimenti a uscirne ridimensionati.

Le analisi dell'ufficio valutazione impatto del senato indicano proprio questa tendenza, soprattutto nei settori che per le province risultano più strategici come istruzione e trasporti.

Il dato è stimato su un campione di 71 enti di area vasta. Il confronto è tra gli impegni di spesa.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Uvi-senato e Sirtel
(ultimo aggiornamento: lunedì 24 Luglio 2017)

Per quanto riguarda gli impegni di spesa in istruzione degli enti intermedi, sono calati del 2% gli investimenti (spese in conto capitale) e del 17% le spese correnti. Sulla funzione trasporti l'impatto è stato del -5% sulla spesa corrente e del -65% sugli investimenti.

Parallelamente, il dato controintuitivo ma molto interessante è che sono aumentate le spese per le funzioni amministrative: +47% quelle correnti, +39% quelle in conto capitale. Un dato che l'ufficio di valutazione impatto del senato ha valutato "non spiegabile" rispetto alle previsioni della legge 56/2014.

L’analisi delle spese correnti e in conto capitale (...) ha evidenziato una sensibile riduzione della spesa per alcuni settori chiave (in particolare c’è stato un forte rallentamento degli investimenti per la mobilità) e viceversa un aumento dei costi generali di amministrazione, gestione e controllo, non spiegabile alla luce delle finalità del riordino.

Effetti inaspettati della riforma, che mostrano sia la complessità del processo di riordino, sia le criticità finanziarie connesse, in un quadro di restringimento della finanza pubblica.

Il passo indietro degli ultimi anni

Interventi straordinari successivi hanno mitigato l'impatto dei tagli.

Proprio per questo, dal 2015 in poi, lo stato ha promosso una serie di interventi economici straordinari per ridurre l'impatto dei tagli. In primo luogo attraverso deroghe alla normativa contabile. Ne sono esempi la possibilità di approvare solo il bilancio annuale e di utilizzare gli avanzi di amministrazione per ottenere il pareggio di bilancio. Ma anche con misure economiche, come contributi straordinari e la rinegoziazione dei mutui con la Cassa depositi e prestiti.

La necessità di dover ripianare la situazione con interventi straordinari segnala tutte le criticità del sistema attuale. Il limite principale è stato che il processo di revisione della spesa e quello di riordino delle funzioni sono rimasti in gran parte slegati.

Con l'effetto di ridurre le entrate degli enti intermedi a vantaggio dello stato (salvo poi intervenire a posteriori con misure straordinarie). Ma soprattutto mancando uno degli obiettivi della Delrio, ovvero la rimodulazione delle entrate in base alle funzioni concretamente trasferite alle province.

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