Cresce la micromobilità nei centri urbani Innovazione

La pandemia ha ridotto i grandi spostamenti, ma all’interno del settore della mobilità condivisa sono cresciuti i mezzi di peso e taglia inferiore, soprattutto i monopattini elettrici. Questi servizi sono però ancora distribuiti in maniera diseguale nella penisola italiana.

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La mobilità condivisa ha grandi potenzialità per la riduzione delle emissioni di Co2 dei trasporti e quindi dell’impatto negativo che la presenza antropica ha sull’ambiente. Si tratta inoltre di un settore completamente digitalizzato.

Il servizio di vehiclesharing è il risultato di un’attività, non necessariamente economica, per soddisfare l’esigenza di un gruppo d’individui di spostarsi con un veicolo individuale secondo le proprie esigenze, senza possedere il veicolo utilizzato ma accedendo solo temporaneamente al suo utilizzo. Questa attività viene svolta avvalendosi, di una piattaforma digitale e di un’organizzazione più o meno complessa appositamente realizzata per erogare questo specifico servizio.

Il consiglio dell’Unione europea, con la sua strategia per una mobilità sostenibile e intelligente, indica la mobilità interconnessa e digitalizzata come una priorità per la transizione ecologica.

Secondo l’Osservatorio nazionale della sharing mobility (Osm), promosso dal ministero della transizione ecologica (Mite), dal ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili (Mims) e dalla fondazione per lo sviluppo sostenibile, in Italia questa modalità di trasporto esiste da 20 anni, con la nascita dei primi due servizi di bike e car sharing a Ravenna e Milano rispettivamente nel 2000 e nel 2001. Da allora, le flotte hanno visto un graduale aumento e così il loro impatto sul movimento nel contesto urbano.

La micromobilità durante la pandemia

La crisi pandemica ha avuto ricadute anche sulla mobilità, per via delle restrizioni al movimento che hanno caratterizzato il lockdown – non solo in maniera diretta, ma anche indirettamente per via della chiusura di bar, ristoranti e altri servizi e per l’implementazione della didattica a distanza. La riduzione della domanda ha fatto sì che il settore dei trasporti risultasse tra i più colpiti in questa fase.

Il calo ha colpito soprattutto il trasporto ferroviario e aereo.

Per la domanda di sharing mobility, si è trattato della prima contrazione (-30,6%), dopo anni di crescita continua (circa il 500% in più tra il 2015 e il 2020). Cali ancora più incisivi sono stati quelli registrati dal trasporto ferroviario (-38,6% e -66% per quello regionale e ad alta velocità, rispettivamente) e dal trasporto aereo (-69%).

In parte, secondo le analisi dell’osservatorio, la minore entità della riduzione subita dal settore della sharing mobility, è legata alla crescita dell’offerta dei monopattini elettrici. Ad oggi, sono questi i mezzi condivisi che dispongono della flotta più ampia.

1 su 3 veicoli condivisi in Italia è un monopattino elettrico.

Se poi consideriamo solo i mezzi di taglia inferiore (escludendo le auto), riguardano monopattini 9 noleggi su 10 e 5 km su 10 km se si considerano i chilometri percorsi in media. In altre parole, i monopattini sono diventati nel giro di un anno il mezzo di sharing più diffuso nella penisola.

Un risultato che emerge anche osservando i dati relativi all’offerta di micromobilità, intesa come il numero di mezzi messi a disposizione.

I dati si riferiscono al numero assoluto di veicoli messi a disposizione per ogni tipologia di servizio.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Osm
(ultimo aggiornamento: martedì 21 Dicembre 2021)

Nel 2019, erano le bici a costituire la quota più ampia della flotta (65%), mentre le auto ammontavano al 16% del totale e i monopattini al 9%. In numeri assoluti, tutti questi mezzi sono aumentati, fatta eccezione per le auto. Nel passaggio dal 2019 al 2020, la flotta totale è infatti passata da 51.356 a 84.897 veicoli (+65%).

Negli anni è aumentata la disponibilità di mezzi leggeri e di taglia inferiore, mentre sono diminuite le auto.

Questo aumento ha interessato soprattutto i monopattini, che sono passati da 4.650 nel 2019 a 35.550 nel 2020 - con una crescita quindi pari al 665%. Nel 2020 sono arrivati a costituire il 42% della flotta totale disponibile. L'offerta di scooter è invece aumentata del 45% e quella di biciclette del 4%. Mentre le auto hanno registrato un calo pari al 12%.

Si è quindi osservata una crescita della cosiddetta micromobilità, ovvero la sottocategoria, all'interno della mobilità condivisa, che comprende i mezzi di dimensioni e peso inferiori, specificamente bici, scooter e monopattini. Negli anni infatti il peso medio dei mezzi condivisi è diminuito in maniera significativa, passando da 397 chili nel 2015 a 120 nel 2020.

-227 chili, il peso medio dei mezzi di mobilità condivisa tra 2015 e 2020, secondo i dati Osm.

I veicoli condivisi risultano quindi sempre più diversificati, più leggeri e meno ingombranti. Nel 2021, i mezzi di micromobilità costituiscono il 91% della flotta condivisa totale.

I capoluoghi del nord sono più forniti di servizi di sharing mobility

Ad oggi la mobilità condivisa è diffusa in molti centri urbani del nostro paese. Secondo i dati Osm, 49 capoluoghi di provincia ne risultano provvisti, contro 59 però - la maggioranza - che ancora non lo sono.

45,4% i capoluoghi di provincia provvisti di almeno 1 servizio di sharing mobility.

Questi servizi non sono distribuiti in modo omogeneo nel paese. Mentre infatti a nord il 54,2% dei capoluoghi (26 su 48) ne dispone, questo è vero solo per il 40,6% dei capoluoghi meridionali (13 su 32) e per il 35,7% di quelli del centro (10 su 28).

I dati sono riferiti ai capoluoghi di provincia forniti di servizi. Sono inclusi quelli di car sharing, bike sharing, scooter sharing e monopattini in sharing.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Osm
(ultimo aggiornamento: martedì 21 Dicembre 2021)

Milano, in particolare, è la città italiana con più offerta di mobilità condivisa (18 servizi), seguita da Roma (16) e Torino (13).

Le città con popolazione e reddito pro capite elevati hanno più disponibilità di sharing mobility.

Sono quindi soprattutto i centri di dimensioni inferiori a essere penalizzati. Ma questo non è l'unico fattore significativo. Parma e Bergamo ad esempio dispongono rispettivamente di 6 e di 4 differenti servizi di sharing mobility, pur avendo meno di 250mila abitanti. Mentre Catania, con una popolazione di oltre 300mila abitanti, ne è completamente sprovvista. Le città più grandi e quelle più ricche risultano quindi maggiormente fornite. A giocare un ruolo è infatti anche il reddito pro capite. Come riporta l'Osm, dei 28 capoluoghi di provincia con reddito pro capite superiore ai 24,5mila euro, 21 erano dotate di tali servizi (il 75%). Una quota che invece scende al 26% per quelli con reddito pro capite inferiore ai 20,5 mila euro.

Un altro aspetto importante è poi la varietà dei mezzi offerti dai diversi servizi, considerata fondamentale per garantire una copertura ampia, efficiente e accessibile a più persone possibili. Sotto questo aspetto sono solo 4 i capoluoghi di provincia che dispongono di tutti i differenti tipi di servizio (macchine, bici, monopattini e scooter), ovvero Milano, Roma, Torino e Firenze.

 

Foto credit: Vlad B - licenza

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