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Dichiarazione di Rosy BINDI

Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD)  - Vicepres. Camera  


 

«Bravo Fini, ma non lo aspetteremo» - INTERVISTA

  • (08 novembre 2010) - fonte: La Stampa - Federico Geremicca - inserita il 08 novembre 2010 da 31

    «Porteremo la crisi in Parlamento»

    Dice Rosy Bindi: «D’accordo, andranno avanti ancora un po’ con questo incosciente gioco del cerino, ma dopo la richiesta di dimissioni di Berlusconi avanzata da Fini, all’orizzonte non vedo altro che la fine del governo: un governo paralizzato e screditato». La presidente dell’Assemblea nazionale del Pd, dunque, incassa l’ulteriore «strappo» compiuto da Gianfranco Fini, giudica il suo discorso non al di sotto delle attese e in qualche modo guarda già al dopo: al bivio, cioè, tra elezioni subito o riforma della legge elettorale.

    Si potrebbe obiettare, però, che questa faccenda della separazione tra Berlusconi e Fini va avanti da mesi, con il Pd messo lì ad aspettare...

    «Per la verità, il Pd non aspetta affatto. Ma andiamo con ordine. Intanto ieri Fini un passo avanti l’ha fatto, ha detto a Berlusconi: o ti dimetti o ritiro i miei ministri. Si tratta di un’affermazione chiara, vuol dire che la crisi è ormai aperta. Può darsi che provino ancora un po’ a rimpallarsene la responsabilità: ma l’epilogo mi pare scritto».

    A onor del vero, a Berlusconi il presidente della Camera ha proposto: dimettiti, ricontrattiamo il programma e magari allarghiamo la maggioranza, no?

    «Intanto ha detto a Berlusconi dimettiti: e fino a ieri eravamo noi da soli a dirlo. E’ un risultato. Quanto al ricontrattare questo o quello, non credo sia un’ipotesi in campo. In particolare non mi pare possibile che Casini accorra in soccorso del governo nel ruolo di stampella: smentirebbe se stesso e tutto quel che ha fatto e detto da quando si è coraggiosamente presentato da solo alle elezioni. Dopodiché, se Fini vuol provare a rifare un accordo, si accomodi: ma facciano in fretta, perché il Paese, ingovernato, è ormai allo stremo».

    Lei sa, naturalmente, che molti contestano al Pd una qualche subalternità rispetto alle mosse del presidente della Camera: come risponde?

    «Che è una contestazione stramba: con i numeri che ci sono in Parlamento, chi può determinare la crisi del governo, se non un partito della maggioranza? In più, di che subalternità parliamo? Siamo i primi ad aver posto il problema del cambio della legge elettorale, che ora anche Fini chiede; facciamo opposizione nelle Camere, e spesso battiamo il governo; stiamo ricostruendo il centrosinistra; abbiamo avviato una mobilitazione porta a porta nel Paese e l’11 dicembre terremo una grande manifestazione nazionale a Roma. Direi che siamo decisamente attivi e in campo».

    Magari - insiste qualcuno - basterebbe, ogni tanto, non solo applaudire ma anche segnalare le ambiguità di questa o quella mossa del presidente della Camera, no?

    «Noi non applaudiamo affatto: di Fini vediamo i passi avanti, quando ci sono, ma anche le contraddizioni. Se, per esempio, cominciasse un balletto di vertici e trattative, saremmo durissimi perché il Paese è stremato e non può più attendere. Ma credo che, a questo punto, sia questione davvero di settimane, anche perché sono in arrivo in Parlamento le misure economiche e in commissione il governo è già andato sotto. In ogni caso, troveremo noi il modo di parlamentizzare la crisi: perché non è accettabile che i problemi del Paese restino in attesa di un nuovo governo di centrodestra, che non potrà nascere visto che questa maggioranza è morta e sepolta».

    Presidente, lei avrà seguito la tre giorni di Firenze voluta da Renzi e Civati: i cosiddetti «rottamatori» dicono che di Fini non ci si può fidare, che non può essere considerato un alleato...

    «Prima mi faccia dire che da Firenze arriva un segnale che non può essere trascurato: credo si debba esser soddisfatti per la bella organizzazione e per il successo di presenze di iscritti e dirigenti del Pd. Il messaggio è che i democratici discutono - e devono farlo - con tutti gli strumenti: quelli tradizionali e quelli più nuovi. Ho riserve, invece, sull’idea che il rinnovamento sia un problema soltanto di età e di numero di mandati parlamentari: ma è chiaro che noi, il segretario, il gruppo dirigente, con quelle istanze dovremo interloquire».

    Già, ma il giudizio su Fini?

    «Non è quello che può dividerci, perché nessuno lo considera un alleato. Il vero punto di possibile discussione riguarda piuttosto il dopo, cioè il che fare una volta caduto Berlusconi».

    Renzi e Civati sono contrari alla nascita di un governo tecnico, è questo che vuol dire?

    «Appunto. Noi crediamo non si possa tornare a votare con questa legge elettorale. E mi pare singolare che chi spinge per il rinnovamento pensi che sia possibile farlo con questa legge elettorale: con l’attuale sistema continueranno a decidere tutto le oligarchie, che siano di Roma oppure di Firenze...».

    E’ una battuta polemica?

    «E’ una constatazione. La polemica ha riguardato, magari, altro. Per esempio certi toni e certe modalità, che non ho condiviso. E anche quest’ultimo annuncio fatto ieri da Civati: l’assemblea costituente di “Prossima fermata Italia”. Non capisco cosa significhi. Dicono di non volere né spifferi né correnti: mi auguro che non vogliano nemmeno una rifondazione del partito...».

    Fonte: La Stampa - Federico Geremicca | vai alla pagina

    Argomenti: legge elettorale, Berlusconi, dimissioni, centrosinistra, manifestazione, pd, rinnovamento, Fini Gianfranco, dirigenti, presidente della Camera, oligarchie, crisi politica, giovani in politica, sindaco di Firenze, governo tecnico, nuova classe dirigente | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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