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Dichiarazione di Luciano VIOLANTE


 

Vecchi e giovani in Italia hanno vita grama

  • (20 novembre 2008) - fonte: Il Riformista - Luciano Violante - inserita il 21 novembre 2008 da 31

    Sergio Zavoli è un uomo che conosce la Rai meglio di qualunque altro parlamentare. Ha fatto sempre una televisione di grande qualità, ricordo "La notte della Repubblica"; ha un tratto signorile e cori se che ne fanno un vero gentiluomo, cosa ormai rara e perciò ancora più apprezzata. Tuttavia la sua designazione, dopo l’infausta vicenda Villari, apre una discussione su un difetto del nostro Paese.

    Nella classe dirigente gli over sessanta sono il cinquantacinque per cento, quelli tra i trentuno e quaranta anni sono il cinque per cento. Quando Obama nasceva, il nostro presidente del Consiglio aveva venticinque anni. L’età media del governo è cinquant’anni, cinque di meno del governo Prodi, ma uno in più del governo inglese. Qualche segno di ringiovanimento lo dà il Parlamento. Alla Camera i deputati della fascia più giovane, da venticinque a ventinove anni, sono passati da tre a sette, quelli over sessanta da centoventuno a centoquindici. Al Senato la fascia "giovane", da quaranta a quarantanove anni, è passata da sessantotto a settantasei senatori. Ma se si considera che su novecentoquarantacinque parlamentari eletti i "giovani" sono solo ottantatré, meno del dieci per cento, si deve tristemente concludere che queste rondini non fanno primavera.

    Non ho nulla contro i vecchi (ho sessantasette anni) e la demenza giovanilistica non mi ha ancora colpito. Vittorio Foa a novant’anni continuava a pensare al futuro; e non mancano i giovani cretini. Tuttavia, nella classe dirigente, i giovani, che hanno più vita da vivere rispetto a quella che hanno già vissuto, pensano al futuro come luogo dove costruire anche sé stessi e sono perciò necessariamente più impegnati per l’innovazione. Chi è più giovane è più interno alla vita della comunità nazionale e riesce a interpretarla meglio dei vecchi. Invece chi ha alle spalle più vita di quanta ne abbia davanti, vede il futuro come cosa d’altri ed è perciò meno disponibile ai cambiamenti. Nella vita politica, soprattutto, il passato è una gabbia di ricordi più che un contenitore di sapienze; per questa ragione nel nostro vecchio mondo politico i conflitti riguardano più l’interpretazione del passato che la costruzione del futuro.

    Dobbiamo concludere che non siamo un Paese per giovani?
    Non lo siamo perché come nelle società feudali premiamo i legami sociali e ignoriamo il merito.
    Un figlio su tre della borghesia ha probabilità di laurearsi; solo un figlio su venti della classe operaia ha le stesse possibilità.
    I laureati di famiglia borghese accedono alle classi alte in sei casi su dieci; il laureato di famiglia operaia in due casi su dieci. Abbiamo una eccellente scuola primaria, una buona scuola superiore; molte facoltà universitarie rispettate e rispettabili. Ma tanti giovani cervelli quando potrebbero costruire per il proprio Paese sono costretti a farlo altrove. Al momento buono perdiamo capitale umano sul quale abbiamo investito per circa venti anni. È una idiozia.

    Al disconoscimento del merito corrisponde il disconoscimento della responsabilità.
    Manager che hanno disastrato settori rilevanti delle imprese a partecipazione pubblica, continuano a galleggiare come turaccioli, passando da un incarico all’altro, in genere tutti ben retribuiti. Nessuna università esige dai suoi docenti un certo numero di pubblicazioni l’anno, la prova delle attività di ricerca, un certo numero di inviti da università o centri di ricerca esteri. Tutto questo deresponsabilizza e penalizza il merito.

    Ma non siamo neanche un paese per vecchi. In molti Paesi chi esce da un’esperienza di classe dirigente è chiamato a trasmettere le conoscenze acquisite durante tutta la vita in conferenze culturali o in corsi nelle università oppure è chiamato a svolgere attività di consulenza vera e utile. Chi è vecchio è utilizzato per salvaguardare l’arricchimento del sapere nello scorrere delle generazioni. Diversa è la situazione italiana. Chi esce dal circuito, tranne rare eccezioni, è considerato un ingombro. Perciò i vecchi che occupano posti di rilievo ritardano al massimo la loro uscita e anzi stringono patti generazionali di sostegno reciproco tra loro per prolungare la vita di ciascuno al comando.

    In definitiva i giovani non entrano anche perché i vecchi non escono. La politica dovrebbe togliere tutti i tappi, perché i vecchi non se ne andranno sino a quando non sapranno cosa fare fuori della loro stanza e i giovani non potranno entrare sinché i vecchi non se ne andranno.

    Questa riforma sociale è parte dell’interesse nazionale e io spero che se ne occupi presto qualcuno, nell’opposizione o nella maggioranza; meglio, se fosse possibile, insieme.

    In ogni caso un grande augurio a quello splendido vecchio che è Sergio Zavoli.

    Fonte: Il Riformista - Luciano Violante | vai alla pagina

    Argomenti: giovani, ricchi e poveri, università, sociale, Rai, anziani, televisione, merito | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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