Ti trovi in Home  » Politici  » Antonio POLITO  » I piloti di Silvio e i minatori della Thatcher.

Chiudi blocco

Altre dichiarazioni nel periodo per gli stessi argomenti



Dichiarazione di Antonio POLITO


 

I piloti di Silvio e i minatori della Thatcher.

  • (15 settembre 2008) - fonte: Il Riformista - Antonio Polito - inserita il 15 settembre 2008 da 31

    Onnipotente in parlamento e nei sondaggi, tanto da far parlare di alba della Terza Repubblica, il governo Berlusconi è sbattuto ieri sera contro il muro dei piloti dell’Alitalia, una piccola corporazione capace di rinchiuderlo nel bunker di una trattativa da Prima Repubblica. Non è sorprendente: ogni rivoluzione politica ha il suo muro simbolico da valicare; e il modo in cui lo fa, o non lo fa, proietta la sua ombra sul resto del cammino. Questo furono i minatori per la Thatcher, i controllori di volo per Reagan, e l’articolo 18 per l’altro governo Berlusconi.

    Al momento in cui scriviamo non possiamo dire se quel muro, tra panini e cicche di sigarette, sarà stato superato o aggirato nella notte con un accordo separato che esclude i piloti. I sindacati confederali stavolta ci stanno, non possono permettersi l’ennesimo niet. Il problema sono i piloti e le muffe del sindacalismo autonomo che hanno prosperato per anni nello stagno Alitalia. Ma quello che si può dire è che le cose possono finire anche peggio di come sono cominciate. Fin dalla campagna elettorale e dalla proposta Air France, l’obiettivo di Berlusconi non è stato infatti la restaurazione di regole di mercato in un’azienda che è già costata agli italiani l’equivalente di una finanziaria; ma, bensì, l’imposizione taumaturgica del suo tocco, il tentativo di sistemare le cose per qualche anno e poi si vedrà, naturalmente a spese del contribuente, l’unica risorsa con cui si possano fare i miracoli.

    Il nodo è stato fino all’ultimo, e non a caso, il contratto dei piloti. Non solo gli esuberi o la busta paga, ma le regole del gioco. La lunga perversione che ha fatto di Alitalia una delle compagnie più fallimentari del globo si è stratificata nello strapotere di questa categoria, che gode in azienda di un vero e proprio diritto all’autogestione: sulle carriere, sulle promozioni, sui turni di lavoro, sulla nomina dei comandanti, sulle pensioni. Per questo i piloti hanno un contratto separato, da azienda nell’azienda; e per questo i nuovi padroni di Alitalia vogliono portarli in un contratto unico. Su un punto solo i piloti hanno ragione: ed è quando dicono che la compagnia che ne verrà fuori è troppo piccola per reggere, quindi è fatta per essere prima o poi venduta. Hanno capito benissimo che hanno di fronte una soluzione politica, più che di mercato; che serve a far guadagnare qualche anno a Berlusconi e qualche soldo ai capitani coraggiosi; che si sta mettendo in piedi un «portage» per condurre l’Alitalietta in tre o quattro anni nelle mani più capaci di una grande compagnia aerea europea. Magari Air France, che per comprarla da Prodi doveva spendere due miliardi e mezzo e accollarsi i debiti, e quando la comprerà da Colaninno la troverà già ripulita dei debiti e del marcio, passati ai contribuenti.
    Questo difetto genetico dell’operazione Cai è il punto di forza dei piloti e di tutti coloro che nella notte hanno organizzato la resistenza. Il loro ragionamento è semplice: voi volete raggiungere il break even in tre anni, per poi vendere. Ma alla vostra festa vogliano partecipare anche noi, al regalo del governo non aggiungeremo il nostro, se volete fare l’affare dovete lasciare qualcosa anche a noi. Il clima da ultimatum con cui il governo ha impostato la trattativa non ha funzionato per questo. Perché tutti sanno che c’è un dopo, anche se si va al fallimento. Nella peggiore delle ipotesi, Fantozzi porta i libri in tribunale e l’azienda viene venduta all’asta e a pezzi, brand compreso. Scommetto che ci pensano anche molti soci Cai: basta prendersi Airone, che è il vero salvataggio di questa storia e poi i bocconi migliori di Alitalia ci cadranno in bocca da soli. Il partito del fallimento è molto più ampio di quanto non si dica, e i piloti lo sanno.
    Chi fa questo calcolo sta però sbagliando di grosso. Perché pur nell’anomalia della soluzione all’italiana scelta da Berlusconi, la privatizzazione mette in moto un meccanismo di mercato inesorabile. Colaninno e i suoi corrono comunque un rischio d’impresa, nonostante le condizioni di favore. Che un giorno venderanno, non c’è dubbio. Ma quando e a che prezzo dipende da quanto profittevole si dimostrerà la nuova compagnia. Se già alla partenza, per compiacere la voglia di successo di Berlusconi, i capitani coraggiosi cominciano a cedere sul piano industriale, cento milioni oggi, cento milioni domani, non è affatto detto che rientrino dei loro investimenti. Per questo sui piloti non possono cedere. Il parto della nuova Alitalia è stato pessimo, ma la nuova creatura deve comunque nascere sana, non può portarsi appresso le tare genetiche della partoriente.
    Cedere ai piloti significherebbe trasferire l’infezione mortale della madre alla figlia. Non cedere vuol dire rischiare una guerra a Fiumicino in stile minatori gallesi. E’ un’alternativa del diavolo, ma governare vuol dire questo. Perfino per Berlusconi, che preferisce regnare più che governare.

    Fonte: Il Riformista - Antonio Polito | vai alla pagina
    Argomenti: alitalia, regole, fallimento, Governo Berlusconi IV, Air France-Klm | aggiungi argomento | rimuovi argomento
    » Segnala errori / abusi
    Pubblica su: share on twitter

 
Esporta Esporta RSS Chiudi blocco

Commenti (1)

  • Inserito il 15 settembre 2008 da 31
    I piloti, casta antelitteram? Quasi sicuro. Ma chi doveva amministrare Alitalia, doveva amministrare anche i piloti e invece...Eccoci al punto di non ritorno. Se non altro, stavolta vedremo i sindacati, altra casta, guadagnarsi il pane.

Per scrivere il tuo commento devi essere loggato