Il reddito di cittadinanza e i sussidi nel resto d’Europa Europa

Il reddito di cittadinanza è stato confermato e riceverà nuovi finanziamenti per il 2022. Abbiamo ricostruito le differenze tra questa misura e gli schemi di reddito minimo garantito attivi negli altri paesi dell’Unione europea.

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Nel documento programmatico di bilancio 2022, approvato dal consiglio dei ministri il 19 ottobre 2021, è stato confermato il reddito di cittadinanza (Rdc), insieme a un aumento delle risorse messe a disposizione per finanziarlo.

Questa misura di contrasto alla povertà è stata introdotta nel 2019 dal primo governo Conte, sostituendo gradualmente il preesistente reddito di inclusione (Rei). È l’unica forma di reddito minimo garantito che esiste in Italia, uno degli ultimi paesi europei a essersene fornito.

Con reddito minimo garantito si intende una forma di sussidio statale offerto ai cittadini con reddito inferiore a una certa soglia e affiancato da un percorso di inserimento lavorativo. Si distingue quindi dal reddito di base, concesso a tutti i cittadini universalmente senza requisiti legati alla condizione economica.

Nonostante il nome “reddito di cittadinanza” sia usato solitamente come sinonimo di “reddito di base”, in Italia tale misura è in realtà associabile a uno schema di reddito minimo garantito.

Il Reddito di Cittadinanza (RdC), introdotto con decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4 come misura di contrasto alla povertà, è un sostegno economico finalizzato al reinserimento nel mondo del lavoro e all’inclusione sociale.

Il reddito minimo garantito, una misura per arginare la povertà

Secondo uno studio commissionato dallo European anti-poverty network (Eapn), negli anni in Ue si è registrato un graduale miglioramento delle condizioni di vita, ma nonostante ciò circa 110 milioni di cittadini sono ancora a rischio di povertà e di esclusione sociale. Una situazione che si è poi ulteriormente aggravata a causa della pandemia.

1 su 5 gli individui a rischio di povertà e esclusione sociale in Ue nel 2020.

Tra le misure di contrasto alla povertà, molti paesi membri negli anni hanno introdotto schemi di reddito minimo garantito. Ovvero programmi che supportano le persone più indigenti con somme mensili erogate direttamente dallo stato.

Misure assolutamente in linea con i valori fondanti dichiarati dall’Ue. In particolare riguardo il diritto di ogni cittadino ad avere le risorse necessarie per condurre uno stile di vita dignitoso.

Chiunque non disponga di risorse sufficienti ha diritto a un adeguato reddito minimo che garantisca una vita dignitosa in tutte le fasi della vita e l’accesso a beni e servizi.

Il reddito minimo garantito in Europa

Tutti gli stati Ue hanno, seppure in maniera eterogenea, introdotto misure di sostegno alle famiglie indigenti. Si tratta sempre di schemi di reddito minimo garantito e non di reddito di base. Insieme alla Grecia, l’Italia è stata l’ultima a introdurre questo genere di misure.

3,4% del Pil Ue era speso in misure di sostegno al reddito nel 2018, secondo il Fondo monetario internazionale (Fmi).

In alcuni stati come Svezia, Slovacchia e, recentemente, Spagna, il sistema è centralizzato a livello nazionale, mentre in altri tra cui Austria e Paesi Bassi è gestito localmente.

Ancora non esiste una normativa europea sul reddito minimo garantito e le misure prese dagli stati membri sono eterogenee.

Nella maggior parte dei casi, come a Cipro, in Spagna e in Lussemburgo, c’è un’età minima di accesso, solitamente intorno ai 25 anni. A volte il sistema è unitario, compatto e in grado di raggiungere la maggior parte delle famiglie indigenti. È questo il caso di paesi come Belgio, Lussemburgo, Slovenia, Svezia, Slovacchia e, dal 2020, Spagna. In altri stati esistono invece una serie di schemi stratificati e spesso indipendenti tra loro. Malta, per esempio, non dispone di uno schema unico, ma di una rete di protezione sociale ad accesso condizionato, e un sistema simile esiste anche in Irlanda. Solo in alcuni stati poi, tra cui la Germania, le misure raggiungono anche cittadini stranieri e rifugiati, anche se con importi inferiori.

Per quanto tutti gli schemi di reddito minimo garantito siano caratterizzati dalla condizionalità (hanno dei requisiti di accesso), il suo grado è variabile. In Bulgaria, ad esempio, i requisiti di accesso sono particolarmente numerosi e il sistema ne risulta indebolito e incapace di raggiungere numeri consistenti di persone.

A variare è poi anche l’entità dell’erogazione, da considerare in rapporto ai redditi mediani dei paesi di riferimento.

Il reddito mediano disponibile è misurato annualmente e a livello di nucleo familiare e si riferisce al reddito che il nucleo può spendere o mettere da parte, escludendo quindi le eventuali imposte. È inoltre standardizzato, ovvero adeguato al numero di componenti del nucleo e alla sua composizione. Qui il riferimento è una persona singola, disoccupata e senza figli.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Ocse
(ultimo aggiornamento: venerdì 22 Ottobre 2021)

In Italia il reddito di cittadinanza corrisponde a circa un terzo del reddito mediano. Sotto questo aspetto è il settimo paese Ue, dopo Paesi Bassi, Lussemburgo, Danimarca, Belgio, Irlanda e Malta.

Tra gli ultimi troviamo invece gli stati dell'Europa orientale, soprattutto Lettonia, Slovacchia e Romania, dove il reddito minimo garantito è pari ad appena l'8% del reddito mediano nazionale.

Il passaggio da Rei a Rdc in Italia

In Italia il primo passo verso l'introduzione di un reddito minimo garantito è stato il decreto legislativo 147/2017, di fatto la prima legge sulla povertà del nostro paese.

Il decreto introduceva il reddito di inclusione (Rei), un benefit economico accordato ai nuclei familiari in difficoltà grazie alle risorse del fondo povertà. Questa misura era pensata per essere non puramente assistenzialistica ma orientata all'inserimento lavorativo e sociale dei beneficiari.

Dal 1 marzo 2019 è poi subentrata una seconda misura, ovvero il reddito di cittadinanza, determinando la fine del Rei che, come stabilito dal decreto legge 26/2019, non può più essere richiesto.

I dati si riferiscono agli anni 2018 e 2019, ovvero il periodo in cui è stato introdotto il reddito di inclusione (Rei) e poi progressivamente abbandonato con il subentrare del reddito di cittadinanza (Rdc).

FONTE: elaborazione openpolis su dati Inps
(ultimo aggiornamento: venerdì 22 Ottobre 2021)

Come il reddito di inclusione, anche il reddito di cittadinanza è pensato per essere una politica attiva del lavoro oltre che una misura di contrasto a povertà, disuguaglianza e esclusione sociale. In entrambi i casi, il sostegno economico erogato mensilmente è infatti affiancato da un progetto personalizzato di inserimento lavorativo affidato ai centri di impiego, a gestione regionale.

Sia Rei che Rdc sono forme condizionate e non universali di reddito minimo. Nel caso del Rei, per ottenerlo bisognava dimostrare di trovarsi in condizioni di povertà, con un Isee non superiore ai 6mila euro per nucleo familiare (penalizzando così le famiglie numerose). Per quanto riguarda invece il Rdc, le condizioni di accesso sono leggermente meno stringenti (l'Isee non deve superare i 9.360 euro).

Il Rei aveva poi un importo medio decisamente inferiore rispetto a quello del Rdc, che arriva ad un massimo di 780 euro al mese, ed era limitato nel tempo (18 mesi estendibili a 30).

€ 293,16 l'importo medio mensile del reddito di inclusione tra 2018 e 2019.

Secondo la direzione generale delle politiche interne dell'Unione, il Rei era uno schema eccessivamente complesso e difficilmente accessibile. La situazione è poi migliorata con il passaggio al Rdc, ma rimangono alcune criticità, ad esempio le restrizioni ai cittadini stranieri, che per accedere al sussidio devono essere regolarmente residenti in Italia da almeno 10 anni.

Rispetto al Rei, il Rdc ha comunque avuto un raggio di azione più ampio. Stando ai dati Inps, nel 2020 più di 1,5 milioni di famiglie hanno percepito almeno una mensilità di reddito o pensione di cittadinanza, per un totale di 3,7 milioni di persone coinvolte. Pur con differenze a livello regionale.

I percettori di Rdc nelle regioni italiane

Le richieste di accesso al Rdc rispecchiano almeno in parte la distribuzione della povertà nel nostro paese, con Campania, Sicilia e Puglia che registrano il maggior numero di domande. Spiccano anche Lazio e Lombardia, le regioni italiane più abitate, che costituiscono rispettivamente il 10,1% e 10% di tutte le richieste.

I dati includono, oltre al reddito, anche la pensione di cittadinanza e sono considerati tutti i nuclei familiari che ne hanno percepita almeno una mensilità nel corso del 2020.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Inps
(ultimo aggiornamento: venerdì 22 Ottobre 2021)

Nel 2020, era la Campania la regione con più nuclei familiari che hanno richiesto il Rdc (il 19,6% del totale nazionale) e che lo hanno percepito.

Secondo il report trimestrale Inps, a livello provinciale e tenendo conto anche del numero di abitanti, Napoli era la provincia con il numero di percettori più elevato, seguita da Crotone e Palermo, con rispettivamente 180 e 179 percettori, rispetto a una media nazionale di 62.

Per quanto riguarda invece le regioni con meno percettori, per lo più si trovano al nord e al centro della penisola (Valle d'Aosta, Trentino Alto Adige, Umbria), oltre ad alcune regioni meno popolose come il Molise e la Basilicata.

 

Foto credit: Dan Burton - licenza

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