Il diritto all’aborto è ancora ostacolato in Europa Disparità di genere

Anche se formalmente riconosciuto in tutti gli stati membri, il diritto all’aborto è spesso ostacolato, in primis dall’obiezione di coscienza. In Italia il tasso di abortività è in calo, con delle differenze evidenti tra nord e sud.

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L’annullamento, a giugno del 2022, della sentenza Roe vs Wade negli Stati Uniti ha segnato una ripresa, anche a livello europeo, del dibattito sull’aborto. Il parlamento Ue ha adottato una risoluzione per spingere gli stati membri a includere il diritto all’aborto tra i diritti fondamentali dello European charter of fundamental rights. Un passo avanti che però rimane meramente formale, visto che è necessaria l’approvazione di tutti gli stati membri. Anche quelli come Malta e Polonia che hanno legislazioni molto dure in materia.

Attese, counseling e obiezione di coscienza continuano a ostacolare il diritto all’aborto.

Nonostante sia oggi formalmente garantito in tutti i paesi membri, il diritto a interrompere la gravidanza è ancora soggetto a numerose barriere in Europa. Non tanto le leggi quanto le pratiche, dalle restrizioni imposte alle donne che vogliono abortire fino all’obiezione di coscienza che ginecologi e anestesisti possono avanzare, rendono l’attuazione difficile e non sempre garantita. Oltre al fatto che occasionalmente, come nel caso recente della Polonia, emergono spinte regressive che mettono a repentaglio diritti già esistenti ma non per questo consolidati.

Sono fenomeni che ledono i diritti sessuali e riproduttivi delle donne, che sono prima di tutto diritti umani. Oltre ad avere un effetto negativo sulla loro salute, sulla loro posizione sociale ed economica nel mondo, ma anche sulla loro dignità, integrità, autonomia e abilità di prendere decisioni, come afferma anche il consiglio d’Europa.

La legislazione sull’aborto nei paesi Ue

Come riporta l’istituto europeo per la parità di genere (Eige), negli ultimi decenni si sono fatti molti passi avanti nella tutela dei diritti sessuali e riproduttivi delle donne. Nonostante ciò, sono ancora evidenti alcune lacune, riguardo all’accessibilità della contraccezione e all’informazione su temi di natura sessuale e riproduttiva. Ad esempio, in alcuni paesi tra cui anche l’Italia l’educazione sessuale non è considerata materia di insegnamento obbligatoria nelle scuole.

Per quanto riguarda l’aborto specificamente, esso è riconosciuto ufficialmente in tutti i paesi membri tranne Malta. Anche se negli ultimi giorni è passata una legge che ne riconosce la legittimità in casi molto estremi: solo quando la vita della madre è a rischio. A oggi tuttavia non esiste una fonte che ricostruisca, a livello europeo, la legislazione vigente in tutti i paesi membri. Nella mappa sottostante riportiamo quanto evidenziato da Eige riguardo ad alcuni ostacoli ricorrenti. Si tratta di una ricostruzione parziale.

Si identificano i paesi che hanno una legislazione restrittiva per quanto riguarda l’aborto e quelli che invece, pur permettendo in principio alle donne di richiederne uno, impongono dei vincoli che rendono il processo più lungo e difficoltoso. Non esiste un database europeo della legislazione in materia di aborto: i dati provengono da Eige, che ne fornito una parziale ricostruzione, e da fonti di stampa nazionale laddove l’informazione non fosse più valida (Eige fa riferimento a un periodo compreso tra 2015 e 2021).

FONTE: elaborazione openpolis su dati Eige e fonti di stampa nazionale
(consultati: venerdì 7 Luglio 2023)

Oltre a quella maltese, un’altra situazione particolarmente restrittiva è quella polacca, dove negli anni si è verificata una tendenza regressiva in questo senso, e si può richiedere un’interruzione di gravidanza solo in caso di pericolo per la salute o la vita della donna o in caso di violenza. Mentre in Irlanda, nel 2018 un referendum ha eliminato il rigido divieto preesistente, anche se permangono dubbi riguardo alla concretezza della riforma.

In tutti gli altri paesi membri non ci sono particolari restrizioni e le donne non devono giustificare il proprio desiderio di interrompere la gravidanza. Esistono però alcune barriere, come il periodo di attesa o il counseling obbligatorio. Il periodo di attesa costringe le donne ad aspettare tra il momento di richiesta e la ricezione del servizio. Mentre il counseling impone di seguire un percorso che alle volte ha come obiettivo proprio quello di far cambiare loro idea. In Finlandia, è necessaria l’approvazione di un medico. Varia inoltre, ma non viene riportato dai dati europei, il limite in termini temporali entro cui si può praticare l’aborto (generalmente compreso tra le 10 e le 24 settimane).

La situazione italiana

In Italia la legge prevede che le donne possano liberamente richiedere di interrompere la gravidanza per qualsiasi ragione. Purché questo sia fatto entro i 90 giorni di gestazione.

Sussistono però, come si può osservare nella mappa, ostacoli come l’obbligo di fare counseling e di attraversare un periodo di attesa. Queste pratiche sono comunque considerate lesive, perché ostacolano il diritto decisionale delle donne e alle volte rallentano inutilmente le procedure.

A questo si aggiunge poi il fatto che la maggior parte dei ginecologi (64,6%), quasi la metà degli anestesisti (44,6%) e oltre un terzo del personale non medico (36,2%) sono obiettori di coscienza, secondo l’ultimo aggiornamento relativo al 2020. Un fattore molto significativo e oltretutto molto variabile a livello locale, che costringe spesso le donne a cercare altrove un medico disposto ad aiutarle oppure genera un sovraccarico di lavoro al personale sanitario non obiettore.

Negli anni le interruzioni di gravidanza sono andate gradualmente calando nel nostro paese, come rileva Istat. L’istituto di statistica si riferisce in questo caso al numero di aborti volontari effettuati ogni 1.000 donne. Un tasso che viene poi standardizzato per evitare deformazioni rispetto all’età.

5,8 aborti volontari ogni 1.000 donne in Italia nel 2021.

I dati si riferiscono al numero di aborti volontari ogni 1.000 donne in Italia. Viene considerato il tasso standardizzato. La standardizzazione consiste nel riportare i tassi alla situazione ideale in cui tutta la popolazione ha la stessa struttura per età di una popolazione prescelta, che in questo caso è quella media femminile italiana tra i 15 ed i 49 anni riferita all’anno 2001. Il tasso standardizzato è la media ponderata dei tassi specifici per età, con pesi dati dal rapporto fra popolazione “tipo” femminile media nella classe d’età e popolazione “tipo” femminile in età feconda.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Istat
(consultati: giovedì 6 Luglio 2023)

Nel corso dell’ultimo decennio il tasso di abortività in Italia è andato gradualmente calando. Ha registrato un picco nel 2011, quando ci sono stati 8,17 aborti ogni 1.000 donne, per poi ridursi progressivamente. Nel 2021 il valore è leggermente più elevato rispetto al 2020.

Nel 2021 i valori più elevati sono stati riportati in Liguria (8,18) e Piemonte (7,21) e, a livello di macro-area, nel nord-ovest (6,33). Il dato più basso è invece quello calabrese (2,62) e come macro-area quello delle isole: 4,87 aborti volontari ogni 1.000 donne. Le regioni meridionali del paese sono infatti quelle che riportano l’incidenza maggiore di medici obiettori di coscienza e spesso le donne sono costrette a migrare verso altre zone. Anche questo più spiegare i divari territoriali.

Foto: Manny Becerralicenza

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