Cos’è la corte costituzionale e di cosa si occupa

La corte costituzionale è il massimo organo di controllo sul rispetto e la compatibilità con i principi contenuti nella carta. È composta da 15 giudici eletti tra alti magistrati, docenti universitari e avvocati.

Definizione

La corte costituzionale rappresenta il massimo organo di garanzia e di controllo sul rispetto e la compatibilità con i principi contenuti nella carta non solo delle norme ma anche dei comportamenti tenuti dalle istituzioni. In base all’articolo 134 della costituzione infatti la corte giudica sulla legittimità delle leggi e degli atti aventi forza di legge emanati dallo stato e dalle regioni. È competente poi anche nel dirimere i conflitti di attribuzione tra i poteri dello stato, tra lo stato e le regioni o tra le regioni. Inoltre si esprime nei casi in cui il parlamento riunito in seduta comune metta in stato d’accusa il presidente della repubblica (articolo 90, comma 2).

A questo elenco infine si aggiungono anche il giudizio sull’ammissibilità dei referendum abrogativi (legge costituzionale 1/1953 e legge 253/1970) e sulla legittimità degli statuti delle regioni ordinarie (articolo 123, comma 2 costituzione).

Il giudizio della corte costituzionale può essere attivato sostanzialmente in 2 modi: in via incidentale o in via principale (o diretta). Il primo caso avviene quando, nel corso di un processo, le parti o il giudice stesso rilevano la possibile illegittimità costituzionale di una norma. In questo caso se il magistrato ritiene che la questione sia rilevante e non manifestamente infondata sospende il processo e la rinvia, con ordinanza motivata, alla corte costituzionale. Il secondo caso invece può essere avviato dallo stato o un ente regionale relativamente a una norma emanata dall’altra istituzione. Le leggi regionali possono essere impugnate per ogni vizio di legittimità. Le regioni invece possono impugnare le norme nazionali solo se vanno a ledere le loro sfere di competenza.

Le decisioni della corte sono prese attraverso sentenze o ordinanze. La sentenze sono emanate quando la corte giudica in via definitiva, mentre le ordinanze riguardano tutti gli altri provvedimenti di sua competenza. Le sentenze possono essere di 3 tipi:

  1. inammissibilità;
  2. accoglimento;
  3. rigetto.

Nel primo caso la corte dichiara l’impossibilità, per vari motivi, ad entrare nel merito della questione posta. Mentre nel secondo caso viene accolta l’istanza e la norma impugnata viene dichiarata illegittima. L’effetto di una sentenza di questo tipo è assimilabile all’annullamento della disposizione contestata. Con le sentenze di rigetto invece la corte dichiara infondate le questioni sottoposte.

In base all’articolo 135 comma 1 della costituzione la corte è composta da 15 giudici. Un terzo di essi è scelto dal presidente della repubblica e un altro terzo è eletto dal parlamento in seduta comune. La parte rimanente invece è eletta dai più alti gradi della magistratura, sia ordinaria che amministrativa. In particolare 3 giudici sono scelti dalla corte di cassazione, uno dal consiglio di stato e uno dalla corte dei conti. Nel caso della messa in stato d’accusa del presidente della repubblica, ai 15 componenti cosiddetti ‘togati’ si aggiungono altri 16 giudici estratti a sorte da uno speciale elenco di cittadini aventi i requisiti per l’eleggibilità a senatore.

Possono far parte della corte costituzionale i magistrati (anche a riposo) delle corti di grado superiore, i docenti universitari ordinari in materie giuridiche e gli avvocati con almeno vent’anni di servizio. I componenti della corte restano in carica per 9 anni e non sono rieleggibili.

Dati

Osservando il periodo compreso tra il 2006 e il 2020 possiamo osservare che le pronunce della corte costituzionale sono state complessivamente 5.035. Mediamente le decisioni – comprensive di sentenze e ordinanze – sono state circa 335 ogni anno. Nel 2020 sono state 281 di cui 163 erano giudizi di legittimità costituzionale.

Come si nota anche dal grafico, nella seconda parte di questo arco temporale possiamo osservare una significativa riduzione degli atti pubblicati. Questo, secondo una relazione del centro studi della corte, è da attribuire alla riduzione dei ricorsi sia in via incidentale che principale.

FONTE: elaborazione openpolis su dati corte costituzionale
(ultimo aggiornamento: lunedì 27 Dicembre 2021)

5.035 le decisioni adottate dalla corte costituzionale dal 2006 al 2020.

Nel periodo considerato la corte si è pronunciata principalmente a seguito di ricorsi in via incidentale. Questa modalità infatti ha prodotto in media il 58% circa delle sentenze. Mentre i ricorsi in via principale sono all'incirca il 32%. Fanno eccezione solo il 2012 e 2013 in cui questa seconda modalità ha rappresentato la maggioranza delle istanze su cui la corte si è pronunciata.

Rientrano nella categoria “altro” i giudizi di ammissibilità sui referendum e la correzione di errori materiali.

FONTE: elaborazione openpolis su dati corte costituzionale.
(ultimo aggiornamento: lunedì 27 Dicembre 2021)

Minoritarie invece le decisioni sui conflitti di attribuzione tra enti e sull'ammissibilità dei referendum.

Analisi

Le modalità con cui la corte costituzionale si esprime si sono evolute dalla sua istituzione a oggi. Negli ultimi anni infatti la corte ha prodotto una serie di sentenze che superano la tradizionale dicotomia tra accoglimento e rigetto ampliando notevolmente il ventaglio delle proprie possibilità di intervento.

Tra i vari tipi di pronunciamento si possono annoverare le sentenze:

  • interpretative in cui sostanzialmente un norma viene considerata incostituzionale (o meno) quando applicata con una determinata interpretazione;
  • manipolative attraverso le quali corte modifica il contenuto di una legge, per evitare di dichiararla incostituzionale ed impedire così la formazione di un vuoto normativo;
  • di incostituzionalità parziale con cui la corte dichiara incostituzionale solo una porzione della norma e non l'intero testo.

Significativa anche l'introduzione della formula della cosiddetta "incostituzionalità prospettata". In questo caso la corte, attraverso un'ordinanza, rinvia la sentenza a una seduta successiva, dando tempo così al legislatore di disciplinare la materia.

Il motivo di tanta proattività da parte della corte costituzionale sarebbe da individuare in 2 elementi principali, come emerge anche dalla relazione annuale sull'attività svolta nel 2020. Il primo riguarda la diminuzione dell'importanza attribuita al principio secondo il quale la corte deve esperire tutti i tentativi possibili di interpretare una norma in una forma che sia compatibile con la carta prima di dichiararla incostituzionale.

La corte costituzionale non può esprimere giudizi di natura politica.

Il secondo principio invece riguarda una certa inerzia da parte del legislatore. Specie su temi delicati come la gestione del fine vita, i diritti delle coppie omosessuali o la condizione dei carcerati. In questi casi infatti spesso il parlamento ha faticato a tenere il passo dell'evoluzione dei diritti in materia, anche alla luce della giurisprudenza internazionale (come le sentenze della corte europea dei diritti dell'uomo).

Un caso particolare da questo punto di vista è stato quello legato alla vicenda di Marco Cappato. L’attivista dell’associazione Luca Coscioni accusato – in base all’articolo 580 del codice penale – di avere aiutato Fabiano Antoniani a suicidarsi (si parla in questa fattispecie di "aiuto al suicidio").

Nell’affrontare questo caso la corte aveva fatto ricorso per la prima volta a un ibrido tra un'ordinanza di rinvio e una sentenza di accoglimento che ha animato un intenso dibattito in dottrina. Questa scelta è stata fatta perché da un lato la corte aveva già riconosciuto l’incostituzionalità parziale della norma, dall'altro però si voleva dare tempo al parlamento di intervenire evitando un vuoto normativo.

Anche in questo caso però il parlamento ha lasciato cadere nel vuoto gli inviti della corte a intervenire in materia. Secondo una parte della dottrina però la proliferazione di modalità di giudizi da parte della corte costituzionale andrebbe almeno in parte a ledere le prerogative del legislatore. Nel suo operato infatti la corte non può adottare valutazioni di tipo politico ma solo di merito. Da questo punto di vista quindi sarebbe preferibile conferire alla corte il potere di differire nel tempo l’entrata in vigore delle proprie sentenze. Oppure riconoscere il potere di sospendere le norme sub-judice, come del resto già avviene per i giudizi di legittimità costituzionale sollevati in via principale.

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