Cos’è la politica europea di coesione

Sono tutti gli investimenti attuati tramite i fondi strutturali europei che hanno l’obiettivo di ridurre i divari economici e sociali tra i territori.

Definizione

A livello europeo, sono previsti investimenti per sostenere le economie degli stati membri, con una forte attenzione alla riduzione dei divari tra le regioni. L’insieme di norme, fondi e interventi che hanno questa funzione specifica è definito dalla politica di coesione. L’espressione “coesione” viene intesa sotto tre aspetti principali: quello economico, quello sociale e quello territoriale.

Questo è il principale piano di investimento europeo, che si innesta su tutta una serie di fondi legati a diversi settori, come ad esempio il fondo europeo di sviluppo regionale (che promuove lo sviluppo economico) e il fondo sociale europeo (che comprende incentivi all’occupazione). Ha le sue basi giuridiche all’interno degli articoli che vanno dal 174 al 178 del trattato sul funzionamento dell’unione europea (Tfeu).

Per promuovere uno sviluppo armonioso dell’insieme dell’Unione, questa sviluppa e prosegue la propria azione intesa a realizzare il rafforzamento della sua coesione economica, sociale e territoriale.

Sono due gli ambiti specifici su cui insiste la politica di coesione:

  • Investimenti a favore dell’occupazione e della crescita;
  • cooperazione territoriale europea.

Una particolare attenzione viene riservata alle zone rurali e a quelle che presentano rilevanti svantaggi demografici come le aree a bassa densità demografica e le regioni insulari, transfrontaliere e di montagna.

Dati

Per quel che riguarda il periodo 2021-2027, la politica di coesione verrà finanziata attraverso il quadro finanziario pluriennale, che viene redatto per definire i budget dei fondi strutturali.

392 miliardi le risorse complessive della politica di coesione 2021-2027.

Di questi, circa 11,3 miliardi saranno trasferiti al meccanismo per collegare l’Europa, un sistema di sostegno alle infrastrutture dei trasporti, e 2,5 invece avranno lo scopo di finanziare le funzioni tecniche e di supporto dei programmi. Sono quindi 378 miliardi quelli che verranno utilizzati per il finanziamento dei progetti e il raggiungimento degli obiettivi europei.

Di questi fondi, la maggior parte è destinata agli investimenti legati al primo obiettivo, quello relativo agli investimenti e alla crescita, con circa 369 miliardi. Per quel che riguarda i contributi del fondo europeo di sviluppo regionale e il fondo sociale europeo (complessivamente l’85% di questo primo obiettivo), vengono allocati seguendo un criterio di classificazione regionale. I territori sono quindi stati divisi a seconda del grado di sviluppo economico in modo da comprendere verso quali aree veicolare i fondi.

Il dato mostra il grado di sviluppo delle regioni europee diviso in tre categorie:

  • più sviluppate;
  • transizione;
  • meno sviluppate.

La classificazione si basa su aspetti economici come il mondo del lavoro e lo stato dell’industria.

FONTE: elaborazione openpolis su dati politiche di coesione

Le zone considerate meno sviluppate dal punto di vista economico si trovano in particolare nelle aree orientali e meridionali dell’Unione. Si può vedere come per numerosi casi sia la regione della capitale ad essere quella più avanzata, come nel caso di Bucarest e dell’area metropolitana di Lisbona. In Italia, le regioni meno sviluppate sono tutte quelle del mezzogiorno ad eccezione dell’Abruzzo che è in transizione.

Per quel che riguarda invece il secondo obiettivo, risultano stanziati complessivamente 9 miliardi di euro. Sono implementati principalmente nei programmi di cooperazione tra frontiere, transnazionali, interregionali e tra le regioni più esterne.

Analisi

Gli strumenti della politica di coesione hanno portato ad alcuni risultati, principalmente nelle aree dell’Europa orientale in cui i livelli di reddito erano più bassi. Istat rileva che per le altre zone non è avvenuto questo processo di convergenza, comprese quelle italiane. Si evidenzia invece che tutte le regioni si stanno generalmente allontanando dalla media europea.

Non si è verificato il processo di convergenza delle regioni italiane classificate come “meno sviluppate” (pressoché quasi tutto il Mezzogiorno d’Italia ad eccezione dell’Abruzzo), che hanno continuato a crescere sempre molto meno della media dei Paesi dell’Ue27. Ma è l’intero sistema Paese Italia che si è contraddistinto per un processo di progressivo allontanamento dal dato medio europeo: nel 2000 erano ben 10 le regioni italiane fra le prime 50 per Pil pro capite in ppa e nessuna fra le ultime 50. Nel 2021 fra le prime 50 ne sono rimaste solo quattro (Provincia autonoma di Bolzano/Bozen, Lombardia, Provincia autonoma di Trento e Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste), mentre fra le ultime 50 ora se ne trovano ben quattro (Puglia, Campania, Sicilia e Calabria).

In questo scenario si inserisce anche lo strumento del Next generation Eu (Ngeu), che contribuisce alla coesione economica, sociale e territoriale dei paesi dell’Unione. A fianco dei fondi ordinari si affianca quindi anche questa componente straordinaria che è stata definita dal piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che ogni singolo stato ha dovuto compilare.

Analisi dei fabbisogni e competenze sono la chiave per raggiungere una convergenza economica.

Sono quindi numerose le possibilità di finanziamento per avere un avanzamento delle infrastrutture degli stati membri, ciascuna con le sue clausole e regole particolari. Si rivelano quindi cruciali il personale e le competenze per seguire i bandi europei e per presentare dei progetti che risultino ammissibili a finanziamento. Solitamente, è più facile per le aree sviluppate accedere a questi fondi proprio per questi motivi: senza lavoratori formati per seguire questi aspetti, si rischia di ampliare il divario invece che appianarlo. Ma in questo anche l’analisi dei fabbisogni gioca un ruolo fondamentale: in ambito politica agricola comunitaria (Pac), la corte dei conti europea ha puntualizzato che una delle complessità maggiori nella gestione dei fondi è data dal poco utilizzo di dati disaggregati, cruciali nella definizione delle aree locali più piccole in cui è necessario un intervento.

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