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Dichiarazione di Fabio RAMPELLI

Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: FI) 


 

Rampelli sul dl gelmini alla Camera dei Deputati

  • (29 settembre 2008) - fonte: Camera dei deputati - inserita il 30 settembre 2008 da 180
    Signor Presidente, sottosegretario, colleghi, qualcuno ha giudicato questo decreto un ritorno al passato, un'involuzione, una sorta di regressione della scuola italiana. In altri periodi della nostra storia civile e politica probabilmente sarebbero state erette barricate autentiche contro questo provvedimento reazionario. Si tratta di un modello tutto sommato semplice, e sostanzialmente corrispondente - ritengo questo l'elemento più interessante - alle esigenze delle famiglie italiane, vale a dire ben sincronizzato con la tradizione più alta ed efficace del nostro impianto formativo.
    Quando abbiamo avuto la capacità di legiferare, dando priorità al buonsenso e mettendo all'angolo l'interferenza delle ideologie e delle dottrine, dobbiamo ammettere di aver svolto un buon lavoro. Qualcuno prova a protestare contro questo provvedimento e si trova immancabilmente senza argomenti, senza carburante, con un crollo motivazionale che rende la protesta sindacale legittima e ridicola al tempo stesso.Pag. 124 Vediamo lo scenario reale nel quale matura questo provvedimento. Secondo le solite ricerche pluricitate dell'OCSE, le maestre e i maestri italiani fanno 735 ore all'anno, rispetto alle 812 di quelli stranieri. Meno ore e meno costi, si potrebbe presupporre. Invece no, è esattamente il contrario: secondo quanto riportato da Il Sole 24 ore, infatti, l'Italia è tra le nazioni del mondo che spende di più, soprattutto per le primarie, e che utilizza male le risorse nel processo di distribuzione: parliamo di 6.835 dollari per alunno, contro i 6.552 della media mondiale.
    Il vero problema, infatti, è come vengono spesi i fondi elargiti dallo Stato. L'Italia vanta il numero di docenti più elevato d'Europa, il bilancio è di 43 miliardi di euro per l'istruzione, spesi, come sappiamo e come più volte è stato riportato anche in quest'Aula, per il 97 per cento per stipendi agli insegnanti (800 mila, un milione e 300 mila, una forbice oscillante a seconda delle fonti, ma comunque questo è il quadro). In questa discussione viene utilizzata e agitata in maniera strumentale, a mio giudizio, la questione del maestro unico, che già nella nota battaglia delle parole viene in qualche maniera deformata, perché siamo in presenza comunque di un maestro prevalente, non di un maestro unico, ma la propaganda, come sappiamo, marcia di pari passo con la politica. La questione del maestro unico viene attaccata con più forza dall'opposizione la quale, attraverso le sue diramazioni sindacali, alcune associazioni professionali, i docenti, molto orientati politicamente, sta cercando di alimentare la protesta nelle piazze e nelle scuole, a onor del vero con scarsa soddisfazione.
    Le azioni di protesta di questi giorni provengono infatti dalla scuola primaria; si sta cercando di trasmettere all'opinione pubblica il concetto che i provvedimenti riguardanti la scuola primaria, soprattutto quello sul maestro unico, siano dettati da mere logiche finanziarie e derivino dalla necessità di tagliare la spesa. Si è aggiunto che tali misure andrebbero a stravolgere la parte migliore della scuola italiana, come rilevato da indagini internazionali. Si è usata la menzogna per allarmare le famiglie - l'abbiamo ascoltato anche in quest'Aula,Pag. 125nel dibattito in corso, negli interventi dell'opposizione - sulla diminuzione del tempo scuola, con conseguente impoverimento dell'offerta didattica. In verità, le misure di riordino della scuola primaria rimandano ad un disegno complessivo di riqualificazione della scuola italiana che, a nostro avviso, si fonda su motivazioni di carattere pedagogico, didattico, su logiche di ottimizzazione nell'organizzazione del personale e, conseguentemente, anche di migliore utilizzo delle risorse finanziarie. La prima questione che vorremmo evidenziare è che occorre piantarla di considerare il bambino una sorta di adulto in miniatura. Il fatto che oggi si insegni sociologia - la definizione corretta è «studi sociali» - fin dalla prima elementare, e che favole e leggende si leggano all'università nell'ambito di studi filologici, può dare la misura delle cose assurde che accadono in Italia, potremmo dire, dall'avvento della cultura marxista in poi. Oggi, nella scuola elementare non si studia più poesia, ma si fa analisi testuale; il senso del bello che si poteva suscitare con l'educazione artistica lascia il posto alla decodificazione e alla presa di coscienza dei messaggi visivi dell'ambiente; l'aritmetica si mescola confusamente con l'informatica, e la storiografia prende il posto della storia. L'introduzione del modulo, molto contrastata dagli stessi insegnanti nei primi anni Novanta, ha portato alla «secondarizzazione» della scuola primaria: anche per i bambini di sei anni, come alle medie e al liceo, al suono della campanella cambia insegnante, e cambia secolo. Secondo autorevoli pedagogisti dell'associazione ANPEC non c'è modo più radicale per distruggere la facoltà di concentrazione del fanciullo che passare di ora in ora da un campo all'altro del sapere e con figure di riferimento diverse, senza potersi soffermare e riflettere su un argomento. Proviamo a immaginare questo cambio d'ora, quando il nuovo insegnante che entra in aula senza sapere cosa sia accaduto nell'ora precedente, dice alla classe di chiudere il quaderno di italiano e di prendere, appunto, quello di studi sociali! Questo incessante alternarsi di attività che mal si conciliano tra loro rende sincopato, atomizzato, il fluire delle conoscenze, e se ne vedono i risultati nel prosieguo degli studi.Pag. 126
    È evidentemente opportuno andare a rovistare tra le cosiddette classificazioni internazionali. Impropriamente, alcuni quotidiani, citando il Libro bianco pubblicato sotto il Dicastero Fioroni, affermano che il rapporto OCSE salva la scuola primaria italiana, giudicata tra le migliori del mondo; dunque, perché - il sillogismo sarebbe questo - cambiare una scuola che funziona, dice la sinistra?
    La scuola elementare italiana era sì fra le prime tre al mondo, ma agli inizi degli anni Settanta, quando vi era davvero il maestro unico e vi erano oltre 5 milioni di alunni, cioè il doppio di oggi. Ciò è riportato in altrettanti rapporti; non si tratta di invenzioni, illazioni, né solo e soltanto di commenti, bensì di studi approfonditi e indagini svolte a cavallo tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio degli anni Settanta. Il Libro bianco cita, invece, un rapporto IEA del 2001 che esamina alcuni risultati dell'istruzione in soli undici Paesi. Pag. 127
    Tra questi l'Italia risulta entro l'ottavo posto. Il rapporto del 2006, più recente, elaborato dallo stesso istituto nell'ambito della stessa indagine, invece, esamina i risultati nella lettura e nella matematica degli ultimi nove anni. Ecco quanto emerge: con riferimento alle attitudini degli studenti nei confronti della lettura - dato autodichiarato dagli alunni di nove anni - l'Italia è al secondo posto; con riferimento all'indice della percezione della propria capacità di lettura da parte degli alunni, l'Italia è al dodicesimo posto; riguardo alla frequenza con la quale i bambini si dedicano alla lettura di storie e racconti fuori dalla scuola, l'Italia scivola al quarantunesimo posto; riguardo al numero degli alunni che leggono fuori dalla scuola per informazione, siamo al trentatreesimo posto; quanto al numero di ore spese nella lettura, mediamente, in un giorno, finiamo dopo il Kuwait; per numero di alunni che leggono per divertimento siamo al venticinquesimo posto. Non ci sembra una classifica particolarmente esaltante! Se i sistemi di valutazione potessero cogliere anche il nesso tra causa ed effetto in un processo di apprendimento, scoprirebbero che i pessimi risultati degli studenti italiani nelle scuole medie inferiori e superiori non sono altro che il frutto di errori pedagogici e didattici commessi nella scuola primaria. Questa è una considerazione che comincia ad affacciarsi anche tra i più autorevoli commentatori: a questo proposito, la citazione è d'obbligo: «Il mito della scuola elementare», di Luca Ricolfi su La Stampa, anch'esso un testo diversamente citato.
    Dunque, vi sono troppe ore di lezione e scarsi risultati. Potremmo prendere in prestito un esempio chiaro degli scarsi risultati ottenuti nella scuola primaria dai dati relativi all'insegnamento musicale, che si svolge per un totale di oltre 500 ore. Ebbene, all'uscita dalla scuola media gli studenti conoscono appena i primi elementi di teoria musicale, non hanno un quadro completo della storia della musica e ancor meno sanno suonare qualche strumento, mentre con le stesse ore di lezione sarebbe possibile conseguire un diploma in conservatorio.
    Analogamente avviene per le altre materie di studio, ad esempio per la lingua inglese, su cui sono concentrate più diPag. 128recente le nostre attenzioni. Negli altri Stati europei l'insegnamento scolastico di una lingua straniera porta gli studenti a un livello di competenza tale da permettere loro di sostenere una conversazione, mentre così non avviene in Italia, nonostante le 500 ore di lezione nei primi otto anni di studi ed almeno altre 300 nei successivi cinque delle scuole superiori. L'organizzazione del personale non può che essere messa a confronto - come hanno fatto altri colleghi - con gli altri Paesi europei. Il modulo è un'anomalia tutta italiana: non esiste in altri Paesi d'Europa, dove i livelli qualitativi sono tra i più alti del mondo. Tra l'altro, più precisamente occorrerebbe parlare di insegnante prevalente, come si affermava in principio, in quanto quest'ultimo viene affiancato sempre da insegnanti specializzati, in lingua inglese e religione, e da insegnanti di sostegno. Si tratta di figure introdotte dopo il 1977: prima di questa data vi era il maestro unico. Nel rapporto alunni-insegnanti, negli ultimi anni, si è verificato un ingrossamento spropositato tra le file del comparto scuola, assolutamente ingiustificato se lo confrontiamo con il decremento - triste ma impassibile - della popolazione scolastica. Nel 1971, gli alunni della scuola elementare sfioravano i cinque milioni (lo abbiamo detto poco fa) e gli insegnanti erano 230 mila: il rapporto era di un docente ogni ventuno scolari. Nel 1994, tre anni dopo l'introduzione del modulo, gli alunni sono stati 2 milioni 600 mila e gli insegnanti 280 mila: il rapporto è passato ad un docente ogni nove alunni. Attualmente, le proporzioni si mantengono simili, con un'ulteriore diminuzione del numero degli alunni e degli insegnanti e un rapporto docenti-alunni pari a 10,7, che rimane di uno a nove se si aggiungono gli insegnanti di religione e i contratti a tempo determinato. Non avviene, però, quel che sarebbe facile pensare, ossia che ad ogni insegnante siano affidati nove o dieci alunni, perché mediamente ciascuno ne ha in carico cinquanta. Com'è noto, il modulo ha due principali articolazioni: il modulo tre su due, ossia con tre insegnanti che si alternano su due classi, e il modulo quattro su tre, con quattro insegnanti che si alternano su tre classi, ai quali vanno comunque ad aggiungersi almeno gli insegnanti di inglese e religione.
    Dunque, accade che a ciascun insegnante del modulo siano affidati da un minimo di cinquanta a un massimo di settantacinque alunni. Se ripercorriamo a ritroso la vicenda, fino adPag. 129arrivare alla genesi del modulo, troviamo che è nato tutto da una clamorosa operazione, che giudico clientelare, che si è cercato poi di dignificare in maniera scientifica, costruendo l'impalcatura psicopedagogica per occultare le vere ragioni di quella terribile scelta, di cui ancora oggi paghiamo le negative conseguenze. Con settantacinque o anche soli cinquanta alunni, si può dare un insegnamento individualizzato ed efficace? È una domanda retorica. Ecco allora l'escamotage delle compresenze per attuare interventi di recupero. Anche le due ore previste per la programmazione non sono che una toppa alla frammentazione che si viene a creare in classe nel carosello degli insegnanti che si alternano. Con l'insegnante unico si avrà un miglior rapporto docente-alunno, che gioverà soprattutto sul piano pedagogico e didattico. L'attuale funzionamento del tempo scuola prevede che, con l'attuale organizzazione del personale della scuola primaria, in ciascun modulo risultano in media quattordici o sedici ore di contemporaneità oraria dei docenti. Tali ore devono essere utilizzate per lo svolgimento di attività progettuali e/o di recupero, ove deliberate preventivamente dal collegio dei docenti, ovvero - ed è la prassi - per sostituire colleghi assenti dal servizio fino a cinque giorni consecutivi. Dunque, nella maggior parte dei casi, le ore di contemporaneità vengono utilizzate per supplenze brevi e non per l'ampliamento dell'offerta formativa o per interventi individualizzati. Qualche parola va spesa anche per le competenze degli insegnanti. Si parla delle specializzazioni conseguite dagli insegnanti delle elementari, sostenendo che non sarebbe possibile per un solo docente affrontare l'insegnamento di tutte le discipline. In realtà, i docenti della scuola elementare afferiscono ad un'unica classe di concorso, che li abilita a insegnare tutte le materie previste dai curricula didattici. Non esiste un ruolo specifico per gli insegnanti dell'ambito linguistico, matematico-scientifico o antropologico. Peraltro, la stessa legge n. 148 del 1990 dispone che venga assicurata un'opportuna rotazione nel tempo, ossia, nella prassi, che almeno al termine di un ciclo quinquennale di insegnamento il docente cambi ambito, dal linguistico allo scientifico o all'antropologico. Quindi, l'insegnante di scuola primaria, come previsto dal contratto di lavoro e dalle leggi, è maestro unico, non professore di italiano, di matematica o «di studi sociali», tanto per spazzare il campo da ogni equivoco.Pag. 130
    Strumentalmente, l'opposizione ha gridato e scritto sui manifesti che il tempo pieno sarebbe stato eliminato. Anche di questo abbiamo già parlato, ma l'accusa è talmente barbara che va per forza di cose approfondita. Il Ministro Gelmini ha dichiarato, viceversa, che sarà incrementato il tempo pieno, aggiungendo che, utilizzando circa 8 mila cattedre delle oltre 20 mila che si potrebbero risparmiare con il passaggio delle classi a modulo a classi a ventiquattr'ore, con il maestro unico si potrebbe garantire un incremento del 50 per cento del tempo pieno, portandolo dalla copertura attuale del 25 per cento delle classi ad una del 37 per cento. Abbiamo ascoltato - voglio accelerare soprattutto sulle materie sulle quali il dibattito si è sviluppato abbondantemente - le ragioni dell'opposizione in contrasto o in contrasto eventuale con la nota questione della reintroduzione dei voti e, in modo particolare, del voto in condotta. Penso che questo sia un aspetto, viceversa, positivo, perché la semplificazione dell'approccio con il sistema scolastico e quello dell'insegnamento dà la possibilità a una famiglia di capire, con maggiore precisione, di cosa si parla, quando si esprime un giudizio. Affiancare il voto numerico al giudizio significa, evidentemente, quasi decodificare o eliminare eccessivi margini di interpretazione e, talvolta, di discrezionalità. Pag. 131

    Quindi non c'è, evidentemente, un'elisione del giudizio riflettuto, ma c'è la possibilità di traduzione di questo giudizio in un giudizio numerico, quindi maggiormente comprensibile.
    Poi c'è la reintroduzione del voto in condotta, evidentemente un aspetto altrettanto importante. Faccio fatica a immaginare quanti, in cuor loro, possano contrastare questa norma con effettiva trasparenza e coerenza intellettuale. Già da quest'anno nelle scuole secondarie di primo e secondo grado, alla scuola media e alla superiore si ritorna a questa valutazione della condotta come elemento che può determinare la bocciatura. Agli alunni di medie e superiori che durante l'anno dovessero macchiarsi di particolari comportamenti, in sede di scrutinio i professori possono dare un cinque in condotta, che determinerebbe l'automatica bocciatura. Non si tratta di un vero e proprio ritorno alle norme ante statuto degli studenti (prima bastava ricevere il sette in condotta per essere bocciati), ma senza dubbio di un giro di vite. Da oltre trent'anni, alla scuola elementare primaria e alla media si ritorna alla valutazione espressa in decimi, come ai vecchi tempi, abbiamo detto, ma voglio, da questo punto di vista, annunciare che su questa materia presenteremo un ordine del giorno. È già stato, anzi, elaborato e lo stiamo confrontando con gli altri colleghi, perché non è intenzione - ma il Ministro, da questo punto di vista, è stato chiarissimo - offrire a qualche insegnante un potere eccessivo, per andare, magari, a punire, con l'escamotage della reintroduzione del voto di condotta, qualche studente che, molto semplicemente, come magari la gran parte dei presenti in quest'Aula, si interessa e impegna da un punto di vista civico, sociale, culturale e politico, e poi, magari, si trova, nella legittima rappresentazione anche di interessi sindacali, in posizioni di contrasto con i docenti o con i presidi. L'ordine del giorno, quindi, servirà a puntualizzare che la reintroduzione del voto in condotta non può essere brandita come una sorta di strumento per coercizzare lo studente e per togliergli il diritto, anzi, il diritto-dovere di essere una presenza critica all'interno della scuola, e quindi anche di organizzarsi per manifestare il proprio impegno civico o perPag. 132difendere il proprio diritto allo studio, quando viene messo in pregiudizio dal cattivo funzionamento della scuola o del sistema scolastico.
    C'è un'altra questione che è stata affrontata all'interno di questo decreto-legge e riguarda il libro di testo. Tutti conosciamo, e in buona parte abbiamo condiviso, le decisioni che hanno preso la forma del decreto-legge, ma c'è un altro aspetto. Anche qui, ci stiamo comunque applicando per capire e comprendere che tipo di margine esista nel giusto dialogo, anzi, nella dialettica fra maggioranza e opposizione e nel dialogo tra Parlamento e Governo, per puntualizzare che esiste e deve essere salvaguardata una libertà di insegnamento, ma occorre, una volta per tutte, sancire, anche attraverso dispositivi di legge, un'altra libertà, che non può essere considerata meno importante della prima e men che meno può essere cancellata, che è la libertà di apprendimento. Queste due libertà devono convivere tra loro; non si può sacrificare la libertà di apprendimento perché si erige a totem la libertà di insegnamento, che è diventata, per l'appunto, anche attraverso la scelta del libro di testo obbligatorio da parte dell'insegnante, una sorta di dogma assurdo. Penso che questo Parlamento, se non lo farà attraverso questa norma, dovrà comunque farlo in futuro; si dovrà preoccupare della libertà di uno studente e di una famiglia di affiancare a un testo consigliato da un professore un testo scelto, perché la cultura deve tornare ad essere, dopo gli anni tristi del monopolio marxista, una cultura libera. La scuola deve tornare ad essere, insieme all'università, quel grande contenitore all'interno del quale si può e si deve fare confronto plurale tra culture differenti. Non è più possibile leggere sui libri di testo - inutile citarli ancora, perché lo abbiamo già fatto in lungo e in largo non solo qui dentro, ma in diverse aule di questa nazione, e lo abbiamo fatto mettendo nero su bianco, formulando e divulgando dei dossier di controinformazione - delle valutazioni di carattere politico intorno ai Presidente del Consiglio, alle forze politiche, intorno al nostro tempo, ma anche delle valutazioni assolutamente mistificatorie rispetto a fatti storici: ricordo, anche in questo caso, interventi importanti non solo della mia parte, ma anche delle istituzioni, anche del Presidente della Camera dell'epoca, del Presidente Violante in ordine alle foibe, e ricordo che molti manuali storici valutavano e descrivevanoPag. 133la foiba come una sorta di dolina carsica, omettendo di raccontare che cosa accadesse, a Seconda Guerra mondiale finita, in quelle doline carsiche per colpa di qualche mascalzone, che ci andava a sterminare famiglie senza fare distinzioni di sesso o di età, scaraventandole dentro queste fosse, facendole morire a centinaia e centinaia di stenti e di sofferenza. Eppure la storia dei libri di testo suggeriti o imposti è questa: molte famiglie sono state costrette, si sono trovate costrette a subire un'invasione di campo. Non è quindi possibile, a mio giudizio, che la cultura e la sensibilità personale di carattere politico di un professore possa scavalcare, mortificare la libertà di giudizio di una famiglia e di uno studente; da questo punto di vista, ben venga la norma del Ministro Gelmini sui libri di testo e sull'impossibilità di cambiarli nel corso dei cinque anni, ma c'è anche un dibattito da rilanciare e approfondire per offrire una somma di libertà, e non sacrificare la libertà di apprendimento alla libertà di insegnamento o all'autonomia scolastica.
    È importante - e mi avvio a concludere - la norma, per quello che ci riguarda, che è stata anch'essa minimizzata, della reintroduzione dell'educazione civica. Voglio dire che la obbligatorietà di questa materia per una volta la settimana, per un'ora la settimana non significa soltanto appassionarsi allo studio della Costituzione: significa entrare nel merito delle grandi questioni civiche che caratterizzano il processo formativo di crescita di uno scolaro. Nel Regno Unito, in Spagna l'educazione civica si impara fin da piccoli; in Portogallo, in Romania, in Estonia l'educazione civica è una materia che si studia fin dalle elementari; in Germania, negli Stati Uniti è un capitolo del sussidiario o una materia che tocca più discipline; l'educazione per la cittadinanza e i diritti umani è una materia obbligatoria fin dagli ultimi anni delle elementari, dove si studia per ben 50 ore l'anno. Gli studenti spagnoli studiano il significato di rispetto, tolleranza e giustizia sociale, norme e principi della convivenza sociale; un capitolo a parte, per il quale il re in persona ha firmato un decreto ad hoc, è l'educazione etico-civica nelle scuole secondarie. Anche in Gran Bretagna si insegna cittadinanza dai sei anni; dunque penso che tale introduzione fosse assolutamente necessaria, semmai la nostra preoccupazione è seguire il corso di questo decreto-legge e di tutte le relative circolari, quando e dove saranno emesse, perché ci dev'essere garanzia che effettivamentePag. 134l'apprendimento possa arricchirsi di una materia che è stata studiata, fino a qualche tempo fa, e poi è stata messa nel dimenticatoio; e con questo ha accentuato il principio di atomizzazione della nostra gioventù, talvolta di imbarbarimento, fino alle tendenze al bullismo che abbiamo conosciuto in questi ultimi anni. Sono sempre esistite, per carità, forse la grande importanza dei media ha reso la conoscenza di questi episodi un può più evidente rispetto al passato, al passato più remoto, ma comunque va detto che questi fenomeni esistono e vanno contrastati; e il combinato disposto della reintroduzione dell'ora di educazione civica con la reintroduzione del voto in condotta e una diversa concezione della scuola ritengo possano comunque rappresentare delle efficaci norme per contrastare anche questo fenomeno. Pag. 135

    Non voglio fare considerazioni - anzi, per così dire, le cancello - su questo dibattito e su come si sta sviluppando: è importante, intanto, sottolineare che esso esiste e che quindi il decreto-legge al nostro esame non ha tarpato le ali all'opposizione, ma ha consentito un dibattito che è stato anche approfondito, sia in Commissione sia in Aula. Non credo dunque che si possa condannare un percorso che era un percorso obbligato, e chi è esperto di tecniche di Governo e di tecniche parlamentari sa bene che abbiamo fatto comunque un atto dovuto.

    PRESIDENTE. Onorevole Rampelli, la invito a concludere.

    FABIO RAMPELLI. Mentre non erano - e concludo - un atto dovuto i due atti adottati dal Ministro Fioroni, che di fatto ha impropriamente utilizzato due decreti per realizzare due piccole riforme. In conclusione, l'impressione è che l'opposizione stia soffrendo e che la ragione di tale difficoltà sia più profonda del semplice malessere scaturito dalla violazione del pur simpatico Ministro Fioroni. La sinistra appare stordita da questa conquistata capacità del centrodestra di congiungersi con il reale orientamento culturale della nostra comunità nazionale, che non è mai stata di orientamento sinistrorso, comunista o socialista, ma ha solo subito, appunto, un monopolio ossessivo.
    Sono convinto, in conclusione, che anche la sinistra stessa - quella sinistra che comunque si è, a passi veloci, allineata ad un'idea della politica più frizzante e più dinamica - in cuor suo stia facendo uno sforzo per ricollegarsi a questa «pancia» del Paese che vuole risposte chiare, che non si vuole lambiccare nei giudizi incomprensibili di una pagella scolastica che non dà linee definitive, che non ha avuto il voto in condotta e che lo ripristina giustamente proprio per semplificare.

    PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole Rampelli.

    FABIO RAMPELLI. Questa è una riforma del buonsenso, è una riforma che, semplificando, riallinea l'Italia alle altre democrazie occidentali (Applausi dei deputati del gruppo Popolo della Libertà).Pag. 136

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