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«Non mi dimetto per il caso Ilva. Disastri fatti dall'industria pubblica» - INTERVISTA
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(06 agosto 2012) - fonte: la Repubblica - - inserita il 07 agosto 2012 da 31
L'inquinamento è giusto che lo paghi lo Stato.«Dimissioni? Ma vogliamo scherzare? Si dimetta chi smercia carte false. Questa è una bufala, un attacco strumentale che il partito pro chiusura dell'Ilva sta conducendo perché ha perso la battaglia politica: attorno alla proposta del governo, quella del risanamento, si è costituito uno schieramento molto ampio che va dal Pdl a Sel».
Il ministro dell'Ambiente Corrado Clini risponde al telefono da Trieste.
Eppure, ministro, in un'intercettazione telefonica, consegnata dalla procura di Taranto ai giudici del Tribunale del riesame dei ricorsi sul sequestro dell'acciaieria, l'ex pr dell'Ilva parla di un certo "Corrado" come di un "uomo nostro" al ministero dell'Ambiente. Non è un nome così comune e molti l'hanno associato a un cognome, il suo.
«A questa insinuazione ha già risposto il procuratore della Repubblica di Taranto negando che, in maniera diretta o indiretta, il mio nome risulti dalle intercettazioni».
Ma lei è stato per tanti anni un dirigente importante del ministero.
«Voglio precisare che all'epoca di quella telefonata io guidavo la direzione generale per lo sviluppo sostenibile che non aveva alcuna competenza nella vicenda Ilva».
E quando ha cominciato a interessarsi all'acciaieria di Taranto?
«Nel marzo del 2012, su richiesta del presidente della Regione Puglia che mi aveva sottoposto nuovi dati sulle concentrazioni di benzopirene nell'aria. E anche perché l'8 marzo era stato pubblicato dalla Commissione europea l'aggiornamento delle migliori tecnologie disponibili nel settore della siderurgia e bisognava verificare la possibilità di applicarle».
Scusi, ma anche in una seconda intercettazione si fa riferimento a un altro esponente del ministero dell'Ambiente che avrebbe pilotato l'esito dell'autorizzazione integrata ambientale sull'acciaieria. Anche questa è una bufala?
«Io rispondo del mio operato e di questa vicenda non so nulla. L'autorizzazione fu rilasciata dal ministro dell'Ambiente dell'epoca, Stefania Prestigiacomo, e dal presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola. Osservo però che sarebbe singolare che, in presenza di sospetti così gravi, non ci siano state richieste di chiarimento da parte della magistratura: non mi risulta che accertamenti di questo tipo siano stati effettuati al ministero».
Lei ha parlato della necessità di usare le migliori tecnologie: in questo caso bastavano quelle sufficienti a evitare il picco di mortalità attorno all'impianto.
«Non ci sono dubbi sulla presenza di un impatto ambientale grave che si è andato accumulando in mezzo secolo. E non voglio fare una difesa d'ufficio di tutto quello che è stato fatto in questi anni: ad esempio la procedura di autorizzazione dovrebbe essere conclusa in 300 giorni e invece ha richiesto 4 anni e mezzo. Resta il fatto che ora, per risolvere il problema, bisogna procedere con le best technologies».
E con i 336 milioni di euro stanziati dal governo: fondi pubblici per sanare danni causati dai privati.
«Un momento. La gran parte dell'inquinamento prodotto dall'acciaieria risale all'epoca precedente al 1995, quando fu acquisita dal gruppo Riva. Prima di quella data l'impianto si chiamava Italsider ed era pubblico, così come erano pubblici l'arsenale militare e le altre fabbriche che nell'area hanno contribuito ad aggravare il danno. La verità è che buona parte dei disastri che oggi stiamo pagando sono stati prodotti da aziende di Stato negli anni Cinquanta e Sessanta. Questo naturalmente non vuol dire che oggi dobbiamo restare a guardare: abbiamo avviato una procedura di danno ambientale a carico di tutte le imprese dell'area che hanno contribuito all'inquinamento».
In ogni caso, proprio dal confronto con le migliori tecnologie disponibili, risulta evidente che i 336 milioni non basteranno a mettere in sicurezza l'impianto.
«Ma quei fondi serviranno solo per risanare alcune aree: Tamburi, che è il quartiere vicino, il Mar Piccolo, il Mar Grande, la zona portuale, l'area di Statte. L'azienda dovrà poi produrre, e noi lo abbiano sollecitato, un suo piano di risanamento in cui si può ipotizzare non la copertura di tutto il parco geominerario, che con i suoi 78 ettari è probabilmente il più grande del mondo, ma di quelle aree in cui c'è più polvere e dunque più pericolo».
Fonte: la Repubblica - | vai alla pagina » Segnala errori / abusi