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«Paghiamo l’assenza della politica» - INTERVISTA
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(06 dicembre 2010) - fonte: l'Unita' - inserita il 06 dicembre 2010 da 31
Il Governo non ha aiutato le imprese. Il Nord-Est, paga un tasso di fallibilità vicino al 50%Onorevole Colaninno vi aspettavate una crisi così forte?
«Sicuramente tutti sono consapevoli del fatto che stiamo vivendo una perdita di peso produttivo, con conseguenze pesanti sulle imprese. Tutto questo senza che sia stata messa in campo una vera politica industriale e di crescita. Sta qui l’anomalia italiana. È vero che i fattori di crisi sono molti, a partire dalla crisi finanziaria a livello globale. Ma è anche vero che l’Italia è l’unico Paese in cui il governo è assente: non mette in campo strumenti di contrasto, né misure che aiutino il sistema a riposizionarsi. Al contrario di noi, la Germania è riuscita a raggiungere un livello di crescita mai visto dai tempi della riunificazione. I tedeschi hanno sconfitto la crisi, perché hanno continuato ad investire».
Magari gli imprenditori tedeschi sono diversi dai nostri.
«Fin da quando ero in Confindustria avevo evidenziato la necessità degli imprenditori di fare anche autocritica. Sicuramente siamo arrivati tardi di fronte ai profondi cambiamenti che si stavano preparando a livello globale, e oggi paghiamo questa mancanza di tempestività. Ma non basta questo a spiegare il crollo italiano. La verità è che i presupposti del centrodestra sono stati sbagliati. Mentre Prodi aveva compreso che il risanamento doveva essere coniugato con misure per il rilancio (cito solo il cuneo fiscale e il piano Industria 2015), con il governo Berlusconi è mancatala consapevolezza sulla politica economica. Si è ripetuto il solito ritornello: ci si è fermati al piccolo è bello, lasciando però sole le piccole imprese, seminando l’illusione del protezionismo. Il governo non ha aiutato le imprese a crescere, e oggi quello che era il motore del Paese, il Nord-Est, conta un tasso di fallibilità aumentato del 50%. L’impostazione fondata sull’autocompiacimento è stata sbagliata».
Il Nord-Est ha creduto a questa illusione.
«Molti imprenditori si sono identificati in Berlusconi, vedendolo come uno di loro. C’è da chiedersi se oggi quella delega vale ancora: la fotografia della crisi è stata scattata la settimana scorsa, quando i costruttori sono andati in piazza assieme ai lavoratori. Io c’ero, e ho percepito una nuova consapevolezza anche nelle imprese: il consuntivo politico di Berlusconi è insufficiente. Anche i ceti produttivi cominciano a comprendere che quel “miracolo” è una bolla di sapone».
Come si esce dalla crisi?
«L’impresa italiana deve crescere, deve darsi una struttura organizzativa e finanziaria più solida, deve aggredire nuove posizioni di mercato. Che non vuol dire delocalizzare, ma internazionalizzarsi. Si può restare ancorati all’Italia, e contemporaneamente cercare altre condizioni produttive, non per tagliare i costi, ma per avere nuovi clienti». Un commento sul caso Fiat? «La vicenda è preoccupante. Ho già detto che Marchionne ha usato anche toni inaccettabili. Ma la vera domanda è: cosa vuol fare l’Italia della sua industria dell’auto. Anche in questo caso, a mancare è stata la politica».
Fonte: l'Unita' | vai alla pagina » Segnala errori / abusi