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«I capi di Gaza facciano come Arafat riconoscere Israele per negoziare» - INTERVISTA
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(06 gennaio 2009) - fonte: La Repubblica - Gianluca Luzi - inserita il 07 gennaio 2009 da 31
«Subito la tregua e poi la conferenza di pace. Ma contemporaneamente Hamas deve riconoscere Israele come fece Arafat vent’anni fa». Piero Fassino, ministro degli Esteri del governo ombra del Pd, propone di reagire con queste mosse all’«aria di ineluttabilità» che si addensa attorno al conflitto a Gaza.
Onorevole Fassino, cosa propone l’opposizione contro la guerra?
«Serve subito una iniziativa internazionale analoga a quella messa in campo due anni fa in Libano proprio su iniziativa italiana. E per dare credibilità ad una tregua ci si dichiari pronti a inviare osservatori e se tutti sono d’accordo anche una missione di pace sul terreno. Infine bisogna organizzare una nuova conferenza di pace, un negoziato per arrivare a riconoscere il diritto all’esistenza nella convivenza di israeliani e palestinesi. Ricordiamoci sempre che in Medio Oriente non si confrontano un torto e una ragione, ma due ragioni».
Adesso però parlano le armi. Non sembra il momento di una tregua.
«Le vicende drammatiche degli ultimi sessanta anni dimostrano che il tempo non lavora per la pace, al contrario il protrarsi del tempo senza una soluzione approfondisce il solco dell’odio».
Cosa dovrebbe fare il governo italiano?
«Agire subito. Non limitarsi ad auspici generici. Si faccia promotore in sede europea e all’Onu perché si assumano atti concreti che consentano di arrivare al cessate il fuoco».
Ma non si rischia di dimenticare che la tregua l’ha rotta Hamas e non Israele?
«Le responsabilità di Hamas sono evidenti. Così come non si può negare ad Israele il diritto di difendersi. Ma l’imperativo del momento è quello di fermare le armi e riaprire la strada del negoziato».
Il modello è quello del Libano?
«Come due anni fa in Libano ebbe successo l’iniziativa del governo Prodi di un intervento per sospendere le ostilità e riprendere un percorso politico, oggi chiediamo un’iniziativa analoga che contribuisca a far tacere le armi, a verificare la disponibilità delle parti alla presenza di osservatori e, se necessario, al dispiegamento di una forza di interposizione».
Ma non è un po’ irrealistica l’idea di una forza di pace?
«Nessuno dei due - Israele e Hamas - si fida dell’altro, quindi mettere in campo un terzo soggetto imparziale è essenziale per garantire la tregua. Noi chiediamo che l’Italia verifichi quantomeno se un simile percorso è fattibile. Invece vediamo che si considera ineluttabile il conflitto. Occorre subito una tregua e poi una nuova conferenza internazionale per arrivare a un percorso negoziale».
Però Hamas è una organizzazione definita terroristica da gran parte della comunità internazionale.
«Contestualmente al percorso politico è indispensabile che la comunità internazionale eserciti una forte pressione politica su Hamas perché riconosca il diritto di Israele ad esistere. Mentre Abu Mazen riconosce a Israele questo diritto, Hamas non lo fa. Quindi se vuole essere riconosciuta, deve per prima cosa riconoscere Israele».
Hamas vuole l’annientamento di Israele.
«C’è un precedente molto importante. Negli anni ‘70 e ‘80 l’Olp di Yasser Arafat non riconosceva il diritto all’esistenza dello Stato ebraico. In seguito alla pressione della comunità internazionale nel 1988Arafat cancellò quell’articolo e dichiarò che Israele aveva il diritto ad esistere. Si tratta di ottenere da Hamas quello che l’Olp fece vent’anni fa».
E quando dovrebbe essere fatta questa richiesta ad Hamas?
«Contemporaneamente al processo di pace. Prima la tregua, poi gli osservatori e nella preparazione della conferenza di pace la pressione su Hamas perché riconosca Israele».
Insomma, Hamas può diventare un interlocutore solo se riconosce Israele?
«Sì. Bisogna chiedere ad Hamas di scegliere: se oggi non riconosce il diritto di Israele ad esistere è fuori dal processo di pace e se è fuori dal processo di pace dà ragione a chi lo definisce una organizzazione terroristica e basta. Se invece Hamas si comporta come l’Olp nell’88 allora può diventare parte del processo di pace».
Onorevole Fassino, la Comunità ebraica ha di proposito escluso D’Alema, per le posizioni da lui espresse su Hamas, da una manifestazione alla quale lei stesso è invitato. Come giudica questa scelta?
«In generale non mi piacciono esclusioni e ostracismi e penso, invece, che sia molto più utile parlarsi».
Fonte: La Repubblica - Gianluca Luzi | vai alla pagina » Segnala errori / abusi