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Dichiarazione di Angelino ALFANO
Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: FI) - Ministro Giustizia (Partito: PdL)
"La riforma va avanti senza nessun ricatto" - INTERVISTA
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(29 settembre 2008) - fonte: La Stampa - Francesco La Licata - inserita il 29 settembre 2008 da 31
Il Guardasigilli: le critiche a Silvio? I soliti catastrofisti
Le agenzie di stampa hanno da poco battuto le dichiarazioni del presidente del Consiglio sulle possibili conseguenze - «un’approfondita riflessione su tutto il sistema giudiziario» - che potrebbero conseguire dall’eventualità che la Corte Costituzionale annulli il «lodo Alfano», quando si sblocca il cellulare del ministro della Giustizia. Angelino Alfano, ovviamente, conosce già il contenuto della «bordata» del premier e dunque non si fa trovare impreparato.
Signor ministro, ha sentito Berlusconi? Messa così, la sua dichiarazione è sembrata ai più una minaccia, anzi un ricatto, un voler interferire sulle decisioni dell’Alta Corte.
«No, nessun ricatto. Penso che Berlusconi abbia voluto semplicemente ribadire la propria fiducia sul buon esito della vicenda del lodo davanti ai giudici della Corte Costituzionale. E non mi sembra il caso che ci si cominci a strappare le vesti - come qualcuno in queste ore ha già cominciato a fare - a fronte di una ventilata “approfondita riflessione su come funziona la giustizia in Italia”. Questi catastrofisti, a volte, mi ricordano quei calciatori che “cascano morti in area di rigore” ma poi rimediano una punizione contro per fallo simulato».
Quindi l’intervento del presidente del Consiglio non è a gamba tesa?
«Assolutamente no e lo dimostra la cronologia dei fatti: la decisione dell’Alta Corte arriverà certamente dopo che noi avremo presentato alle Camere il nostro progetto di riforma costituzionale. Questo dovrebbe provare che non esiste alcuna volontà, diciamo, di condizionamento. Mi sembra perciò di poter affermare serenamente che in nessun modo si vuole che il giudizio della Corte possa interferire in qualche modo nel dibattito sulle riforme costituzionali. La discussione parlamentare precederà certamente la sentenza sul lodo».
Il progetto di riforma è stato modificato o resta nei binari finora dibattuti e contestati dai magistrati e dall’opposizione?
«Il tema centrale su cui poggia la riforma di rango costituzionale - quella sulla giustizia civile è altra cosa - è il conseguimento della parità fra accusa e difesa nel processo, che oggi vede penalizzati gli avvocati. Appaiono persino isolati fisicamente rispetto a giudici e pm che hanno fatto lo stesso concorso, frequentano gli stessi uffici e spesso fanno vita sociale comune, anche per tutelarsi rispetto al pericolo del condizionamento ambientale. Ecco, questo mi sembra il ritratto perfetto di una parità mancata tra protagonisti del processo: parità che era il principio fondante, tradito, del processo accusatorio».
Parità che intendete ripristinare trasformando i pm in avvocati dell’accusa.
«E’ stato Berlusconi a offrire per primo questa chiave semantica, parlando di avvocati della difesa e avvocati dell’accusa».
E quindi il passo successivo, che esula dal progetto di riforma costituzionale ma pure esiste come proposta ordinaria, di trasferire alla polizia giudiziaria prerogative che oggi sono dei pm. Si torna alle indagini gestite dagli apparati investigativi, come prima della riforma dell’89.
«Così andarono le cose dal 48 all’89 e non andarono male. D’altra parte è innegabile che il magistrato studia il diritto e fa un concorso per divenire giudice, non nasce poliziotto. La tecnica dell’individuazione della notizia criminis è in sè la caratteristica principale della polizia giudiziaria. L’investigatore offre al magistrato un prodotto, consentitemi il termine, semilavorato che il pm dovrà affinare e portare a dibattimento, qualora ritenga l’indagine sufficientemente forte».
Eppure c’è chi vede in tutto ciò il tentativo del governo di privilegiare la polizia giudiziaria, già sottomessa all’esecutivo, piuttosto che i pm ancora protetti dall’indipendenza dal potere politico.
«Ricordo, ancora ai catastrofisti, che l’idea di ripristinare in qualche modo la funzione della polizia giudiziaria non è sembrata scandalosa a gran parte dello schieramento parlamentare che comprende noi, il centro e parte della sinistra. Cito due per tutti: Vietti e Violante, che non stanno certamente con Berlusconi. Ripeto ancora: non c’è alcuna volontà di assoggettare i giudici all’esecutivo, anche perchè esiste l’alternanza e non oso pensare a cosa potrebbe portare un pm dipendente da una certa sinistra».
Ministro, l’altro tema caldo riguarda la separazione delle carriere dei magistrati. Avete avuto ripensamenti?
«Assolutamente no. Riteniamo indispensabile andare avanti sulla parità tra accusa e difesa e crediamo che la separazione sia una declinazione di questo principio. Noi non partiamo dalla separazione delle carriere - che preferisco pittosto definire come la nascita di un Ordine della difesa e dell’accusa - ma ci arriviamo per sostenere il raggiungimento di un giusto processo attraverso la parità dei ruoli nel processo».
Per finire, signor Guardasigilli, cosa direbbe ai numerosi magistrati che non si identificano nelle toghe rosse ma non condividono il programma del governo?
«Dico che nel tempo dell’alternanza e della indicazione diretta del premier esiste il dovere politico di portare avanti il programma sottoposto agli elettori. E dico inoltre che è giunto il tempo che i politici si interessino sempre meno delle sentenze e i giudici si astengano dall’interferire lungo il cammino dell’iter formativo delle leggi».
Fonte: La Stampa - Francesco La Licata | vai alla pagina » Segnala errori / abusi