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Dichiarazione di Gianni DE MICHELIS


 

Libia. «Stupito da questi tentennamenti» - INTERVISTA

  • (19 marzo 2011) - fonte: La Stampa - inserita il 19 marzo 2011 da 4110

    «Gheddafi è una tigre di carta».

    Gianni De Michelis, che fu ministro degli Esteri negli anni cruciali dalla caduta del Muro di Berlino alla prima guerra del Golfo, è sollevato ma perplesso: «Com`è possibile che l`Italia abbia tanto esitato a capire che direzione stava prendendo la storia, facendosi scavalcare da Francia e Inghilterra che vorrebbero tornare a spadroneggiare nel Mediterraneo come nel 1955, quando non c`era il Canale di Suez? Per questo Cameron se ne va a passeggio a piazza Tahir... Adesso che non abbiamo scelto in nome dello status quo, abbiamo davanti un`opportunità straordinaria».

    Sicuro? Nessun pericolo?

    «I rischi ci sarebbero stati se non fosse stata presa la decisione di intervenire: sarebbe dato un via libera non solo a Gheddafi ma all`Iran e a Hezbollah. Permettere di farla franca nell`uso della violenza contro il proprio popolo avrebbe rovesciato le sorti delle rivoluzioni del gelsomino».

    E però c`è un rischio sicurezza, per l`Italia. Un rischio di ripresa del terrorismo mediorientale.

    «Un rischio terrorismo c`è sempre, se gli si spiana la strada. L`Italia deve evitare di favorire per la Libia una soluzione somala. Disintegrare, smembrare Tripolitania e Cirenaica, creerebbe all`Italia notevoli problemi: proprio per questo occorre liberarsi di Gheddafi al più presto».

    La Libia però non ha una struttura statuale, non esistono i partiti. Ci sono solo una trentina di grandi tribù su 140 in tutto.

    «Sì, in Libia non c`è nulla, solo tribù. Ma è una realtà tribale che gli italiani conoscono bene, la studiano da almeno mezzo secolo.
    A differenza che in Tunisia ed Egitto non esiste uno stato, non c`è un esercito né altro ancoraggio per gestire la transizione. L`Italia deve essere in prima fila anche nell`institution building, aiutarli a costruire la loro democrazia. Anzi, mi stupisco che non ci siano già dei nostri laggiù che abbiano il controllo della situazione...».

    E si teme anche per le imprese italiane, per l`Eni, per i nostri interessi economici...

    «Mi auguro proprio che non ci saranno conseguenze. Intanto, con l`Occidente contro, Gheddafi è un topo intrappolato nei sui duecento carrarmati. Ormai la comunità internazionale si è mossa. Ho visto nei giorni scorsi dei dirigenti Eni, non i vertici, ed erano impauriti, confusi. Convinti che Gheddafi ce la facesse. Mi sono chiesto, ma come è possibile? Geografia e storia contano, e il gasdotto finisce in Italia, mica a Nizza. Posso capire i francesi e gli inglesi, che si sono mossi rapidamente, perché cercano un`opportunità per tornare ai tempi in cui Mattei non c`era. Ma l`Italia? Non rischia niente, sempre che il prode La Russa riesca a recuperare i troppi tentennamenti che abbiamo avuto. I vicini dei libici siamo noi, siamo noi il loro primo partner economico. Basta aver coraggio. Capire che occorre rilanciare la strategia euromediterranea, farsene promotori. E smetterla, di perdere le occasioni. Ancora due settimane di tentennamenti, e il Consiglio di Bengasi di noi non ne avrebbe più voluto sapere...».

    Fonte: La Stampa | vai alla pagina

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