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La riforma incompleta.
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(05 gennaio 2010) - fonte: Europa.it - inserita il 06 gennaio 2010 da 31
È giusto occuparsi del risiko delle coalizioni per le imminenti regionali, ma è il caso soprattutto di fare il punto sul rinnovamento del rapporto tra centro e periferia. Quelle del marzo prossimo sono le terze elezioni che si svolgono dopo l’introduzione dell’elezione diretta dei presidenti. Un’introduzione avvenuta con riforma costituzionale e confermata poi nei nuovi statuti, e le seconde dopo la riforma del Titolo V della Costituzione.
Quelle due riforme erano logicamente collegate. Prima si è modificata la forma di governo secondo un modello neo-parlamentare, in grado di garantire governi di legislatura scelti dagli elettori e poi si è proceduto ad aumentarne poteri e responsabilità, poggiando su strutture rese preliminarmente più efficienti. Il disegno istituzionale complessivo in cui si svolge questa tornata non è però ancora organicamente coerente, con problemi su almeno tre versanti. In primo luogo quello delle risorse.Nei mesi scorsi il parlamento ha lavorato, in un clima di feconda collaborazione, varando la legge-delega sul federalismo fiscale, ma si tratta solo di un inizio: i decreti legislativi conseguenti impegneranno il resto della legislatura. Si tratta di un tassello decisivo per rispondere pienamente al principio delle responsabilità imputabili: si è partiti a rovescio rispetto al classico schema “niente tassazione senza rappresentanza”, per superare la logica tradizionale di centralismo delle risorse e di sostanziale ripianamento a pié di lista dei deficit realizzati. Un sistema che non assicurava né efficienza né solidarietà.
In secondo luogo quello della frammentazione politica come sintomo di chiusura oligarchica con la chiusura verso forme innovative di rappresentanza e di partecipazione.
Solo raramente la parziale autonomia in materia elettorale e quella dei regolamenti consiliari sono state utilizzate in modo innovativo. Per lo più è prevalso un istinto di autoconservazione col mantenimento di norme elettorali favorevoli alla frammentazione (sono praticamente assenti gli sbarramenti per chi si aggrega in coalizioni e i collegi uninominali maggioritari, i listini veicolano frammentazione senza consenso) e di norme regolamentari che non solo la ratificano rispetto alle scelte degli elettori, ma che la moltiplicano ulteriormente (tipica la proliferazioni di gruppi consiliari di un solo eletto, spesso non corrispondenti ad alcuna lista elettorale).Anche se stabilità e efficienza sono garantite dall’elezione dei presidenti, la frammentazione favorisce una dinamica confusa, scarsamente leggibile dai cittadini e una logica autoreferenziale che ha portato a non utilizzare l’autonomia sia nel senso di valorizzare sia la differenza tra la principale opposizione le altre minoranze (che avrebbe parzialmente riequilibrato la dinamica della forma di governo), sia nel costruire in forme confuse la realizzazione dei consigli delle autonomie locali, sia la timidezza nell’introdurre forme di partecipazione e di democrazia diretta, nell’erroneo presupposto che la rappresentanza fosse soddisfatta dalla frammentazione del ceto politico. A ciò si collega anche una visione persistentemente burocratica del rapporto tra cittadini e amministrazione, svalutando le potenzialità del principio di sussidiarietà sia in senso orizzontale (rispetto al sottosistema economico e a quello sociale) sia verticale (rispetto agli enti locali), a favore di forme di gestione diretta dell’economia, anche laddove l’amministrazione potrebbe più proficuamente svolgere un ruolo di regolazione efficace, ma non invasiva.
In terzo luogo pesa l’incompiutezza del disegno costituzionale complessivo. La riforma del Titolo V si è fermata sulla soglia della riforma del senato e, proprio per questo, onde evitare che i poteri concessi potessero essere ripresi da un parlamento immutato, ha evitato di inserire una clausola di supremazia sulle materie regionali, che rendesse flessibili i confini tra le materie.
Di conseguenza questa esigenza unitaria ha finito per scaricarsi sulla Corte costituzionale, e, in ultima analisi, sulla Conferenza stato-regioni, sede di concertazione politica che opera fuori dalle regole di trasparenza tipica delle sedi parlamentari.Le prossime elezioni si svolgono quindi entro un tipo di stato che è sempre meno segnato da un sostanziale accentramento irresponsabile, ma che non è ancora stabilmente indirizzato su una chiara e trasparente cooperazione tra livelli di governo e di rappresentanza. Per questo sarebbe opportuno inserire nei programmi regionali riferimenti alle modalità migliori per giocare l’autonomia elettorale, statutaria, legislativa, regolamentare, amministrativa nel senso dell’innovazione, parlando concretamente di modalità di valorizzazione della sussidiarietà, collegi uninominali, riduzione dei gruppi consiliari a pochi soggetti rappresentativi dell’elettorato, referendum popolari anche propositivi, primarie regolate per legge.
Occorrerebbe poi evitare, sul piano complessivo delle riforme, di introdurre elementi ulteriori e più gravi di schizofrenia, come un sistema proporzionale alla tedesca per il parlamento. Esso, eliminando qualsiasi forma di scelta dei cittadini sul governo, indebolirebbe in modo decisivo e irresponsabile il sistema politico nazionale rispetto a quelli regionali, rafforzando così di fatto in modo significativo le spinte a indebolire l’unità nazionale. Tipo di stato e forma di governo sono legati in modo indissolubile.
Fonte: Europa.it | vai alla pagina » Segnala errori / abusi