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Dichiarazione di Massimo Cacciari


 

«Questione morale? La vera colpa è l'Italia senza riforme» - INTERVISTA

  • (26 luglio 2011) - fonte: Quotidiano.net - Francesco Ghidetti - inserita il 26 luglio 2011 da 31

    "Da vent’anni non esiste più la politica. In Italia non ci sono le leggi che dovrebbero ‘contenere’ i fenomeni di malcostume. Così come sono assenti partiti in grado di selezionare la classe dirigente".

    Professore, quant’è grave nel Pd la questione morale?

    «È sbagliato parlare di ‘questione morale’. Sia per i democratici che per gli altri».

    Perché?

    «Ma perché derubrica il vero problema. Che è di natura squisitamente politica. È essenziale capire che esiste una ‘questione politica’ seria. È quella che ci deve preoccupare».

    E chi riguarda?

    «Tutti, non solo il Pd. Da vent’anni non esiste più la politica. Non sono state fatte quelle essenziali riforme costituzionali e del sistema sociale, direi quelle riforme strutturali, essenziali per andare avanti. Non la buttiamo sulla presenza dei politici ‘cattivi’. Imbroglioni e mestatori ci sono sempre stati. La realtà è che in Italia non ci sono le leggi che dovrebbero ‘contenere’ i fenomeni di malcostume. Così come sono assenti partiti in grado di selezionare la classe dirigente».

    Magari era meglio nella Prima Repubblica...

    «No. Il disastro nasce tutto negli anni Settanta. Anni in cui c’era una crisi davvero tragica, molto più di oggi. È in quel periodo che si creano le condizioni per la mancata alternanza. Poi, dopo il disastro di inizio anni Novanta, ci troviamo di fronte a forze politiche raccogliticce che difficilmente possono essere definiti partiti».

    E che cosa sono?

    «Un coacervo di populismo e demagogia. Che mette ancora più in luce quanto sia sbagliato analizzare la crisi attraverso la categoria della questione morale. Essa è un sintomo. Il vero malato, grave, è la politica».

    Professore, però la classe politica di una volta era ben altra cosa, ammetterà...

    «Guardi, quando entrai in Parlamento la prima volta avevo 32 anni. E devo dire che per fortuna quegli anni tragici sono finiti. Se impostiamo il nostro ragionamento sui singoli è evidente che i protagonisti di allora, o parte di essi, erano superiori agli attuali. Ma dobbiamo stare attenti a contestualizzare. Non dimentichiamoci quale era l’Italia degli anni Settanta. Il livello culturale generale. È chiaro che i Napolitano, gli Amendola, i Chiaromonte erano di un livello superiore. E ancora: i Moro, i Fanfani, il primo De Mita. Per non parlare dei Bisaglia o dei Marcora, fra i primi a capire che esisteva una ‘questione settentrionale’».

    Dei veri politici...

    «Sì, ma attenzione a farne casi singoli. Voglio dire che la classe politica di allora va giudicata rispetto al contesto di allora. Oggi, paradossalmente ma non tanto, la situazione si è ribaltata».

    Beh, cambiano anche i media...

    «Certamente. Il che da una parte è positivo perché c’è un maggiore controllo, si incoraggia la partecipazione, si favorisce la trasparenza. Dall’altra, però, si fanno operazioni di pura demagogia. Come sui costi della politica. Come se in America non ci fossero gli stessi problemi».

    Ma la gente è furibonda.

    «E ne ha ben donde. Ma non è col populismo che si risolvono i problemi bensì con l’analisi attenta e proponendo soluzioni. Diciamo le cose come stanno: l’intera classe politica è responsabile di questa emergenza per aver sempre rimandato le riforme necessarie. Ora abbiamo tamponato in parte le falle e possiamo ricominciare a ragionare. Diciamo che abbiamo stoppato alla meno peggio la valanga. E di questo non possiamo far altro che ringraziare Napolitano. Se non era per lui, stavamo freschi...».

    Fonte: Quotidiano.net - Francesco Ghidetti | vai alla pagina

    Argomenti: malapolitica, questione settentrionale, presidente Napolitano, costi della politica, Politica Nazionale, Parlamento Italiano, Riforme costituzionali, classe dirigente, questione morale, classe politica, populismo, demagogia | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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Commenti (2)

  • Inserito il 30 luglio 2011 da 31
    Caro, Cacciari Massimo, mio ex sindaco per troppi mandati. Scrivo anche il nome proprio perché nessuno possa far confusione col fratello Paolo che, a mio avviso, ha mantenuto una coerenza politica in te non ritrovabile, se non in sporadici momenti ormai storici. E questa è una constatazione facilmente verificabile nei differenti percorsi politici. D'altra parte è noto che ritieni un idiota chi non cambia idea (escludiamo la filosofia). Per inciso, questa specie di alibi politico l'ha fatto proprio anche Brunetta. Nei fatti, l'argomento è senza dubbio articolato, ma se molti appartenenti alla classe politica avessero cambiato idee un po' meno spesso e si fossero appellati al buon senso con semplicità, (dote a te sconosciuta), credo che l'Italia non si troverebbe in questa situazione catastrofica. Comunque sono d'accordo con queste tue parole: «l’intera classe politica è responsabile di questa emergenza per aver sempre rimandato le riforme necessarie». Sulla natura delle riforme ci sarebbe parecchio da discutere, quindi concludo con più punti di dissenso. Col tuo tipico filosofeggiare ci dici: «Ora abbiamo tamponato in parte le falle e possiamo ricominciare a ragionare». In molti gradiremmo capire a quali falle tamponate ti riferisci. Il tuo modo di far politica, (vedi ultimo mandato a Venezia) ti porta sempre più lontano dal comprendere le vere esigenze dei cittadini. Alcune tue interviste lo confermano. E per cortesia, renditi conto che non puoi essere tu, per tanti motivi, quello che può dirci da dove possiamo ricominciare a ragionare.
  • Inserito il 27 luglio 2011 da 18670
    E' perfettamente vero: NON si tratta di "questione morale" o riforme...si tratta di "PD LA QUESTIONE IMMORALE" : IMPONE IL PIZZO PURE AI SUOI I MANAGER NOMINATI NELLE IMPRESE PUBBLICHE DEVONO VERSARE UNA PERCENTUALE AL PARTITO : UNA GRAVE VIOLAZIONE DELLA LEGGE. REGIONE PER REGIONE ECCO IL TARIFFARIO DI ISCRITTI E AMICI LOTTIZZATI Il Partito democratico, nell’assoluta indifferenza della magistratura, impone in quasi tutta Italia un pizzo sulle poltrone pubbliche. Il sistema non è così diverso da quello utilizzato dalle organizzazioni criminali: se vuoi lavorare, devi pagare una percentuale al partito. Sembra incredibile, però è scritto nero su bianco in decine di regolamenti finanziari del Pd adottati dalle strutture territoriali del partito guidato da Pier Luigi Bersani. Era noto che il partito chiedesse a tutti i suoi eletti una quota dell’indennità parlamentare, regionale, provinciale o comunale percepita. La richiesta è anche comprensibile: le varie leggi elettorali fanno dipendere dal partito le candidature, spesso gli eletti non spendono un euro in campagna elettorale, svolta dal partito, ed è normale chiedere un contributo di ritorno una volta che si è conquistato l’incarico. Solo che il Pd ha esteso dal 2008 questa richiesta anche ai nominati - iscritti o meno al partito - nei consigli delle municipalizzate, in consorzi pubblici, in enti pubblici, e perfino a chi ottiene grazie al partito una consulenza da un ente pubblico. Potete chiamarlo pizzo, o tassa sulla lottizzazione. Una cosa è certa: nessun partito al mondo si sognerebbe mai di imporla addirittura in regolamenti interni, perché una condizione così a parte certificare la lottizzazione, viola una serie notevole di leggi e regolamenti sulla pubblica amministrazione. Solo la certezza dell’impunità può avere fatto rischiare a uomini politici l’inserimento di quel pizzo sui lottizzati in regolamenti resi pubblici sui siti Internet del Pd. La richiesta agli amministratori nominati oscilla a seconda delle zone fra l’8% e il 30% degli stipendi percepiti. Il meccanismo è grottesco: i manager vengono apertamente scelti per la fedeltà al partito. Vengono pagati da tutti i contribuenti italiani, che grazie a quei regolamenti sono anche inconsapevolmente obbligati a finanziare il partito. Bersani e i suoi luogotenenti quindi scelgono i manager da infilare nei cda delle municipalizzate, di enti pubblici o di consorzi. Gli italiani pagano i loro stipendi, sopportandone prima il danno se quelli a parte essere fedeli al Pd sono pure incompetenti e poi la beffa perché grazie al pizzo legalizzato anche se tu sei di centrodestra finisci con il finanziare il Pd. Il Pd della provincia di Lodi impone un pizzo del 10% anche a «coloro che svolgono incarichi pubblici in Enti, istituzioni, consorzi e società» (articolo 7, comma d) del regolamento finanziario), elencando poi le modalità dei versamenti: alla federazione provinciale i presidenti e i membri dei cda di «enti provinciali e sovra comunali», ai circoli locali del partito i presidenti e membri dei cda degli «enti comunali». Il Pd di Latina obbliga al versamento (art 4, lettera c) «coloro che ricoprono incarichi remunerati di qualunque tipo su designazione del Partito stesso». Nell’articolo 5 c’è un lungo elenco dettagliato dei “designati” a cui si chiede il pizzo: «Presidenti, consiglieri, revisori, consulenti in enti diversi, aziende, società, consorzi etc…». Il Pd di Frosinone impone un pizzo più scontato: l’8%. Ma nel regolamento indica addirittura i nomi delle società o enti pubblici coinvolti (Asi, Saf, Cosilam etc..). Il Pd di Venezia inserisce (art.6 del regolamento) anche le punizioni per chi si ribella al pizzo: si dovrà scordare la designazione «in altri enti e società». Il Pd di Abruzzo chiede agli eletti il 15% della indennità, ai lottizzati invece fa lo sconto: «I designati in enti e organizzazioni di vario livello (società per azioni, consorzi, aziende etc…) sono tenuti a versare al Pd del rispettivo livello una percentuale - stabilita dal rispettivo livello di riferimento - pari al minimo del 12% di quanto al netto percepito mensilmente». Chi sgarra, ha perfino una seconda occasione, ma con regole vincolanti: «Deve regolarizzare la propria posizione entro il 31 luglio, sottoscrivendo una delega bancaria, condizione necessaria per essere designato in altri enti pubblici o privati e/o organizzazioni di vario livello». Nella stessa regione il Pd della provincia de L’Aquila sbatte su Internet i nomi dei ribelli: c’è qualche politico che rifiuta di versare una percentuale della propria indennità, ma ci sono anche consiglieri di amministrazione e revisori dei conti di società pubbliche. Il Pd di Ancona impone il 15% agli «eletti e ai designati dalla Provincia di Ancona, dai Comuni o dalle comunità montane in organi amministrativi, assembleari o di gestione o di controllo presso enti, aziende, società, consorzi, parchi e organizzazioni a livello sovra comunale, di diritto pubblico e/o privato, nonché quelli nominati in Enti o società partecipate…». Il Pd dell’Umbria, quello della provincia di Pistoia e quello del Trentino Alto Adige impongono invece un pizzo più equo, progressivo. Quello di Pistoia ha due sole aliquote (sotto il titolo super esplicito: “contributi dei nominati”): il 5% fino a 50 mila euro netti all’anno di stipendio, il 10% sopra quella cifra. Il Pd Umbro tiene due aliquote: 10 e 15%, poi decidono caso per caso le federazioni territoriali. Quello Trentino ha il pizzo più organizzato di Italia. Lo devono corrispondere però solo gli iscritti al Pd (almeno c’è questa pre-condizione) che svolgono «incarichi pubblici in enti, istituzioni e società». Ci sono cinque aliquote del pizzo: 10% fino a 6 mila euro; 15% da 6 mila a 18 mila euro; 20% da 18 a 36 mila euro; 25% da 36 mila a 72 mila euro e 30% sopra quella cifra. Come il fisco. di Franco Bechis http://libero-news.it/news/791366/Pd-la-questione-immorale-impone-il-pizzo-pure-ai-suoi.html

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