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Sarà eutanasia.
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(11 luglio 2008) - fonte: Il Riformista - Paola Binetti - inserita il 11 luglio 2008 da 31
Il testamento biologico è molto probabilmente il tema che nella passata legislatura ha maggiormente impegnato i lavori della commissione Sanità del Senato. Pur non essendo tra le priorità percepite dai cittadini in fatto di tutela della salute ha avuto una attenzione e una visibilità a cui hanno fortemente contribuito alcuni eventi drammatici come la morte di Luca Coscioni, quella di Piergiorgio Welby, di Nuvoli, ecc. Tutti malati gravi, affetti da patologie attualmente incurabili come la distrofia muscolare progressiva o la Sindrome laterale amiotrofica, meglio conosciuta come SLA.
Malattie davanti alle quali la scienza è ancora costretta ad alzare le mani,impotente, ammettendo i suoi limiti e riconoscendo di aver ancora bisogno di molto tempo per poter capire cosa accada davvero al malato e come si possa aiutarlo, riducendone le sofferenze e i disagi, anche quando non si riesce a guarirlo. La loro morte ha suscitato un dibattito ad alta densità emotiva, in cui sono entrati in gioco valori come la libertà e il principio di autodeterminazione, la dignità della vita e il diritto alla vita, il valore della scienza e le sue responsabilità, il senso della pietas e la relazione di cura...
Ce n’era abbastanza per coinvolgere l’opinione pubblica e stimolarla a prendere posizione e a schierarsi da una parte o dall’altra, complice anche una certa strumentalizzazione politica da parte di alcuni. Al Senato ci sono state almeno un centinaio di audizioni, tra medici, giuristi, bioeticisti, associazioni di malati, ecc... Sono stati promossi su tutto il territorio nazionale, ma anche in sede istituzionale, convegni tematici che nel tentativo di fare chiarezza sui diversi disegni di legge in discussione al senato, hanno messo in evidenza come anche tra i fautori del testamento biologico c’era un punto ad alta criticità su cui il dissenso anche nell’allora maggioranza era forte e assai probabilmente insanabile. Il punto cruciale riguardava esplicitamente l’idratazione e la nutrizione artificiale e di questo drammatico dissenso Eluana Englaro era l’immagine viva. La persona che ci ricordava giorno per giorno il dramma di una famiglia che l’assisteva con grande affetto, i limiti di una medicina in affanno nel fronteggiare situazioni così complesse, la fatica di garantire sul piano assistenziale tutte le risorse necessarie per far sentire la famiglia meno sola nella sua benedetta fatica quotidiana.
II fatto. L’altro giorno il tribunale di Milano, contraddicendo molte altre sentenze pronunciate da altri magistrati, ha autorizzato la sospensione della nutrizione e della idratazione che contribuivano a mantenerla in vita, così come per altro accade ad ognuno di noi. Smettere di mangiare e di bere è un modo abbastanza sicuro di consegnarci alla morte in un tempo più o meno lungo. Mangiare e bere sono funzioni vitali e non trattamenti medici, anche se in alcuni casi richiedono delle modalità inusuali per essere soddisfatte. Nel caso di Eluana i medici hanno ipotizzato la possibilità che, pur in sospensione della nutrizione e della idratazione, possa continuare a vivere ancora un mese. Per questo sarà trasferita in un ospedale in cui alcuni medici si sono detti disposti ad assisterla e ad accompagnarla alla morte. Il caso di Terry Schiavo di qualche anno fa suggerisce infatti di essere molto vicini ad Eluana in questa fase di pre-morienza per impedire che tutta una serie di dolori e di sofferenze si possano accentuare, proprio in virtù della sospensione della idratazione. Eluana, paradossalmente, ha quindi più bisogno di cure in questa fase che in precedenza. Questa decisione, che consegna una persona a morte sicura, ha un nome molto chiaro: eutanasia. Per alcuni si tratta di eutanasia passiva, per altri di eutanasia simpliciter. Per alcuni è una forma surrettizia di eutanasia, per altri non si può parlare di eutanasia, ma resta difficile distinguere tra parole e fatti. C’è anche chi si spinge più avanti e ben sapendo che la interruzione della idratazione-nutrizione è causa di sofferenza aggiuntiva per il paziente, si chiede che differenza faccia a questo punto somministrare alla paziente un farmaco che ne acceleri una morte già decisa, attesa e desiderata. Per cui il passaggio da una eutanasia passiva a un intervento eutanasico attivo, più aggressivo e diretto, sarebbe già contenuto nelle premesse implicite nella decisione.
Bioetica: tra biogiuridica e biopolitica. Non c’è dubbio che l’insieme dei valori in questione crei una confusa percezione nella pubblica opinione, che rimbalza anche a livello parlamentare, anche sotto la pressione mediatica che questo caso, come quelli che lo hanno preceduto suscita. Molte persone preferiscono ignorare il fatto che si possa trattare di eutanasia, preferiscono pensare che una persona ha finalmente finito di soffrire e anche la pena dei suoi familiari giunge finalmente al termine. Sono pochissimi in Italia coloro che si dicono favorevoli alla eutanasia, mentre sono molti quelli che fanno della pietà un criterio decisorio.
Una bioetica a forte impatto emotivo si va affermando con sempre maggiore forza, lasciando che i principi sbiadiscano perché appaiono più duri ed estranei rispetto alle vicende personali. Eppure sono proprio i principi che occorre riportare al centro della nostra attenzione, dal momento che le emozioni sono tanto intense quanto mutevoli, mentre i principi riflettono uno sforzo di riflessione e di elaborazione che li rende più facilmente condivisibili e argomentabili. Comunicabili anche oltre le barriere di spazio e tempo: è quanto di più vicino possiamo immaginare a valori persistenti nel tempo e forse proprio perciò poco disposti a quelle possibili forme di mediazione che ne riducono la intrinseca razionalità. Da un lato c’è il principio di autodeterminazione, in questo caso tutelato anche dall’articolo 32 della Costituzione, dall’altro c’è il valore della vita, principio intangibile, in qualunque situazione e circostanza, per cui nessuno può disporre della vita degli altri. E stato più volte fatto notare come nel caso di Eluana non ci sia nessun documento che comprovi il suo rifiuto delle cure in determinate circostanze. In questi anni la stessa memoria affettiva dei genitori, a cui va tutta la comprensione e tutto il nostro appoggio, può aver interpretato in un determinato senso parole, gesti e commenti espressi dalla figlia, in un momento in cui godeva della splendida ricchezza della sua gioventù. Ma né Eluana né noi possiamo disporre della nostra vita oltre un determinato limite, che è offerto dalla tutela stessa della vita. L; orizzonte delle possibilità entro il quale si collocano le nostre decisioni anche sotto il profilo costituzionale è proprio la garanzia della vita, come primo e principale diritto.
In conclusione. Se da un lato non è possibile lasciare ai magistrati e alla mutevolezza dei loro pareri decisioni con un carattere di assoluta irrevocabilità come sono quelle che si traducono in una sentenza di morte, è innegabile che occorra investire le nostre migliori risorse nel potenziare l’attività di ricerca, nel rafforzare le misure socio-assistenziali ulteriormente limitate e ridotte dalla presente congiuntura economica, nel lanciare una campagna culturale che riconosca l’intangibilità della vita umana, in ogni situazione e circostanza.
Non è di una legge sul testamento biologico che il paese ha bisogno, legge sempre possibile a determinate condizioni, ma di una legge che lanci con energia e con coraggio una forte campagna di prevenzione della richiesta eutanasia. Un No secco alla eutanasia, coerente con i valori e la tradizione del nostro paese, ma un No coerente, concreto e illuminato, che potenzi a tutto tondo le terapie palliative, estendendole anche ai familiari sotto forma di aiuti non necessariamente farmacologici. Non si possono lasciare soli né i malati né i loro familiari, non si può lasciar credere che la scienza sia in grado di rispondere a quesiti a cui attualmente solo la solidarietà e la umana comprensione e condivisione permettono di offrire sollievo. Prima di rilanciare il dibattito sul testamento biologico, occorre affrontare i disegni di legge sulle terapie palliative, sul potenziamento delle unità di cura per i pazienti in coma persistente, ecc..
Fonte: Il Riformista - Paola Binetti | vai alla pagina » Segnala errori / abusi
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Inserito il 12 luglio 2008 da 861
Il suo "dotto" argomentare le sofferenze degli altri mi indigna profondamente. Mi vergogno di esserle concittadino.
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Inserito il 12 luglio 2008 da 31
"Un No secco alla eutanasia, coerente con i valori e la tradizione del nostro paese...". Ma che cavolo dice Binetti. I suoi valori non sono i miei e quelli di tanti altri che la pensano come me. In quanto alla tradizione, credo che lei abbia tradito quella di famiglia. Doveva farsi suora! (Col dovuto rispetto a tutte coloro che professano una Fede, ma non in Parlamento). E in merito alla condivisione, perché non comincia da domani 6.109 giorni di vita vegetativa? Non dimenticando mai che il diritto alla vita, corre di pari passo al diritto di una morte dignitosa.
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