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Dichiarazione di Rosy BINDI

Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: L' Ulivo)  -  Ministro  Politiche per la famiglia (Partito: DL) 


 

Intervento di Rosy Bindi all'Incontro "Democratici davvero"

  • (19 gennaio 2008) - fonte: scelgorosy.it - blog - - inserita il 08 febbraio 2008 da 31
    Vi ringrazio molto per aver risposto a un invito che è arrivato non prima di dieci giorni fa, e vorrei anche rassicurare tutti sul fatto che non ci sono assenze ingiustificate, proprio per il poco tempo che ci siamo dati per trovarci qui. Voglio esprimere gratitudine anche per il dialogo che non si è mai interrotto tra di noi in questi mesi. Non ci siamo più incontrati dall’assemblea di Milano, al termine della quale ci siamo lasciati anche con molti interrogativi e perplessità per come si era conclusa, ma non sono mai venuti meno i contatto tra di noi, via internet o per telefono, qualche volta soltanto via stampa, così come non è mai mancata tra di noi una collegialità della condivisione e dell’impegno, soprattutto attraverso i nostri referenti istituzionali, sia nazionali che regionali. I nostri rappresentanti nelle commissioni nazionali e regionali e negli organi del partito hanno lavorato molto in questi mesi. In particolare credo che si sia lavorato molto nelle realtà locali, affrontando con grande determinazione ed entusiasmo la fase di inveramento del partito, soprattutto nei coordinamenti provinciali, dove abbiamo raggiunto risultati significativi. Siamo stati importanti in molte realtà per dare vita a un partito caratterizzato da uno spirito e da una gestione davvero unitari. Oggi abbiamo desiderato incontrarci per scambiarci le nostre idee e confrontarci sullo Statuto del Partito Democratico, sul tema della legge elettorale e sul tema della laicità, un tema centrale della nostra esperienza, intorno al quale ci siamo ritrovati, che è stato messo a dura prova in questi ultimi mesi, queste ultime settimane, e soprattutto sull’azione del governo e quanto è successo negli ultimi giorni nella politica italiana. Voglio che sia chiaro innanzitutto che oggi siamo qui a confrontarci su questi temi con lo stesso spirito con cui abbiamo lavorato finora. Uno spirito non di parte, ma di chi ha a cuore tutto il Partito Democratico e attraverso il Partito Democratico il bene del nostro Paese. Riteniamo quindi che questa nostra giornata di lavoro sarà molto preziosa per il segretario Walter Veltroni, al quale mandiamo il nostro saluto, e per Romano Prodi, al quale mandiamo il nostro incoraggiamento e augurio per il momento difficile e complicato che ancora una volta lo vede impegnato alla guida del Governo. E credo anche che possiamo dedicare questa nostra giornata di lavoro alle famiglie in difficoltà, che non sono soltanto quelle degli ultimi dati dell’Istat, che sono in realtà riferiti al 2006. Vogliamo dedicare questa nostra giornata ai loro problemi e alle loro fatiche. Non siamo qui per noi stessi e neanche soltanto per il Partito Democratico. Siamo qui per fare in modo che il Partito Democratico e il Governo siano in grado di rispondere alle loro difficoltà. Vorrei anche dedicare questa giornata ai lavoratori morti sui luoghi di lavoro. Tutti. Da quelli di Torino a quelli di Porto Marghera. Intendo iniziare proprio con una riflessione rispetto a quanto accaduto in questi ultimi giorni. Credo sia emblematico che ieri sui tre principali quotidiani del nostro Paese – Il Corriere, la Repubblica e la Stampa - siano stati pubblicati tre editoriali con lo stesso titolo, “Così fan tutti”, mutuato da una nota frase che fu pronunciata da Bettino Craxi in un periodo buio della vita del nostro paese, quello di Tangentopoli. Io respingo questo tentativo di identificare e creare una sorta di sovrapposizione tra quegli anni e quello che sta avvenendo oggi. Non credo che il nostro Paese in questo momento sia attraversato dalla stessa febbre del 1992 e 1993, per molti motivi. E parto dalla esemplarità del comportamento tenuto dal ministro Mastella, dal presidente del Consiglio, dal nostro partito e dalle istituzioni del Paese. Il ministro della Giustizia si è dimesso e l’interim delle funzioni del Guardasigilli è stato assunto nel giro di poche ore da Romano Prodi. Credo che sia stato un comportamento esemplare, che deve essere sottolineato e che ci consente di prendere le distanze da coloro che hanno sovrapposto la situazione di questi giorni con altre passate. Lo stile degli esponenti del centrosinistra è diverso rispetto allo stile degli esponenti del centrodestra coinvolti in situazioni analoghe. Non credo che i siciliani saranno contenti di avere un presidente della Regione condannato a cinque anni e all’interdizione dai pubblici uffici che vuole ritornare a interessarsi degli affari dei siciliani soltanto perché è stato assolto dalla connivenza con la mafia. Così come vorrei ricordare a tutti che non accettiamo il parallelismo tra le vicende giudiziarie dell’on. Mastella e quelle del presidente Berlusconi. Per il comportamento che è stato tenuto e per il contenuto delle indagini. La mia solidarietà al ministro Mastella deriva soprattutto dall’apprezzamento della sua scelta di rassegnare le dimissioni. La solidarietà umana è sempre nei confronti di tutti. La solidarietà politica è collegata al comportamento politico. Ci teniamo a marcare la nostra differenza e vorremmo che di questa differenza fondamentale tenesse conto anche l’on. Di Pietro. Possiamo avere più o meno apprezzato il discorso di Mastella, pronunciato da ministro dimissionario, ma come mi sento di chiedere al partito del senatore Mastella di sancire la nobiltà del suo gesto con un sostegno vero e leale all’azione del Governo, mi sento anche di dire all’on. Di Pietro che è più facile la correzione fraterna tra noi, anche se può sembrare un percorso difficile e complicato, rispetto al rischio di consegnare il Paese a chi nei confronti della magistratura ha sempre tenuto un comportamento ben diverso da quello degli esponenti del centrosinistra. Mentre respingiamo la sovrapposizione tra il ’93 e oggi, non possiamo ignorare che il contenuto di quei tre editoriali poneva un problema che ci sta molto a cuore. A prescindere dagli eventuali rilievi penali, la politica deve interrogarsi sulla sua funzione, sulla sua nobiltà, sui suoi comportamenti. La politica può sottrarsi ai processi nelle piazze, sui giornali e nelle aule giudiziarie soltanto se provoca un vero percorso di rinnovamento. Il punto sta tutto qua. Noi possiamo affermare e rivendicare l’autonomia della politica se la rivendichiamo per essere al servizio dei cittadini e del bene comune, non se la rivendichiamo come una sorta di garanzia a tutela dei privilegi e del potere di una parte rispetto all’altra. L’amministrazione in democrazia non è lo strumento con il quale la politica esercita il potere sui cittadini. In democrazia l’amministrazione dello Stato, delle Regioni, degli Enti locali è al servizio dei cittadini, e la politica rivendica l’autonomia della sua funzione non perché vuole occupare spazi che spettano ad altri, ma perché deve essere la garanzia che nessun altro potere la occupi e la orienti verso altri interessi che non siano quelli dei cittadini. Se “così fan tutti..”, significa che qualcuno ha intenzione di legittimare una politica che intende occupare l’economia, l’amministrazione, perché questa sarebbe l’unica garanzia per poterla assicurare alla libertà rispetto ad altri poteri, noi non siamo d’accordo. E partecipiamo alla nascita e alla vita del Partito Democratico anche perché vogliamo che il Partito Democratico sia in prima fila nel processo di rinnovamento della politica italiana. Noi non crediamo che “così fan tutti...”. E comunque, se nessuno è perfetto, tutti possiamo e dobbiamo fare meglio. Noi siamo qui per dire con chiarezza che non vogliamo che la politica sia estromessa dalle sue responsabilità. Ma per convincere i cittadini che la nomina di un direttore generale di un’azienda sanitaria deve essere funzione e compito della giunta regionale, e quindi della politica legittimata dai cittadini, è necessario che la politica, quando fa quella nomina, non lottizzi, non occupi, non condizioni, ma assicuri che quella nomina è imparziale, al servizio dei cittadini, ed è garanzia che nessun altro potere, né quello dei medici, né quello dei sindacati, né quello delle università, né quello delle case farmaceutiche, possa interferire nel governo della salute dei cittadini. E questo vale per tutto. C’è un rapporto tra tutto questo e la legge elettorale, lo Statuto del partito, la sicurezza dei luoghi di lavoro, i problemi delle famiglie italiane? Sì, c’è un rapporto profondo. Se non ci fosse non saremmo qui. Il Partito Democratico - almeno noi che l’abbiamo voluto, pensato, costruito con la passione che ci caratterizza da sempre in politica - lo abbiamo voluto soprattutto per questo: come grande occasione di rinnovamento della politica, come restituzione di dignità e di autorevolezza alla politica, come garanzia degli interessi dei cittadini, del bene comune, degli interessi generali. Se noi ci appassioniamo così tanto alla discussione sullo Statuto, alle modalità con cui si sta costruendo il Partito e alla legge elettorale è perché sappiamo che tutto questo non sarà indifferente rispetto alla capacità di restituire alla politica quella funzione alla quale ho fatto riferimento, e quindi di mettere le istituzioni nelle condizioni di dare delle risposte. All’on. Realacci, che ieri in un’intervista alla Stampa ha sostenuto che il Partito Democratico non può vivacchiare accontentandosi di sostenere un governo in difficoltà, voglio dire che il Partito democratico non vivacchierà se riuscirà a sostenere il governo perché faccia le cose che deve fare per il bene dell’Italia. Credo che questo Governo debba andare avanti. Lo dico, non perché ne faccio parte con una piccola responsabilità, ma perché sono convinta che il governo Prodi può sancire un nuovo patto sociale in grado di risarcire i lavoratori dei tanti sacrifici fatti. Credo che debba andare avanti perché l’ultima cosa che può permettersi l’Italia è quella di bruciare e disperdere i vantaggi che abbiamo ottenuto con due anni di lavoro serio. Oggi ci sono davvero le condizioni per una nuova politica della famiglia, dei redditi, della crescita, della sicurezza. Un nuovo patto sociale fondato sulla crescita e su una ridistribuzione vera, che permetta ai lavoratori italiani e alle loro famiglie di essere risarciti dei tanti sacrifici sostenuti in questi anni. E’ soprattutto grazie a loro che questo Paese è ancora in Europa e rispettato in tutto il mondo. Interrompere l’azione di governo vorrebbe dire bruciare le risorse per fare tutto questo. In questi due anni abbiamo riportato il Paese in condizione di rispondere a questi gravi problemi, che nel frattempo sono diventati più grandi. Compreso quello che riguarda i rifiuti, quello che riguarda la situazione del Mezzogiorno. Perché a problemi irrisolti, che riguardano la vita del nostro Paese, se ne sono aggiunti altri che riguardano il contesto internazionale. Sta qui l’eticità della politica. Oggi sui giornali si dice, con un tono un po’ ricattatorio, che l’unica condizione perché il governo possa andare avanti è che si approvi la Bozza Bianco. Sulla Bozza Bianco voglio premettere che l’accusa nei nostri confronti che ritengo più ingiusta è quella di essere capricciosi, testardi, isolazionisti. Tutti si mettono d’accordo e Parisi e la Bindi non sono d’accordo? Sia chiaro, noi siamo sempre stati disponibili a partecipare all’elaborazione di una legge elettorale condivisa. Lo abbiamo detto con chiarezza: le leggi elettorali si fanno insieme. Ma non siamo così stupidi da non capire, o così irresponsabili da non vedere, che su certi principi è possibile costruire insieme una legge elettorale e su altri no. Chi è qui condivide un’esperienza politica segnata da alcuni punti fermi, costruiti attorno alla legge elettorale, che hanno un grande rapporto con il compito e la funzione della politica e il governo del paese. Questo paese ha scelto il maggioritario con un referendum, ha tolto lo scettro ai partiti per restituirlo ai cittadini perché potessero decidere e scegliere chi va in Parlamento, e soprattutto stabilire qual è la coalizione che governa il Paese. Il paese ha già limpidamente scelto un sistema bipolare e una democrazia dell’alternanza. Io non sono disposta ad accettare che il mio partito inizi il percorso del dialogo intorno alla legge elettorale smentendo tutti questi principi. Tutti. E perché? Per un capriccio? Per un fatto formale? No. Esattamente per le cose che ho detto in precedenza. Perché sono favorevole ad una legge elettorale che mi obbliga a tenere un comportamento affinché questo paese sia governato bene, e non a cercare consenso per me e la mia parte. Una legge elettorale che faccia in modo che il mio interesse e quello della mia parte sia funzionale e subordinato all’interesse di assicurare un governo vero al Paese. Anch’io sono per la vocazione maggioritaria del Partito Democratico. Ma essere a vocazione maggioritaria non significa tenere le mani libere rispetto agli elettori sulle alleanze da fare per andare al governo, ma piuttosto essere ancora più capaci di tenere unita e rafforzare la coalizione. Preferisco che siano gli elettori a scegliere il percorso che devo seguire, invece che il segretario del mio partito, seppur eletto con il 75 per cento del consenso. Preferisco tornare agli elettori, che sono più saggi. E comunque faccio un patto con loro, con un programma e con degli alleati che scelgono loro, non io. E se si vuole una legge elettorale che non abbia il premio di maggioranza – e ricordo che il premio di maggioranza ce l’ha l’ultima legge elettorale, non ce l’avevano quelle precedenti – bisogna ripartire da dove ci ha strappato Berlusconi, non dal “Porcellum”. Perché se si parte dal “Porcellum” qualunque legge elettorale è virtuosa. Io voglio che ripartiamo da dove ci hanno strappato il percorso che avevamo iniziato. Il premio di maggioranza ce l’ha il “Porcellum”, ma non capisco perché si debba togliere alle coalizioni per darlo ai partiti principali. Per attutire il proporzionale? Per attutirlo c’è un solo modo, si fa il maggioritario. Mi fermo qui. Le tecnicalità le conoscono meglio altri. Ma il senso è questo: in una democrazia che ha nel trasformismo il male più antico e più difficile da estirpare, noi abbiamo l’obbligo morale di fare una legge elettorale che impedisca comportamenti trasformistici. Ci è stato detto che con questi principi, nessuno sarebbe stato d’accordo con noi per portare avanti la riforma elettorale. E’ qui che si inserisce il problema di metodo. Se dovevamo fare una rivoluzione, cioè un’inversione di marcia così netta, avremmo dovuto almeno essere interpellati, per capire se ci sono le condizioni per maturare insieme una posizione con cui presentarci al tavolo con gli altri. E’ stato seguito esattamente il percorso opposto. Prima ci si è messi d’accordo con Berlusconi, poi si è convocata la coalizione. Mi domando quando si convocherà il partito. I nostri senatori hanno già dichiarato la loro indisponibilità a votare la Bozza Bianco. Per i motivi di merito ai quali ho fatto riferimento, ma soprattutto per il motivo di metodo. Perché non c’è una decisione assunta dal partito su un cambiamento di percorso così forte. E siccome il voto del 14 ottobre ha legittimato il segretario ma anche un’assemblea di circa tremila persone, a meno che non si voglia dimostrare che quella assemblea serve soltanto a ratificare le decisioni già assunte, la si convochi, si dibatta, si decida, e noi saremo come sempre i più disciplinati. Viceversa se ciò non avviene, se si dice che l’assemblea è stata convocata per fine maggio, ovvero fuori ogni tempo utile per poter discutere della legge elettorale, il dubbio è che qualcuno si stia già preparando alle elezioni. Noi chiediamo che di tutto questo il partito possa decidere e scegliere. E che si apra un grande dibattito dal quale potrebbe venir fuori che la si pensa diversamente. Faremo la nostra parte perché si riaffermino quei principi, ma saremo disposti a stare dentro un partito nel quale insieme si sono scelti i percorsi. E’ molto difficile, al contrario, richiamarci al senso di responsabilità senza aver potuto partecipare alle scelte. Anzi, avendole apprese dalle conferenze stampa e avendo assistito più di una volta a cambiamenti di linea comunicati con interviste alla stampa. A proposito della redazione dello Statuto voglio riprendere la definizione dell’amico Renato Balduzzi, che ha parlato di uno Statuto frutto di uno scambio tra i “partitisti”, i sostenitori del partito delle tessere, e i “leaderisti”, i sostenitori del partito del leader. Ai partitisti è stata assegnata la fase cosiddetta ascendente, quella di formazione degli organi di partito, e in maniera particolare del segretario e della sua assemblea. Ai leaderisti è stata invece assegnata la fase discendente, di gestione del partito. Si va verso un partito delle tessere in cui il segretario, una volta eletto, avrà completa libertà di azione. Io che mi sono sempre battuta per il maggioritario nelle istituzioni e il proporzionale nel partito, mi ritrovo qui l’esatto contrario. E’ un po’ troppo. Se un partito è partecipato, collegiale, aperto, plurale è anche un partito capace di fare quella politica, e di contribuire a un funzionamento delle istituzioni giusto e corretto. Non siamo qui perché siamo innamorati delle nostre proposte, ma perché abbiamo sempre detto che la fase costituente è una fase centrale in cui abbiamo il dovere di porre le questioni di fondo, le grandi questioni della vita politica, sulle quali abbiamo sempre interloquito durante la campagna per le primarie. Nelle nostre prese di posizione di questo periodo non troverete nessuna distanza, neppure minima, rispetto agli argomenti per i quali abbiamo chiesto il consenso degli elettori. E c’è un altro valore che non interessa soltanto chi si divide sul fatto di andare all’Angelus tutte le domeniche o soltanto quando chiama Ruini. Il valore della laicità non interessa solo queste importanti e fondamentali scelte della nostra vita. Anche il tema dell’autonomia della magistratura, della politica, della scienza, delle istituzioni e della pubblica amministrazione è un tema di laicità. Le democrazie occidentali si fondano su questo grande valore. Non ci intestardiamo a caratterizzarlo semplicemente come il rapporto tra cattolici e laici, tra clericali e anticlericali in Italia e dentro il nostro partito. E’ un valore profondamente democratico ed è per questo che noi siamo affezionati e impegnati attorno a questo valore. Gad Lerner e Franco Monaco, ai quali mi auguro si aggiungano molti altri, stanno preparando per febbraio un seminario su questo tema che parte dal rifiuto di una corrente dei cattolici e di una corrente dei laici dentro il Partito Democratico. Siccome vengo da quella storia, consentitemi di dire che chi fa la corrente dei cattolici dentro il Partito Democratico, magari con qualche benedizione, non solo tradisce la fede ma tradisce anche la tradizione politica dei cattolici del popolarismo italiano. Perché la coerenza di quella storia è dentro questo partito per cercare il dialogo e il confronto con tutte le altre culture. Io sono molto contenta delle persone che sono state elette nelle nostre liste, perché noi siamo da questo punto di vista la lista più plurale di tutto il Partito Democratico. Noi non abbiamo avuto bisogno di fare la lista di quello o di quell’altro, contrattando i nostri posti dentro la lista di qualcuno. E vogliamo continuare a stare dentro il partito con questo spirito. Non perché siamo rinunciatari. Nessuno che fa politica ed è cattolico dentro questa sala rinuncia ai propri valori. Nessuno che fa politica ed ha una storia laica è rinunciatario dei propri valori. Semplicemente, però, sappiamo che oggi per affermarli c’è un’unica strada: quella del dialogo fra di noi. Per creare le condizioni del dialogo e dell’incontro dentro il paese. Per consentire la libertà a Papa Benedetto di parlare dentro l’università italiana, come tutti i pontefici hanno sempre parlato nelle università di tutto il mondo. Il tema della laicità riesce a mettere insieme i valori degli uni e degli altri. E quando si nega, si negano i valori degli uni e i valori degli altri. Il nostro impegno per i valori più grandi, come quello della vita, si misura nella concretezza dell’azione politica, perché i valori non vanno proclamati o imposti, ma accolti e condivisi da tutti. Credo che attorno a questo grande valore debba continuare a misurarsi anche l’impegno nostro nei confronti di questo partito e del Paese. Non vogliamo fare una corrente di potere, ma vogliamo essere una corrente di pensiero. Perché tutto ci può essere rimproverato, ma non di non essere pensanti.
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