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Dichiarazione di Claudio CECCHINI


 

Perché le disuguaglianze minano la democrazia

  • (11 gennaio 2013) - fonte: Ufficio Stampa di Caudio Cecchini - inserita il 07 febbraio 2013 da 22726
    La coesione sociale è un valore fondamentale per un Paese che si definisce democratico come l’Italia. Perché si basa sulla verifica quotidiana e concreta che non ci sono cittadini di serie A e di serie B, e che leggi e scelte amministrative vengono fatte secondo il principio dell’uguaglianza, sostanziale e non solo di principio. Come ci insegna la Costituzione (così splendidamente presentata da Benigni giorni fa). Ma questo fondamento è in crisi. Nel recente rapporto Istat, Inps e Ministero del Lavoro, appunto titolato “Rapporto sulla Coesione sociale”, c’è un indicatore che allarma non poco: la percentuale di persone che sono a rischio di esclusione sociale in Italia sono passate dal 26,3% del 2010 al 29,9 del 2011. Ed è un aumento superiore alla media europea. Quasi il trenta per cento degli italiani rischiano, in breve tempo, di diventare poveri. E quindi di andare ad aggiungersi ai 2milioni e 782mila già in povertà relativa (l’11 delle famiglie residenti). Certo, lo si spera davvero, non tutte quelle a rischio lo diventeranno, ma già pensare che da qui al 2020 (l’anno della proiezione statistica) la loro vita sarà appesa al filo del bilancio mensile, stressata da imprevisti, condizioni di salute, spese per la casa, impegni non ponderati, e soprattutto dalla certezza o meno del reddito da lavoro, preoccupa. Significa che la percezione della propria cittadinanza diventa nel tempo labile e inconsistente. Primum vivere… Per evitare che la crisi determini il peggioramento della situazione per quelle famiglie e quindi lo scivolamento dal rischio a condizioni di povertà effettiva, bisogna diminuire le disuguaglianze. Sempre lo stesso Rapporto ci riferisce che secondo dati Ocse le disuguaglianze nella distribuzione dei redditi oggi (e non solo in Italia) sono più accentuate di 30 anni fa. I ricchi sono più ricchi, e i poveri più poveri. Ma aggiunge anche un’altra considerazione importante: “Mettendo in relazione l’indice di disuguaglianza di Gini, con il livello del Pil pro capite emerge l’esistenza di un’associazione statistica positiva fra equità e crescita economica. Tale correlazione è osservabile negli anni più recenti per i 27 paesi dell’Unione europea sia con riferimento ai livelli del prodotto pro capite, sia rispetto alla crescita. Con poche eccezioni, i paesi europei più egualitari nel 2005 non solo sono cresciuti di più nel periodo 2005-2010, ma presentano anche, alla fine del periodo, un prodotto pro capite maggiore rispetto a molti altri paesi più disuguali”. In sostanza: laddove sono state fatte adeguate politiche di redistribuzione il Paese è cresciuto nel complesso. Non proprio un rapporto di causa ed effetto, precisano, ma quasi. E ciò che si dovrebbe fare, in Italia a tutti i livelli. Come? Con una politica fiscale che favorisca le famiglie con figli (e quindi a maggior rischio povertà, come si vede dal Rapporto); sostenendo e rafforzando il Welfare, che invece sembra il principale responsabile del debito pubblico; e con adeguate politiche dei redditi che non penalizzino i lavoratori nel nome di una competitività che, per alcuni, stimola idee solo sul fronte della riduzione dei costi. Vasto programma, direbbe qualcuno. Ma, ragionevolmente, ce ne sono di migliori?
    Fonte: Ufficio Stampa di Caudio Cecchini | vai alla pagina
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