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Dichiarazione di Gianfranco FINI

Alla data della dichiarazione: Pres. Camera   (Lista di elezione: PdL)  - Deputato (Gruppo: FLI) 


 

«Ma perchè il Pdl sta a guardare?» - INTERVISTA

  • (04 maggio 2010) - fonte: La stampa - Ugo Magri - inserita il 04 maggio 2010 da 31

    Presidente Fini, non le fa un certo effetto il ministro Calderoli che snobba i centocinquant’anni dell’Unità d’Italia?

    «Ovviamente depreco questo atteggiamento di sostanziale negazione dell’unità nazionale. Però non mi meraviglia affatto».

    E come mai?

    «La Lega in fondo non è un partito nazionale. I sostenitori di Bossi, lo sappiamo, si sentono figli di una nazione tanto inesistente quanto retoricamente declamata».

    La Padania.

    «Esatto. E dunque non me la prendo con loro».

    Con chi, allora?

    «Nel mio intervento alla Direzione del Pdl, che tante polemiche suscitò, mi ero permesso di chiedere: per quale motivo un grande partito nazionale come il nostro non ha presentato un solo progetto per celebrare degnamente questo anniversario?».

    L’hanno sottovalutato.

    «E non sarà, avevo chiesto, perché gli amici della Lega escludono che ci sia qualcosa da festeggiare?».

    Tuttavia Bondi e Berlusconi già allora le avevano rammentato che il governo si sta rimboccando le maniche...

    «Ci mancherebbe altro! Do per scontato che le istituzioni siano in prima linea, specie dopo il forte impulso del presidente Napolitano. Non credo di violare un segreto se anticipo che si sta lavorando all’ipotesi di celebrare il centocinquantenario anche con una seduta comune del Parlamento, in cui prenderà la parola il Capo dello Stato».

    Sarebbe un momento alto della vita politica. Quindi cosa vuole di più?

    «Si dà il caso che il Pdl sia il maggior partito italiano, in cui sono confluite culture politiche rilevanti, tra cui quella di destra. Avendo contribuito a fondarlo, considero molto grave che il Pdl non prenda sue iniziative per celebrare l’Unità».

    Va bene, ma iniziative finalizzate a cosa? Mica potete fare l’album Panini con gli eroi del Risorgimento...

    «Non c’è dubbio alcuno. La visione più miope e meno produttiva sarebbe quella di tipo museale, a valenza zero specie tra i giovani. Invece l’anniversario va colto come l’occasione perché tutti ci si interroghi su cose molto più serie, su ciò che vuol dire essere italiani. Oggi, non ieri».

    Perché, il patriottismo non è più quello di una volta?

    «Lei ci scherza. A me invece piace citare Renan quando diceva: la nazione è un plebiscito che si rinnova ogni giorno. Aggiungo io nel mio libro "Il futuro della libertà": un progetto in evoluzione continua, è sempre e non è mai».

    Come vanno celebrati questi centocinquant’anni?

    «Usando il meno possibile lo specchietto retrovisore e proiettando avanti lo sguardo. Puntando alle sfide del domani, alle riforme strutturali di cui abbiamo così bisogno. Tentando di riconciliare la politica con la società. Non intendo fare polemica inutile...».

    La polemica non è mai inutile.

    «E allora: se qui si continua a vivere sul quotidiano, a privilegiare ciò che è contingente rispetto a quanto sarebbe strategico, a rinfacciarsi reciprocamente colpe, torti, omissioni, come possiamo lamentarci poi se il cittadino si sente sempre meno figlio di una stessa comunità nazionale?».

    E’ quanto afferma, tra le righe, il cardinale Bagnasco...

    «Dice cose sacrosante. Se vogliamo un futuro condiviso, serve avere una memoria condivisa, e dà li individuare ciò che ci unisce».

    Volando più basso, magari servirebbe anche qualche altro soldino per celebrare degnamente il centocinquantenario.
    I trentacinque milioni stanziati dal governo sembrano pochi.

    «Sono un’inezia. Qualcuno l’ha scritto, finirà che verranno spesi solo per tagliare le erbacce intorno ai vari monumenti di Mazzini e di Garibaldi... E’ la prova della miopia di quanti nel mio partito dicono: già stiamo facendo. Ma a me preme soprattutto l’approccio culturale. Io lo capisco, non si può chiedere a un militante della Lega di sentire qualcosa nel petto durante l’Inno di Mameli o davanti a un Tricolore. Do pure atto a Bossi di aver conferito dignità politica a identità municipali e localismi che sono sempre esistiti (da ragazzo, quanto mi appassionavo a leggere «L’Alfiere» di Carlo Alianello, apologia romantica della resistenza borbonica...)».

    Calderoli sostiene che l’unico modo di unire l’Italia è il federalismo.

    «Proprio qui sta l’approccio culturale diverso! L’Italia è già unita. Lo è già come risultato di comuni sofferenze, di impeti generosi come sulle trincee del Carso dopo Caporetto, e poi come nella guerra di Liberazione, nella ricostruzione... Il federalismo non serve a unire».

    A che cosa, allora?

    «E’ un modo utile per rendere più efficiente la macchina dello Stato. Può rappresentare un valore aggiunto per il Paese».

    Anche il federalismo fiscale?

    «Siamo ancora nella fase di raccolta dati, bisogna capire cosa comporta in termini di costi e di coesione sociale. Non è allarme rosso, e nemmeno disco verde a prescindere».

    Torniamo alle celebrazioni, che per Berlusconi vanno bene così e lei vorrebbe farne invece il perno di una riflessione collettiva.

    «Sì, perché impatta ad esempio sul tema della cittadinanza e dei nuovi italiani, questione che nel Pdl viene vista come fumo negli occhi e mi fa mettere all’indice ogni qualvolta la sollevo».

    Sostengono che fa scappare i voti verso la Lega.

    «Ma sollevarla mica vuol dire perdere di vista la difesa della legalità, la lotta all’immigrazione clandestina, la gerarchia dei doveri accanto a quella dei diritti. Significa semmai accorgersi che nei nostri contingenti di pace ci sono tante ragazze e tanti ragazzi i cui genitori non sono nati in Italia. Eppure sono là a rappresentarci in divisa. Se la Patria non coincide più con la terra dei padri, che cos’è la Patria?».

    Lei, Fini, sta sollevando quesiti di destra...

    «Ma certo! L’integrazione dei figli e dei nipoti degli immigrati presuppone l’adesione piena a valori più profondi di quelli che può cogliere un esame di lingua. E dirò pure un’altra cosa di destra tra virgolette: se la politica perde la dimensione pedagogica, non è più buona politica. Diritti e doveri, credo che dovremmo tutti quanti rileggere Mazzini. Perché qui a volte si ha l’impressione di vivere nella società del Grande Fratello, dove tutto è lecito a condizione di farla franca».

    Gli esempi, anche in politica, non mancano certo...

    «Il ceto politico è l’espressione della società, dietro ogni corrotto c’è sempre un corruttore. Invece dovremmo mostrare ai figli che rende più l’onestà della disinvoltura. Mi piacerebbe che il Pdl indicasse degli italiani anonimi, gente normale e meritevole, come modelli di riferimento di un nuovo patriottismo: l’artigiano che non evade le tasse, la madre che tira su i figli, i "fessi" che vincono per una volta sul mondo dei ‘furbi"».

    Ma il Risorgimento, presidente, che c’entra?

    «Serve esattamente a parlare di tutto questo».

    Fonte: La stampa - Ugo Magri | vai alla pagina

    Argomenti: pdl, lega, 150° anniversario dell’unità d’Italia, celebrazioni | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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