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Dichiarazione di Debora Serracchiani
«Nel Pd sacche di resistenza al cambiamento» - INTERVISTA
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(11 febbraio 2010) - fonte: www.corriereweb.net - Vincenzo Schinella - inserita il 13 febbraio 2010 da 13099
Domanda: Intanto, Debora Serracchiani, vuole subito spiegare come mai le sue posizioni su alcuni temi, vengono percepite dall’opinione pubblica e, forse, anche dagli stessi vertici PD, come una sorta di ‘opposizione interna’? Mi riferisco, ad esempio, alle sue dichiarazioni sulle Primarie pugliesi che ha definito, senza troppi giri di parole, uno sbaglio.Risposta: La mia idea del fare politica non si sposa con un concetto obliquo come quello dell’opposizione interna. Sto nel PD perché è il progetto più innovativo che sia apparso nel nostro Paese durante gli ultimi anni, tanto che il Pdl ci ha copiato dal predellino. E’ il partito che assomiglia di più alla mia visione del mondo e delle donne e degli uomini. Le eventuali critiche non sono un modo di prendere le distanze, ma di stare più vicina al partito. Diffido quando mi trovo davanti a un‘adesione acritica, specie tra chi ha responsabilità di direzione.
C’è stato un momento in cui in lei si è visto il volto nuovo della sinistra italiana, punto di riferimento di una politica dalla faccia e dai contenuti politici nuovi individuandola come potenziale leader dell’intero PD, poi un profondo passo indietro, perché? Ordini di scuderia, rispetto delle gerarchie di partito, la scelta di aspettare tempi migliori, o semplice paura del grande salto?
Nessuno mi ha dato, né mi dà, ordini. Sono ancora convinta di quello che ho detto allora: forse sarei andata incontro al desiderio di novità di un certo numero di persone nel PD, ma non avrei fatto un favore al partito. Sarei stata la quarta candidata alle primarie, e dubito che il risultato sarebbe stato ribaltato. Sì, magari avrei potuto farmi la mia correntina… ma non era questo che volevo.
Il voto alle prossime Regionali. Risolta la questione Puglia, sembrano ancora molte le incognite da definire nel PD, soprattutto al Sud. Non le sembra paradossale che, proprio nei territori in cui maggiore dovrebbe essere la presenza di un’alternativa politica riformista e nuova, il PD, come ad esempio per la discussa candidatura in Campania di De Luca, sembra essere ancora legato e relegato a vecchie discussioni di partito?
Voglio pensare che l’assestamento sia ancora in corso, e che la compressione dei tempi tra il congresso e le regionali non abbia per nulla aiutato. Lo dico anche per l’esperienza che sto facendo come segretaria regionale in Friuli Venezia Giulia, dove pure non votiamo: gestire le candidature e la campagna elettorale con gli organi di partito freschi di nomina è impresa durissima. Ciò detto, è anche vero che ci sono sacche di, chiamiamola così, ‘inerzia resistente’ che non bramano l’aria nuova nel PD.
Alla luce di tutto ciò, cosa vuol dire, oggi, dopo le dimissioni di Marrazzo nel Lazio e quelle richieste a più riprese e mai arrivate di Bassolino in Campania, votare PD alla prossima tornata elettorale?
Significa non mollare. Significa voler testimoniare che per questo progetto moderno del PD ci sono più spazi da conquistare che disillusioni da lasciarsi alle spalle. Il fallimento del PD non sarebbe un episodio della politica italiana tra gli altri, ma una vera implosione delle energie innovatrici, un pericolo salto nel buio per la nostra democrazia, che si troverebbe affidata alle forme più deteriori del populismo. Qui non è in gioco la sorte di Marrazzo o Bassolino, ma molto di più.
Il sistema televisivo italiano ha oramai dato l’imprinting e solcato le differenze tra gli “eterni indecisi e sempre divisi politici del PD” e gli “alacri e indaffarati uomini del governo del fare”. E’ ancora possibile risollevare, e come, questa campagna elettorale che in tanti temono si possa concludere con la perdita di molte regioni oggi governate dal PD?
Abbiamo contribuito a trasmettere questa immagine anche con errori di comunicazione non da poco. L’immagine di un partito ripiegato eternamente su se stesso, frammentato e sempre più lontano dal mondo vero, è quella che ci nuoce di più, e talvolta l’immagine riflette una condizione reale. Cambiare si può: però bisogna ascoltare la gente, i nostri pazienti elettori che ci chiedono di assumere un passo diverso, che chiedono a noi di dar loro fiducia.
Il tema degli immigrati e dell’integrazione: una bomba ad orologeria armata da tempo e innescata dalle recenti dichiarazioni del Presidente del Consiglio. Quale risvolti potrà avere tutto ciò nel corso di questi mesi, soprattutto nelle regioni più ‘sensibili’, vuoi per la presenza di candidati leghisti vuoi perché teatro di scontri tra immigrati e popolazioni locali? Quale la posizione del PD su questo tema così delicato?
La cosa più difficile sarà evitare la strumentalizzazione degli immigrati, in un senso o nell’altro. E siccome la posizione del PD vuole essere di equilibrio, si presta meno a essere strillata. Credo si debba distinguere, e comunicarlo bene, il problema della sicurezza, percepito dai cittadini, da quello dell’integrazione, richiesto dalle imprese. In ogni caso il PD deve stare sull’argomento in prima battuta, non di rimessa, deve farlo proprio, perché altrimenti non convinciamo nessuno.
Dall’immigrazione alla Lega, il passo è breve. Cosa ne pensa, da pura ‘nordista’(!), del sempre crescente potere di veto e della crescente risposta elettorale della Lega Nord? Quali risvolti può avere, l’ascesa di questo partito nella cosiddetta ‘questione settentrionale’?
Questo è l’altro grande problema con cui la politica nazionale del PD dovrebbe fare urgentemente i conti, e invece siamo in ritardo. Non vorrei che quando avremo capito che la Lega non è affatto un fenomeno territoriale e transitorio, il danno ormai sarà stato fatto. Temo che a Roma e nel resto d’Italia non si percepisca la portata ideologica del fenomeno Lega, un partito di destra che governa in molti enti locali e che sta diventando maggioranza relativa nelle regioni più sviluppate del nord. Che stiamo facendo per reinsediarci al nord? Assai poco…
La Giustizia. Le ultime leggi in discussione al Parlamento rischiano di smantellare l’intero sistema giudiziario facendo saltare processi e impedendo alla Magistratura di svolgere il suo ruolo. Sente anche lei il pericolo di una deriva sociale sotto l’impulso di questa pseudo riforma della Giustizia che, tra gli altri, ha anche il compito di distrarre l’opinione pubblica dal dovere che il Governo ha di ricercare soluzioni ai problemi sociali acutizzati dalla crisi economica?
La giustizia è l’altra faccia dell’accordo di potere tra la Lega e Berlusconi su cui si regge il Governo. Più che per una possibile deriva sociale, sono preoccupata per l’assenza di una vera guida del Paese. Abbiamo un premier che è condannato a stare al potere per schivare i guai che gli potrebbero capitare non appena lascia la presa, e questa è una situazione anormale e pericolosa. Tutto discende da questo primo movente, che condiziona l’attività del Governo e delle Camere, e che umilia anche le intelligenze di chi sta dall’altra parte e vorrebbe fare politica davvero. Il malessere di Fini è un sintomo chiaro.
Fonte: www.corriereweb.net - Vincenzo Schinella | vai alla pagina » Segnala errori / abusi