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Diritto di voto agli immigrati, la fine di un percorso.
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(05 settembre 2008) - fonte: Il Messaggero - Margherita Boniver - inserita il 06 settembre 2008 da 31
Un vero processo di integrazione degli immigrati, come ha dimostrato l’esperienza britannica, non può che concludersi con il riconoscimento del voto attivo e passivo, almeno a livello comunale, ai cittadini extracomunitari residenti nel Paese. Su questo non c’è dubbio. Ma il riconoscimento di quel diritto non va innalzato come una bandiera. Esso è, per l’appunto, la conseguenza e non la causa del processo di integrazione. E il processo di integrazione presuppone un ribaltamento del modo in cui noi intendiamo l’immigrazione: una risorsa, non un problema. Nell’esperienza delle grandi democrazie d’Occidente, a cominciare dagli Stati Uniti d’America, è questa la chiave di interpretazione che s’è storicamente affermata. Troppo a lungo in Europa, gli immigrati sono stati visti quali “lavoratori ospiti”, ovvero persone con un ruolo meramente economico e non come potenziali cittadini. Ora, la maggioranza degli Stati membri e di quelli di recente adesione riconosce, almeno a livello locale, alcuni diritti elettorali agli stranieri. Meno diffuso è l’elettorato attivo, per non dire di quello passivo, a livello regionale. Mentre solo nel Regno Unito i cittadini dei paesi terzi possono candidarsi alle elezioni politiche. L’Italia, su questo fronte, è piuttosto indietro, in quanto esistono problemi di ordine costituzionale: il voto è legato alla cittadinanza. È questo, dunque, il nodo da sciogliere. Diventare cittadini italiani è difficile perché, malgrado tutto, questo Paese fa ancora molta fatica a pensare se stesso come terra d’immigrazione. Due anni fa, l’allora ministro dell’Interno Amato propose una norma che semplificava l’iter per l’acquisto della cittadinanza, portando, ad esempio, il periodo minimo di residenza da 10 a 5 anni e garantendo lo status di cittadino ai figli di genitori stranieri residenti in Italia. Certamente, si tratta di una proposta perfettibile, soprattutto sul fronte delle condizioni da porre agli adulti che chiedono la cittadinanza italiana. Purtroppo, l’11 settembre ha segnato, piaccia o no, l’inizio di una nuova era geopolitica, nella quale le democrazie debbono cercare continuamente un equilibrio tra la sicurezza e la libertà. L’attuale formula del giuramento pare, pertanto, alquanto riduttiva. Non possiamo rinunciare a subordinare l’acquisto della cittadinanza italiana a una serie di impegni in ordine al rispetto dei principi fondamentali della Repubblica ma anche come è stato fatto recentemente dal governo tedesco, alla conoscenza della storia e delle istituzioni del nostro Paese. Non si tratta, beninteso, di richiedere all’aspirante cittadino una sorta di “impegno interiore” alla democrazia occidentale e all’identità italiana, perché questo sarebbe contrario alla concezione laica dello Stato. Si tratta, invece, di rafforzare nello straniero la consapevolezza di entrare a far parte di una comunità politica “sovrana”, che, al di là del proprio pluralismo culturale, fonda la propria convivenza civile sui valori della libertà e della tolleranza. Nel frattempo, il processo di integrazione può essere facilitato attraverso la valorizzazione degli strumenti di partecipazione attualmente disponibili. Al primo posto metterei la possibilità, per i cittadini stranieri, di ricoprire la carica di “consigliere aggiunto”. Il consigliere aggiunto rappresenta la comunità degli stranieri nel Consiglio comunale, ha diritto di parola ma non di voto. È una sperimentazione avviata a partire dagli anni Novanta, insieme all’istituzione delle consulte di immigrati. Pur non potendo votare le delibere, il Consigliere aggiunto partecipa alla vita politica, ha la possibilità di far pesare la posizione propria e quella della comunità di riferimento. Intorno a quest’esperienza si sono sviluppate numerose iniziative municipali e regionali sull’“Intercultura”, che andrebbero probabilmente prese in maggiore considerazione sul piano politico nazionale. Lasciate a se stesse, possono ridursi a semplice prassi di multiculturalismo. Mentre potrebbero diventare occasione per la formazione civile e culturale degli aspiranti cittadini italiani.
Fonte: Il Messaggero - Margherita Boniver | vai alla pagina » Segnala errori / abusi