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Dichiarazione di Delia MURER

Alla data della dichiarazione: Deputato (Gruppo: PD) 


 

Due interrogazioni sui migranti

  • (21 settembre 2011) - fonte: deliamurer.it - inserita il 22 settembre 2011 da 31

    Due interrogazioni sulle tutele per i migranti.

    La prima è rivolta al Presidente del Consiglio e riguarda ruolo e funzione dell’Unar, l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, che pur svolgendo un ruolo di garanzia, è sotto le dipendente di un dipartimento del Governo. La seconda è sui migranti che dopo aver perso il posto di lavoro, hanno perso anche il permesso di soggiorno.

    Ho chiesto al Ministro dell’Interno quanti sono gli extracomunitari in questa condizione e se non sarebbe il caso di portare il permesso transitorio, in attesa di nuova occupazione, da sei mesi ad un anno, vista la crisi economica.

    Ecco i testi integrali delle due interrogazioni.

    Interrogazione a risposta scritta

    al Presidente del Consiglio dei Ministri

    dall’on. Delia Murer

    per sapere, premesso che:

    con il decreto legislativo n. 215 del 9 luglio 2003 è stato istituito l’U.N.A.R. - Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, in attuazione della direttiva comunitaria n. 43 del 2000;

    L’ Unar ha la funzione di garantire “l’effettività del principio di parità di trattamento fra le persone, di vigilare sull’operatività degli strumenti di tutela vigenti contro le discriminazioni nonché di contribuire a rimuovere le discriminazioni fondate sulla razza e l’origine etnica analizzando il diverso impatto che le stesse hanno sul genere ed il loro rapporto con le altre forme di razzismo di carattere culturale e religioso”;

    In particolare l’Unar fornisce assistenza alle vittime di comportamenti discriminatori nei procedimenti legali intrapresi da queste ultime; svolge inchieste al fine di verificare l’esistenza di fenomeni discriminatori; promuove azioni positive in collaborazione con il no profit; promuove studi e ricerche, formula raccomandazioni e pareri;

    L’Unar deve promuovere, nell’ambito del suo mandato, la costituzione di una rete nazionale di centri territoriali per la rilevazione e la presa in carico dei fenomeni di discriminazione razziale, da istituire sulla base di accordi con Regioni ed enti locali;

    Al momento, tali centri regionali sono stati attivati solo in Emilia Romagna, Liguria e Piemonte, mentre sono in via di definizione in Puglia e Sicilia; esistono, inoltre, accordi locali con alcune Province e alcuni Comuni, tra cui Roma e Venezia;

    La stragrande maggioranza delle Regioni, delle Province e dei Comuni è ancora priva di centri territoriali, e appare grave che tali centri manchino proprio sui territori dove maggiore è la presenza dei migranti, e più forte e sentita è la sofferenza relativa a discriminazioni di ordine razziale;

    negli ultimi tempi sembrano moltiplicarsi gli episodi di chiara discriminazione razziale, non solo nei comportamenti individuali ma anche nell’indirizzo politico di alcune istituzioni locali; basti ricordare quanto si sta verificando presso la Regione Veneto, dove sono state depositate Proposte di legge che favoriscono, nelle graduatorie per asili nido, scuole, case popolari, i residenti sul territorio regionale da almeno quindici anni, realizzando una politica dalla evidente matrice discriminatoria;

    L’Unar, secondo la normativa, svolge funzioni di garanzia e opera in piena autonomia di giudizio e in condizioni di imparzialità; tuttavia esso opera come ufficio inserito nell’ambito del Dipartimento per le Pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri;

    Dal Governo, se intende attivarsi, e con quali iniziative, per rafforzare l’attività dell’Unar, in ragione del moltiplicarsi di episodi e comportamenti discriminatori sul territorio nazionale, e per garantire la costruzione di quei centri territoriali previsti dalla normativa; se non ritenga che un’autorità garante, indipendente e autonoma non possa operare nell’ambito del Dipartimento per le Pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, dovendo, invece, avere autonomia e indipendenza anche nell’azione e nell’organizzazione del proprio lavoro.

    Interrogazione a risposta scritta

    al Ministro dell’Interno

    dall’on. Delia Murer

    per sapere - premesso che:

    gli immigrati rappresentano il 7 per cento della forza lavoro del nostro Paese, con stipendi netti attorno ai 900 euro mensili ed un'età media di 15 anni più bassa di quella degli italiani, costituiscono l'1 per cento del gettito fiscale complessivo, hanno fatto lievitare di circa l'1 per cento la spesa pubblica nei settori del welfare, forniscono il 4 per cento dei contributi previdenziali, ricevendo per ora una quota minima dei trattamenti pensionistici;

    La crisi recessiva già in atto sta producendo conseguenze drammatiche in termini di tenuta occupazionale dei mercati; la perdita del posto di lavoro e la difficoltà al reinserimento sono dati quotidiani per migliaia di persone;

    per i lavoratori extracomunitari, la situazione è ancora più drammatica perché la normativa in vigore prevede la perdita del permesso di soggiorno in caso di perdita del lavoro, con un rinnovo transitorio di sei mesi per trovare una nuova occupazione; alla scadenza dei sei mesi, il lavoratore immigrato, che era regolare ma che ha perso il lavoro senza trovarne un altro, diventa irregolare e deve rimpatriare;

    Per chi proviene dai Paesi extracomunitari e risiede in Italia da anni, la decisione di rientrare nel proprio Paese d'origine non è mai semplice. Chi, fino ad oggi, ha investito tutto nel nostro Paese, facendosi raggiungere dalla famiglia, comprandosi una casa, integrandosi nella nostra società, si trova - con la perdita del lavoro e con la necessità di ritrovarlo entro un lasso di tempo troppo breve in una situazione di crisi economica come quella attuale - costretto a fare delle scelte difficili, come quella di rimandare a casa la moglie ed i figli, figli che magari sono nati e cresciuti e si sono integrati nelle nostre realtà locali e che si vedono da un giorno all'altro costretti a rientrare in un Paese che non conoscono;

    Sempre più spesso, tutti i fattori sopra elencati fanno sì che l’immigrato che, perso il lavoro, perde, dopo sei mesi, anche il permesso di soggiorno, piuttosto che rientrare nel proprio Paese, rimanga sul territorio nazionale diventando suo malgrado irregolare e scivolando, così, in quell’area di senza diritti che è allontana dall’integrazione e favorisce l’emarginazione;

    dal Governo quanti sono, negli ultimi tre anni, dall’inasprirsi della crisi economica, gli immigrati che hanno perso il permesso di soggiorno a causa della perdita del posto del lavoro, con il conseguente scivolamento nella clandestinità dopo i sei mesi di permesso transitorio consentiti dalla legge in queste circostanze; se il Governo non ritenga opportuno prolungare almeno ad un anno la durata del permesso di soggiorno temporaneo quando si perde il lavoro, dal momento che la crisi economica non consente, ragionevolmente, di ricollocarsi in modo veloce.

    Fonte: deliamurer.it | vai alla pagina

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