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Dichiarazione di Maurizio SAIA

Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: CN) 


 

DIECI ANNI DI FALLIMENTI SUL FRONTE DELLE RIFORME

  • (21 novembre 2012) - fonte: www.senato.it - inserita il 24 novembre 2012 da 18670
    Signor Presidente, l'intervento che mi ha preceduto si pone esattamente agli antipodi rispetto alla mia visione di questo testo unificato che il relatore, senatore Viespoli, che ringrazio, ha con forza voluto portare in Aula sollecitandone l'inserimento all'ordine del giorno. Esattamente facendo le stesse analisi, e forse anche in parte alcune delle stesse critiche avanzate dal collega Pardi, arrivo infatti ad una conclusione diametralmente opposta. Noi veniamo da dieci anni di fallimenti sul fronte delle riforme. L'unica vera riforma che abbiamo approvato, legiferando anche a fatica nella fase iniziale di questa legislatura (per poi non vedere neppure i regolamenti attuativi e forse neanche la forza, la volontà e la convinzione della stessa forza politica che più di tutte aveva voluto quella riforma, cioè quella federale, e quindi la Lega), sancisce con tristezza il fallimento della politica italiana sul fronte delle riforme. Il collega Pardi non dice però qual è la soluzione. La soluzione non è solo rifondare i partiti. Sappiamo che i partiti sono la base della politica, uno dei cardini della Costituzione che non deve essere sicuramente toccato. Ma i partiti che non funzionano più, se qualcosa di buono ci hanno insegnato (e sono d'accordo con il collega Pardi), è che i partiti¬persona, quindi quelli incardinati su un'unica figura di leader, non hanno funzionato e non funzioneranno sicuramente per il futuro. Questo forse ci può aiutare a non dare per scontato quanto diceva il collega Pardi nel suo intervento, cioè che c'è la necessità e la richiesta dell'uomo forte. Non è assolutamente vero, lo dico da destra, da chi fa politica da quarant'anni e quando era giovane era in un partito che parlava di Repubblica presidenziale con forza, per cercare di dare un migliore sistema al Paese. Oggi ho delle convinzioni diverse: forse la vecchiaia mi ha portato ad essere molto più cauto nelle valutazioni. Ma un dato è certo: questo sistema non funziona e sta facendo arretrare il Paese in maniera drammatica. Questo sistema parlamentare e questa Repubblica non funzionano nei loro aspetti più profondi. Non si tratta solo banalmente di quanto, con un tentativo di riforma anche articolata e organica, si era cercato di introdurre nel 2001, eliminare il biparlamentarismo perfetto che rallenta e quintuplica i tempi rispetto agli altri Paesi per riuscire a vedere approvata una legge (in un'epoca, peraltro, in cui su Internet quello che decidi oggi già domani rischia di essere vecchio noi ci mettiamo un anno, un anno e mezzo e più). Non si tratta nemmeno della questione di una banale riduzione dei parlamentari, né certamente della riduzione dei costi della politica o dell'attribuzione di maggiori poteri al Premier, e di altre questioni. Credo che il fallimento stia prima di tutto nel metodo; al di là di tutte le problematiche pesanti e gli aspetti negativi che la politica ha mostrato negli ultimi anni, e che a noi politici abbiamo mostrato, la prima questione è di metodo. Abbiamo presentato due disegni di legge, diversi tra loro, da cui poi si è tratto spunto per questo testo unificato che io, per la fatica che è stata fatta, non me la sento neppure di criticare. È chiaro che i disegni di legge, che con forza il mio Gruppo - e quindi anche uno dei due relatori di questo testo, cioè il collega Viespoli - aveva voluto, volano molto alto e, secondo me, danno soluzione al mancato funzionamento di questa politica e di questi metodi e sistemi, derubricando questa Assemblea costituente, o il Senato costituente, come previsto nei due disegni di legge (che preferivo perché, tra l'altro, accelerava quell'iter di interruzione di questo biparlamentarismo perfetto che non ha alcun tipo di intelligenza democratica e non risponde ad alcuna necessità). Noi avremmo avuto un Senato costituente che per due anni poteva rifondare, ridisegnare l'assetto di questo Paese, non nella banalità delle cose principali, ma dal suo profondo, dal sistema, dalla burocrazia che non funziona e che, anzi, ferma le riforme, partendo dai consigli di quartiere, andando dentro i Regolamenti delle due Camere, e non solo per le finalità che dovrebbero e dovevano avere (secondo anche la riforma del 2001, poi bocciata dal referendum e soprattutto da una parte della politica che ha fatto di tutto per non mandare gli italiani a ratificare quella riforma, che comunque avrebbe rappresentato già una fetta importante, per cui oggi non ci troveremmo in questa situazione). Avrebbe significato rifondare i meccanismi di tutto il sistema di questo Paese, facendolo non con la telecamera fuori dalla Commissione, collega Pardi. Tutti i giorni la preoccupazione del parlamentare, soprattutto se capo partito e Capogruppo, è quella di uscire e dire qualcosa, che sia un messaggio all'interno del proprio partito, per i propri problemi, o finalizzato a questioni elettorali, o finalizzato alla trasmissione televisiva della sera, o finalizzato ai sondaggi. (Applausi del senatore Divina). Non è possibile disegnare un assetto costituzionale in questo clima. Tant'è che con forza io ho chiesto che almeno di quel disegno di legge fosse salvaguardata la norma sull'incompatibilità. Mi dispiace che proprio in Commissione, in particolare, il collega Bianco non dico abbia deriso tale previsione, ma l'abbia ridotta a una questione relativa non alle cariche di parlamentare e di rappresentanti delle istituzioni territoriali ma solo a quelle di Governo e di parlamentari nazionali europei (cinque minuti alla settimana?). Una riforma seria si fa stando chiusi dentro una stanza, dentro un'Assemblea, dentro una Commissione - come l'abbiamo voluta chiamare - per mesi, senza avere il condizionamento negativo dei media (è, infatti, assolutamente negativo in questa fase di debolezza della politica), avendo solo l'input popolare di andare a ragionare con competenza - ecco quindi la necessità di rappresentare in maniera proporzionale tutto il Paese, in tutte le sue forme sociali e in tutte le sue rappresentazioni politiche - su come deve essere il sistema moderno di un Paese. Sono d'accordo - mi spiace farvi ancora riferimento, ma mi ha dato molti stimoli - con il collega Pardi sulle questioni inerenti la Repubblica presidenziale o semipresidenziale. Sono d'accordo con lui, e infatti l'Assemblea costituente era aperta. Addirittura - ma non diamo chiavi di lettura nostalgiche - in uno dei due disegni di legge, non in quello relativo al Senato della Repubblica con funzioni costituenti (che, ripeto, preferisco, perché nei due anni in cui il Senato avrebbe fatto le riforme da cima a fondo la Camera avrebbe legiferato in forma ordinaria, e quindi avremmo dato anche più velocità all'iter legislativo normale delle leggi ordinarie, perché ci sarebbe stata una sola Camera funzionante), ma in quello sull'Assemblea costituente non ponevamo neppure il limite di salvaguardare la forma repubblicana; ciò non voleva dire andare verso la monarchia, ma era comunque un elemento di vera libertà e di ampia discussione, che si poteva portare all'interno di un sistema di questo genere, in una Assemblea costituente. Abbiamo rovesciato anche un altro canone: occorreva prima fare la discussione su come rifondare lo Stato, con competenze costituzionali di alto profilo e non con i molti pasticci che abbiamo visto (e che io ho visto in cinque anni nella Commissione affari costituzionali, a cominciare da quelli che potevo fare io, perché con il clima che c'è rischiavamo e rischiamo di fare sciocchezze), ma facendo riforme con una serietà diversa. Invece, ora, siamo costretti a rincorrere una riforma elettorale, quando una discussione sull'assetto istituzionale del Paese prevede che prima si decida che assetto si vuole e, poi, di conseguenza, si faccia una legge elettorale, per la quale, oltre tutto, ci abbiamo messo quattro anni, con le pressioni esterne della Presidenza della Repubblica e dei cittadini (e faremo una legge che non sappiamo neanche se è buona e se arriverà, anche se è calendarizzata, a compimento alla Camera). Abbiamo, quindi, perfino rovesciato, in quel poco che stiamo facendo, il metodo costituzionale con cui si deve rifare l'impianto di uno Stato. Lascio altre considerazioni alle dichiarazioni di voto che svolgerò in altra occasione. Signora Presidente, concludo dicendo che, per adesso, lasciatemi sognare dei costituenti liberi, anche dai condizionamenti dei partiti, che possano immaginare, in futuro, di rifare veramente in maniera moderna l'assetto di questo Paese. (Applausi dei senatori Viespoli e D'Alì).
    Fonte: www.senato.it | vai alla pagina
    Argomenti: legge elettorale, partiti, Assemblea Costituente, Maurizio Saia, Coesione Nazionale: GS SI PID IB FI, Repubblica Presidenziale | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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