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Dichiarazione di Renato Giuseppe SCHIFANI

Alla data della dichiarazione: Pres. Senato   (Lista di elezione: PdL)  - Senatore (Gruppo: FI) 


 

«Con Fini pace strategica o c’è solo la rottura» - Colloquio

  • (11 luglio 2010) - fonte: Corriere della Sera - Francesco Verderami - inserita il 11 luglio 2010 da 31

    «Se non si arrivasse a un’intesa mi aspetterei una mossa a effetto da Berlusconi»

    Sveste i panni del presidente del Senato per indossare quelli dell’ «osservatore», solo così Renato Schifani può addentrarsi nei casi politici più spinosi: parla della manovra economica «fatta di sacrifici che gli italiani hanno compreso», della «svolta positiva» che sta per arrivare sulle intercettazioni, di un possibile riavvicinamento tra Pdl e Udc «legati dalla casa comune del popolarismo europeo e dall’affinità di valori e programmi». Ma soprattutto si sofferma sulla crisi del Pdl, critica il nascente correntismo «che rischia di far implodere il partito».

    E sul difficile rapporto tra Berlusconi e Fini sostiene che «o si arriva quanto prima a una pace strategica, con un ritorno alle motivazioni dello stare insieme, o sarà rottura traumatica» tra il premier e il presidente della Camera. Schifani va per ordine, constata che «il clima avvelenato» delle scorse settimane ha lasciato il campo a «una situazione meno tesa»: «Berlusconi, tornato dal viaggio all’estero, ha dovuto fare i conti con molti fronti aperti.

    Il suo "ghe pensi mi" stava a significare che si sarebbe impegnato in prima persona. Il "caso Brancher" aveva determinato un clima di conflittualità eccessiva, anche nel Paese. È intervenuto, ha condiviso le dimissioni del ministro, anzi non escludo che lo abbia spinto al gesto, tanto responsabile quanto opportuno.

    Sulla manovra ha smussato la durezza di Tremonti, è andato incontro ad alcune richieste del mondo imprenditoriale, del lavoro e degli enti locali. È vero, resta aperto il fronte delle Regioni, ma è stata offerta ai governatori l’autonomia di stabilire dove attuare i tagli. E mi auguro si ristabilisca presto un rapporto proficuo. Ma la crisi economica imponeva rigore».

    C’è poi il capitolo intercettazioni, e anche in questo caso Schifani attribuisce a Berlusconi «il cambio di rotta», sia perché si tratta di una legge «delicata» sia perché «non era utile né al premier né al Paese uno scontro con il Quirinale»: «Le ulteriori riflessioni alla Camera sono utili. Mi avevano colpito le parole del procuratore Grasso— magistrato molto competente — sul rischio che alcune norme potessero favorire la mafia. Ho voluto incontrarlo, e ritengo giusto che quelle norme vengano scritte meglio per evitare dubbi interpretativi. Ben vengano quindi nuove modifiche. Perciò penso che siamo alla vigilia di una svolta positiva, che la maggioranza voterà in modo compatto la riforma. E mi auguro che anche l’Udc possa farlo». Resta da capire perché il governo non abbia «cambiato rotta» prima, invece di farlo con le spalle al muro.

    L’inquilino di Palazzo Madama ribatte che «è preferibile avere una buona legge, sebbene dopo tanti scontri, piuttosto che un vuoto legislativo su una materia così sensibile». Così prepara la stoccata al mondo dei media, che ha scioperato contro un provvedimento ritenuto «liberticida»: «Se non ricordo male, la legge Mastella era ancor più rigorosa sul divieto di pubblicazione. E non mi pare ci fu una tale intensità di proteste. Ora, non vi è dubbio che vada salvaguardato il diritto all’informazione. Però serve il bilanciamento con un altro diritto costituzionale, quello della privacy. E il bilanciamento al momento non c’è».

    La riforma delle intercettazioni è stato uno dei temi che ha segnato lo scontro politico tra Berlusconi e Fini.
    Schifani riveste per un istante i panni del presidente del Senato, gli serve per dire al collega di Montecitorio che «come il magistrato dev’essere terzo nell’applicare la legge e nei suoi comportamenti pubblici, così deve essere e apparire anche il presidente di un ramo del Parlamento». Poi, da «osservatore» e da esponente del Pdl, ritiene che nei rapporto tra cofondatori «sia opportuno un chiarimento diretto, in modo che le eventuali dissonanze vengano chiarite direttamente e non attraverso i dibattiti pubblici.

    Senza una pace strategica si andrebbe a una rottura traumatica. Conosco Berlusconi: denuncerebbe il tradimento del patto elettorale». A quel punto «nulla andrebbe escluso. Mi aspetterei una mossa da parte del premier dura e ad effetto».

    Ma le tensioni nel Pdl non si riducono al conflitto tra i cofondatori. Anche nell’area ex forzista è iniziato un duro scontro. Schifani gli dà un nome: «Correntismo ». Accusa che peraltro gli era stata lanciata tempo addietro dal finiano Bocchino, secondo il quale il presidente del Senato è a capo di una componente minoritaria in Sicilia, insieme ad Alfano.
    «Nessuna corrente», è la replica: «Svolgo il mio ruolo istituzionale e basta. E se qualcuno vuol fare riferimento al mio rapporto con il Guardasigilli, ribadisco che sono legato a lui da un legame di stima e amicizia del quale vado orgoglioso. Per il resto sono fuori dall’attività di partito. Accetto di partecipare ai seminari di Gubbio del Pdl, come alle feste del Pd. Detto questo, sono contro le correnti nel mio partito».

    Schifani ricorda la sua provenienza, Forza Italia, «che non ha mai avuto una storia correntizia. Eravamo un partito anarchico e monarchico al contempo, perché il dissenso si fermava laddove si riconosceva la leadership di Berlusconi, e nessuno pensava di risolvere i problemi territoriali attrezzandosi in corrente. Non è più così. E Liberamente non può che definirsi una corrente, al di là di quanto sostengono i suoi fondatori». Gli stessi che però dicono di essersi mossi dopo l’assenso del Cavaliere.

    «Io mi rifaccio alle dichiarazioni pubbliche di Berlusconi, che ha rinnegato le correnti. E c’è un motivo: sebbene in buona fede, oggi la creazione di una o più correnti rischia di far implodere il Pdl». Si spiega Schifani: «Non basta riconoscersi in Berlusconi, se poi si creano le condizioni per disaggregare il partito.
    L’esperienza infatti insegna che se nasce una corrente, altre ne seguiranno. Il Pdl invece deve impegnarsi per amalgamare l’area forzista con quella proveniente da An e che ha preso le distanze da Fini, anche se la storia di quanti vengono dalla destra è più strutturata. Innestando il correntismo, invece, il processo di fusione in atto sarebbe destinato a rallentare, se non ad arrestarsi».

    Dilaniato dal conflitto tra Berlusconi e Fini, diviso ora dallo scontro sulle correnti, il Pdl deve fare i conti anche con la «questione morale», sollevata dal presidente della Camera ed evidenziata dai recenti casi giudiziari. Schifani ammette che «negli ultimi tempi molte inchieste hanno colpito esponenti di rilevo del partito. E tutto ciò non ha aiutato l’immagine del Pdl. Ma la mia cultura garantista mi induce ad attendere l’esito delle inchieste.

    Ritengo comunque esagerato parlare di questione morale nel Pdl. Ci possono essere singoli casi che hanno turbato l’opinione pubblica e che toccherà alla magistratura verificare». Il carico di tutti questi problemi è sulle spalle del premier, che stretto dalla Lega (e Tremonti) da una parte, e da Fini dall’altra, sembra cercare la sponda dell’Udc per uscire dalla morsa.

    A modo suo l’«osservatore» Schifani sembra dar credito all’aggancio dei centristi in maggioranza, lo fa con prudenza. Ma lo fa: «L’Udc sta con il Pdl nel Ppe. Su molti temi, quando erano alleati, avevano una visione comune: penso alla politica estera, alla politica economica, a quella per le famiglie. Poi le contrapposizioni, provocate da questioni interne, hanno pregiudicato il cammino comune. Oggi, quello che posso dire è che i due partiti continuano ad avere gli stessi valori, che sui programmi ci sono molte affinità, e che la base elettorale dell’Udc guarda più al centrodestra che al centrosinistra».

    Ed è osservando cosa accade nel terreno dell’opposizione che Schifani auspica un «cambio di rotta» del Pd, anche in nome delle riforme: «L’antiberlusconismo dell’Idv sta condizionando i Democratici, che invece hanno gli uomini, le intelligenze e il tempo per costruire una credibile alternativa di governo, piena di contenuti. Ritengo indispensabile che il Pd sia un partito forte, perché l’alternanza è la ricchezza di un sistema democratico.
    E il bipolarismo per noi è strategico, e va salvaguardato».

    Fonte: Corriere della Sera - Francesco Verderami | vai alla pagina

    Argomenti: pdl, Politica Nazionale, presidente del Senato, partitocrazia, crisi politica, Fini Berlusconi | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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