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Afghanistan. «Basta indecisioni, un disastro andare via adesso» - INTERVISTA
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(19 settembre 2009) - fonte: Il Mattino - Antonio Troise - inserita il 20 settembre 2009 da 31
Il Carroccio tenta di lucrare, ma l'esecutivo è sconcertante. Si chiarisca le idee e poi venga in Parlamento con una proposta.Critica gli «ondeggiamenti» del governo, richiama Di Pietro ad uno stile più attento. Pierluigi Bersani, nell’intervista, condivide però senza mezzi termini la linea del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che esclude qualsiasi ritiro da Kabul. «Sono parole solide e sagge - spiega il candidato leader del Pd - Anche perché, nelle ultime ore, da parte del governo, ci sono state dichiarazioni incerte. Noi invece diciamo con chiarezza, nel ribadire il lutto e il dolore, che non possiamo andare via da soli. È una missione che coinvolge tredici paesi più la Nato, anche altri hanno pagato un tributo di sangue. Se adesso andassimo via tutti sarebbe un disastro, una caduta di credibilità, una sconfitta storica della comunità internazionale di fronte ad un regime oscurantista e terrorista. Non può essere questa la risposta. Così come non può essere quella di restare lì e basta».
A sinistra, però, non tutti sono su questa linea. Di Pietro, ad esempio, la pensa in maniera molto diversa.
«Spero che nell’opposizione ci sia un modo attento di ragionare. L’Afghanistan non è l’Iraq, Anzi, l’avventura irachena è stata una causa indiretta dell’indebolimento dell’iniziativa in Afghanistan che, ricordiamo, è sotto l’egida dell’Onu. Insomma, non possiamo sottrarci al nostro impegno. Il che non vuol dire che non ci possa essere una riflessione ponderata. E, anche in presenza di oscillazioni così evidenti nel governo, bisogna avere una posizione chiara».
Cioè?
«Già nel febbraio del 2007, con Prodi al governo e D’Alema ministro degli Esteri, avviammo un’iniziativa molto chiara, alla quale cominciarono ad aderire molti paesi europei, a cominciare dalla Spagna. Proponevamo una conferenza con tutti gli alleati che affrontasse due temi. Un adeguamento della strategia militare e un’estensione delle responsabilità a livello internazionale. Ci sono paesi cruciali, dal Pakistan all’Iran, e paesi come la Russia e la Cina che dicono di stare lì ma non danno una mano. Occorre una strategia che privilegi il controllo del territorio finendola con i bombardamenti, che responsabilizzi le forze locali e che garantisca che non si ritorni a un regime sanguinario. Una linea che non ebbe successo in epoca Bush ma che è stata ripresa da Inghilterra, Francia e Germania. Notiamo con amarezza che nel gruppo non c’è l’Italia...».
Scusi, ma non ha la sensazione di essere stato scavalcato a sinistra da Bossi?
«Siamo un partito di governo, non ragioniamo sull’onda delle emozioni. La Lega spera, invece, di lucrare con la sua strategia di lotta e di governo. Ma questo è un tema serio, ci sono 3mila italiani sul campo, lo Stato deve parlare con chiarezza. Non si possono fare speculazioni politiche».
Fra La Russa e Bossi quale linea sceglierete in Parlamento?
«Giovedì è stata una giornata sconcertante. Prima la linea di La Russa, poi dopo due ore le dichiarazioni di Bossi, infine Berlusconi che tenta di aggiustare i cocci. Non è un modo serio di affrontare i problemi. Cerchiamo, ora, di accogliere con dignità le salme e di stare vicini alle famiglie. Quindi, il governo raccolga le idee, raffreddi la testa e poi la settimana prossima si presenti con un giudizio possibilmente unitario ed equilibrato».
Anche il Pd ha i suoi problemi. A cominciare dalla futura leadership...
«Intanto definire un congresso un problema interno non è corretto. E poi, come si vede in queste ore, sull’Afghanistan, stiamo garantendo una posizione univoca nel nostro partito».
Anche sul Mezzogiorno? Per il Sud il governo ha annunciato un piano Marshall. Dal Pd non sono arrivate ricette organiche.
«Se mi consente noi avevamo cominciato a produrre fatti. Siamo in una fase particolare della vicenda meridionalistica, invece di combattere il divario si cerca di interpretarlo, con una certa facilità di tirare fuori parole come piani Marshall, agenzie, casse. Tutte cose che vogliono solo mascherare la rinuncia».
Ma, in concreto, che cosa bisogna fare?
«Occorre tenere fermo, per cinque-dieci anni, il credito di imposta sugli investimenti e l’occupazione aggiuntiva. Poi, premiare le amministrazioni che assicurano standard di servizi in linea con quelli erogati in altre parti del Paese. Infine, bisogna riprendere un tavolo di concertazione con le parti sociali e i protagonisti istituzionali per rimettere il Sud al centro delle politiche»
Fonte: Il Mattino - Antonio Troise | vai alla pagina » Segnala errori / abusi