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Dichiarazione di Giovanni Saverio Furio PITTELLA

Alla data della dichiarazione: Deputato Parlamento EU  (Gruppo: Gruppo socialista al Parlamento europeo) 


 

Conversazione sul Mezzogiorno.

  • (12 marzo 2009) - fonte: official web site - gianni pittella - inserita il 14 marzo 2009 da 31

    "Mezzogiorno a tradimento. Il Nord, il Sud e la politica che non c’è".

    E' in atto una pericolosa tendenza a dimenticare che senza nessun dibattito aperto una politica ancora fino a solo un anno fa, è ora praticamente in via di smantellamento, senza che nessuno, soprattutto tra i partiti politici e gli schieramenti stia veramente provando ad aprire un dibattito nuovo e complessivo sulle politiche di sviluppo per l’intero Paese, e di conseguenza sulle politiche di sviluppo per il Mezzogiorno. E’ utile, dunque, partire dalle conclusioni del meritorio lavoro di Viesti, e cioè che la questione meridionale è oggi una questione tutta politica. In altri termini, non c’è ancora molto che dal punto di vista degli strumenti tecnico-procedurali e di modelli di governance possa essere inventato. Sicuramente tutti gli strumenti possono essere migliorati, ma la questione centrale non è questa.

    La questione è appunto politica. Ma cosa significa che la questione è politica? In primo luogo che politicamente, nelle decisioni dei governi che si sono succeduti negli ultimi dieci anni, nessun ha rispettato degli obiettivi di spesa pubblica, da un governo dichiarati (è stato il Governo D'Alema a porre per la prima volta il tetto minimo di spesa ordinaria e aggiuntivo per il Sud al 42%) e da nessun altro modificati. Ma semplicemente da nessuno rispettati, senza che su questo si sollevasse un dibattito nel merito, anche in considerazione di cosa su questo ha poi significato in termini di risultati raggiunti o di esiti delle politiche aggiuntive destinate al Mezzogiorno dall’Europa e dallo stesso Stato. Dunque, un primo problema politico è di tipo nazionale, di conferma di previsioni programmatiche di bilancio dello Stato sistematicamente disattese. Le risorse aggiuntive sono dunque sempre state poi utilizzate per la gran parte come sostitutive di risorse ordinarie. Tuttavia la cosa più impressionante di questa situazione, protratta per circa dieci anni e a prescindere da chi era in un momento o nell’altro al governo del paese, è che nessuno la ha mai contestata come principio della programmazione della finanza pubblica, ma semplicemente nessuno ha sentito l’ ”obbligo morale” di rispettarlo, e nessuno ha alzato il livello del dibattito per rimarcarlo. Questo a conferma che il dibattito politico nazionale si è sempre più spostato sulla conquista o riconquista dell’elettorato del Nord, senza mai soffermarsi più di tanto sull’utilità dello sviluppo del Sud alla crescita dell’intero Paese.

    La presenza di una forza politica rappresentante dichiaratamente gli interessi di una sola parte del Paese ha contribuito enormemente a rafforzare questo atteggiamento che Anche il Centro-Sinistra ha da un certo punto in poi ha assunto come pilastro fondamentale della propria politica. Anche il dibattito interno allo stesso PD ha più volte enfaticamente rimarcato il disagio del Nord, lasciando implicitamente consolidare l’immagine di un Mezzogiorno-Gomorra nel resto del Paese, ma ancor peggio nello stesso Mezzogiorno. Questo atteggiamento ha probabilmente avuto soltanto l’esito di confermare una seconda ipotesi contenuta nel libro di Viesti, e cioè che alcuni ostacoli allo sviluppo del Sud sono poi anche all’interno dello stesso Mezzogiorno, “dai politici che interpretano l’azione pubblica principalmente come uno strumento di promozione di interessi particolari, individuali e di gruppo, e non collettivi”.

    Certo la situazione è abbastanza complicata. Dall’analisi accurata con dovizia di dati trattati, dalla descrizione della clamorosa frenata dell’economia italiana e in ogni caso del suo andamento più lento in Europa, e quindi da un Italia debole e sfiduciata, emergono uno dietro l’altro temi già noti a chi segue quotidianamente la questione meridionale. Dai dati sulla spesa in conto capitale a quella di parte corrente, ai temi oggi caldi del federalismi fiscale. Fino agli esiti della programmazione 2000-2006, con la frammentazione degli interventi, la questione dei tempi medi di realizzazione delle opere pubbliche, la qualità e l’efficienza delle pubbliche amministrazioni ancora insufficiente. Tutti elementi che hanno unanimemente la politica a concludere, probabilmente frettolosamente, che l’idea alla base della Nuova Programmazione lanciata da Ciampi nel 1998, non fosse il modo più efficace per favorire lo sviluppo del Sud. In altri termini, cercando la soluzione al problema non nella guida politica dell’attuazione di quanto programmato, ma nelle tecnicalità e nello strumentario messo in campo per attuare la programmazione. Risultato: il mancato sviluppo del Sud in questi anni è stato imputato ad un pezzo di classe dirigente responsabile della programmazione delle risorse aggiuntive e dal semplice suo smantellamento (anche questo bi-partisan) pensare di aver dato una risposta alternativa. Certo forse il gruppo che ci ha messo la faccia è stato abbandonato in fretta, troppo in fretta e senza una vera alternativa.

    Perché ad un certo punto la risposta alternativa è diventata la proposta di riaccentramento delle politiche di sviluppo per indirizzare le risorse su pochi chiari obiettivi di sviluppo, ma che l’analisi dei dati sul PON Trasporti 2000-2006 non ci fa molto rallegrare, o piuttosto che gli impegni mancati dalle grandi aziende pubbliche (FS e ANAS in testa) probabilmente non ci saranno ancora. In effetti, in questa fase il non-rimedio è sicuramente peggiore del presunto male. Perché in effetti non c’è nemmeno all’orizzonte una visione alternativa dello sviluppo equilibrato del Paese. Sotto gli occhi di tutti è lo shopping delle risorse aggiuntive per coprire buchi di risorse ordinarie, basti pensare alla copertura del buco di bilancio di Catania con risorse FAS, al taglio di risorse FAS indiscriminato, piuttosto che al sistematico assalto alla ripartizione territoriale vincolata delle risorse FAS sancita dalla Conferenza Stato-Regioni e da sempre accettata da tutti.Segnali inquietanti, aggravati dalle idee lanciate solo pochi giorni fa dal ministro per gli Affari Regionali Raffaele Fitto che propone ora, a 2009 iniziato, la revisione complessiva della programmazione 2007-2013, probabilmente orientato maggiormente alle elezioni regionali in Puglia del 2010 che non all’effettiva efficacia dell’attuazione dei programmi, passo conclusivo di un processo iniziato nel febbraio 2005. Tuttavia, nell’analisi lucida di Viesti, non sfugge, anche se poco trattato, quanto le Regioni e le Amministrazioni locali del Sud hanno mancato rispetto a quanto ci si aspettava da loro nella fase di redazione dei programmi. In particolare dalle Regioni. Queste probabilmente non sono riuscite a fare il grande salto di qualità che le ha viste protagoniste della programmazione, ma non altrettanto capaci di coinvolgere adeguatamente e corresponsabilmente le amministrazioni locali nella fase di attuazione, confinandole sempre ad un ruolo troppo subalterno, non valorizzando e premiando le differenze qualitative nell’azione amministrativa, privilegiando sempre l’attuazione diretta degli interventi anche con strutture poco adeguate agli impegni contabili, procedurali e amministrativi richiesti.

    Ma un altro grande punto sul quale le Regioni del Mezzogiorno hanno probabilmente fallito è stato quello di non essere riuscite a mettere in campo azioni coordinate tra di loro per la programmazione e realizzazione delle grandi infrastrutture di rete necessarie per il Mezzogiorno. I tentativi sono stati troppo timidi e il rapporto con i Programmi Nazionali è stato sempre troppo rivolto ad un territorializzazione della spesa da fare con il bilancino e non su obiettivi condivisi di sviluppo. I risultati sono sotto gli occhi di tutti e Viesti li evidenzia tutti. Il Sud è nell’immaginario collettivo ormai una parola negativa. Nessuno in questo momento tende a credere in un possibile sviluppo del Mezzogiorno, nemmeno i meridionali. La risposta della politica a tutto questo è semplicemente quella di aver cancellato il Sud dall’agenda politica del Paese. Quello che non è accettabile è che il partito democratico (con Franceschini stiamo avendo una positiva inversione di rotta) sia partecipe ad una fuga della politica dalle proprie responsabilità, o nell’alimentare una distinzione territoriale che si riflette nelle stesse strutture interne del partito. Più semplicemente resta da chiedersi perché le classi dirigenti regionali e locali dopo avvii sempre promettenti (si pensi alla stagione dei sindaci negli anni novanta, e poi a quella delle regioni a cavallo tra i due decenni) non sono mai riuscite a mantenere alta la tensione politica al cambiamento e allo sviluppo, ma sono troppo spesso, anche qui purtroppo in maniera bi-partisan, caduti nell’errore della gestione del potere tout court. Oggi il rischio più serio che corriamo è quello di aver bandito dal lessico politico alcuni concetti chiave come sviluppo locale, dimenticando che dietro questo concetto si cela la vita di una parte molto consistente del Mezzogiorno rurale e interno, per i quali l’offerta di servizi essenziali, poco legati forse alla cresciuta economica, ma decisivi per lo stesso presidio antropico del territorio. La “rassegnazione” politica su questi temi non ci fa neanche cogliere le cose positive che in tanti contesti locali sono accadute in questi anni: cluster di imprese innovative in luoghi nei quali nessuno avrebbe ami immaginato potessero svilupparsi imprese innovative, servizi di qualità alle popolazioni rurali, organizzazione territoriale per l’offerta turistica territoriale molto efficace. Ancor peggio se dall’altra parte vediamo lo sviluppo urbano del Mezzogiorno dominato dai temi di cronaca dell’ultimo anno: rifiuti, sistemi di potere consolidati, crimine organizzato incontrastato.Sul tema del Mezzogiorno la politica deve riappropriarsi del proprio ruolo. Essere guida responsabile, che converge sulle grandi linee di sviluppo e lavori per attuarle. Uno scatto di reni è necessario. Le disparità di sviluppo interne in un Paese non possono essere considerate un’anomalia irrisolvibile. L’Europa non ci dice questo. La politica di coesione è una politica europea e ha dimostrato che può generare molti risultati positivi. Già, ma forse anche l’Europa sta diventando un riferimento scomodo per la politica.

    Fonte: official web site - gianni pittella | vai alla pagina

    Argomenti: spesa pubblica, europa, mezzogiorno, questione meridionale, fondi FAS, Nord e Sud | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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