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(11 giugno 2008) - fonte: Camera dei Deputati - inserita il 15 giugno 2008 da 2761
Signor Presidente, il Governo con il decreto-legge in esame mette una «pezza» alla disinvoltura con cui il Presidente Berlusconi in piena campagna elettorale, ma anche dopo, ha compiuto una serie di azioni. Ha messo in fuga Air France, ha sollecitato Putin e Aeroflot (una società aerea che vive con i diritti di sorvolo di quell'immenso Paese), ha annunciato una cordata italiana sulle ali di un falso patriottismo economico (tra l'altro mettendo in mezzo perfino i figli) e ha soffiato sull'andamento speculativo del titolo Alitalia in borsa, sospeso tardivamente dalla Consob. Per questo motivo, oggi il Governo si trova costretto a continuare una strategia dannosa, illusoria e gravemente pesante per i contribuenti. Il Governo, così, costruisce una pericolosa deroga alle modalità di privatizzazione e consegna il gioco nelle mani di Banca Intesa - San Paolo, in pieno conflitto di interessi, sia per il ruolo avuto nella gara indetta dal Governo Prodi, sia per i rapporti in essere con il gruppo Air One. Ci dispiace per la Lega, il cui ordine del giorno in difesa di Malpensa è stato semplicemente accolto come raccomandazione dal Governo. Ieri, il collega Reguzzoni si è dato da fare per tentare di convincere il sottosegretario a tornare sui suoi passi. Si può dire, per la Lega, che è scattata la legge del contrappasso: la Lega rifinanzia Alitalia nel momento in cui l'azienda lascia Malpensa e viene meno ai suoi impegni. Noi dell'Unione di Centro possiamo esprimerci così, con una certa libertà, che è diversa da quella del Partito Democratico e dell'Italia dei Valori, perché eravamo critici anche nei confronti della procedura avviata dal Presidente Prodi. Per questo motivo, abbiamo potuto esercitare un'opposizione serena e non pregiudiziale, senza rigidità o ammiccamenti. L'onorevole Compagnon - che era il nostro «portabandiera» nel Comitato dei nove - ha presentato solo tre emendamenti, ma si trattava di tre emendamenti di natura sostanziale. Non abbiamo rincorso l'atteggiamento ostruzionistico di Italia dei Valori, ma sostengo anche che le polemiche di ieri in Aula nei confronti di Di Pietro non ci appartengono. Anche se la distanza dall'onorevole Di Pietro è rilevante, ricordo a coloro che hanno innestato queste polemiche che è come se essi mettessero in discussione le loro stesse radici, che affondano nella tradizione di un certo giustizialismo. Noi ricordiamo sia il cappio della Lega sia le monetine del Movimento Sociale. Non abbiamo la memoria corta e ricordiamo anche che la nascita di Forza Italia avvenne sul presupposto della discontinuità con la prima Repubblica; in seguito, Berlusconi, dopo i fatti di Napoli, si accorse che le cose potevano riguardare anche lui. Lasciamo stare, quindi, la storia passata, perché Alitalia, da tempo, andava sottoposta alla cosiddetta legge Marzano, la «ex Prodi», come è avvenuto per il caso Parmalat. Questa è la nostra posizione: non si sarebbe trattato di una liquidazione, ma sarebbe stata la premessa per una seria ristrutturazione industriale. Le ragioni sono diverse: l'andamento dei suoi bilanci degli ultimi dieci anni (specchio negativo di un assetto societario, finanziario e organizzativo non in grado di reggere la competizione crescente, specie dei vettori low cost); la dispersione su due «mini hub», che ha generato costi addizionali; le perdite generate da rotte in competizione con mercati collegati ad hub molto forti come Francoforte, Monaco, Parigi e Amsterdam; la rottura del rapporto di fiducia con i mercati finanziari, pagato duramente da risparmiatori e contribuenti. Ce n'è per tutti: per il Governo Prodi e per i governi Berlusconi. Nel 1998 vi è stata una ricapitalizzazione aperta agli azionisti terzi per 3.000 miliardi di lire; nel 2002 vi è stato un aumento di capitale per 1.432 milioni di euro; nel 2004 un prestito-ponte di 400 milioni di euro; nel 2005 un aumento di capitale per 1 miliardo 6 milioni di euro e il ricorso al mercato obbligazionario per oltre 500 milioni, con la promessa dell'utile nel 2006 (quell'esercizio si è chiuso in rosso per 626 milioni di euro: è stata operata, pertanto, una clamorosa «fregatura» nei confronti dei risparmiatori che, ahimè, hanno creduto a quelle promesse). Un mercato relativamente povero è un contesto sfavorevole, con il petrolio a oltre 130 euro al barile e il cherosene che ne risente. L'azienda è tuttora costretta ad esercitare attività senza alcuna base di competitività, accumulando perdite; la flotta è in parte obsoleta e frammentata su macchine di diverso tipo, con complessità di manutenzione e di gestione degli equipaggi; il costo del personale navigante è superiore di oltre il 50 per cento rispetto a quello degli altri vettori nazionali. La gestione del personale è fortemente sindacalizzata o politicizzata, con vincoli contrattuali che non consentono ai migliori o ai più meritevoli di affermarsi in tempi brevi. La proliferazione delle sigle sindacali ha creato conflittualità anche su questioni di scarso valore strategico, generando perdite per l'azienda. Persino l'assunzione di piloti dall'esterno è preclusa per contratto, così come l'assunzione di personale etnico per i voli verso l'Oriente e l'Africa è causa di gravi tensioni sindacali. Dunque, cari colleghi, senza una profonda e rigorosa ristrutturazione, che solo una procedura straordinaria può consentire, non si materializzerà nessuna seria cordata. Finora i capi azienda che l'hanno tentata sono stati avvicendati: sono dieci in una dozzina di anni. Quando si annuncia un piano industriale e lo si minaccia, qual è la soluzione che si adotta? Si cambia l'amministratore delegato. L'Unione di Centro vota contro questo decreto-legge per la pericolosa sospensione delle regole di privatizzazione, per l'irrompere di conflitti di interesse e per il contrasto con l'Unione europea, che avanza rilievi fondati di infrazione per aiuti di Stato. Il Governo si illude che la «luna di miele» lo preservi dalla severità del giudizio che accompagnerà questa operazione fallimentare e Tremonti si illude che basti richiamare Colbert per innestare un sano patriottismo economico. È un grande pasticcio del quale finirete per assumere la responsabilità complessiva, anche per quella parte che, in fondo, non vi competerebbe. Quando le promesse elettorali, sganciate dall'interesse generale, inseguono interessi particolari, prima o poi si rivoltano contro chi le avanza. Pur di vincere, si è capaci di promettere cose che fanno male al Paese e per questo richiamate una lealtà con gli elettori che evidenzia, in definitiva, una scarsa cultura di Governo. Il nostro dissenso corrisponde alla denuncia di questo rischio che sta correndo il nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Unione di Centro e di deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori - Congratulazioni).
Fonte: Camera dei Deputati | vai alla pagina » Segnala errori / abusi