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Dichiarazione di Emma BONINO

Alla data della dichiarazione: Senatore (Gruppo: PD)  - Vicepres. Senato  


 

Militanza

  • (12 maggio 2011) - fonte: dal libro Parola di Donna - inserita il 15 maggio 2011 da 862

    Militanza, militante: sono termini che richiamano strettamente il linguaggio militare. Il Grande Dizionario Hoepli definisce militante colui “che fa parte di una milizia, di un esercito”. Leggiamo su Wikipedia, che “il termine militante è utilizzato per etichettare individui e organizzazioni impegnati in uno scontro (fisico e verbale) molto aggressivo a causa di un ideale. La parola , però, anche associata a chiunque sia portatore di una visione ideale molto forte (per esempio militante cristiano, ateo). In alcuni contesti, militante è usato come sinonimo di terrorista”. Come aggettivo lo si ritrova unito a ogni genere di definizione politica: c’è l’antifascismo militante come la femminista militante, ecc. Stranamente, il notissimo “Dizionario di Politica” cui hanno dato mano tre esperti come Bobbio, Matteucci e Pasquino non registra il termine. Eppure, quando l’opera uscì, nel 1976, il concetto di militanza era profondamente calato nella realtà, quanto meno italiana, in tutte le accezioni sopra menzionate, fino a quella di “terrorista”.

    Devo dire che nessuna di queste definizioni mi interessa: non credo in un’attività politica di per sé “aggressiva”, anche se al servizio di un ideale. Penso che, così inteso, il termine sia strettamente collegabile a una concezione della politica che guarda al partito di modello europeo di ieri, quando all’individuo si chiedeva di identificarsi con il partito-chiesa, quello che esige un’adesione totalitaria, fideistica, ai propri programmi e un impegno a tempo pieno, dal mattino alla sera. Questo tipo di militanza è ancora un riflesso storico, se non una matrice, della concezione stacanovista del lavoro tipica di un paese totalitario. Mi interessa di più il termine “attivista”, meno legato a una ideologia guerresca. Nel sistema politico americano, er dire, l’attivista è persona che dedica una parte del suo tempo, soprattutto nel pericolo elettorale, per dare una mano alla campagna del candidato della propria costituency, o comunque da lui preferito. L’attivista americano può anche impegnarsi in attività nonviolente, che richiedono dedizione ma non esigono una concezione aggressiva dell’iniziativa. Quando la campagna è terminata, quell’attivista torna alle sue occupazioni, al lavoro o allo studio. In questa dimensione, l’attivista esprime un’adesione ricca e fattiva ai propri ideali civili, alle proprie convinzioni, però non in maniera totalizzante ed esclusiva.

    Certo contraddittoriamente con quanto ho detto finora io sono stata, e mi considero tuttavia, una militante, se così si vuole, del mio partito, il movimento o galassia radicale. Sicuramente mi sono impegnata in modo completo (forse a volte anche totalizzante) nell’attività politica così intensa. So dunque di essere in contraddizione con quanto detto finora. Ma ho anche una convinzione profonda: che nel partito – o nella galassia – radicale ciò che più viene chiesto all’iscritto, all’aderente o anche al simpatizzante, è il continuo affinamento degli strumenti conoscitivi, la continua rielaborazione delle analisi, la ricerca attenta degli strumenti e dei mezzi per affermare il programma annuale stabilito in congresso. Il radicale militante è quasi sempre per definizione, un possibile candidato agli incarichi di partito e perfino nelle istituzioni, non solo una persona dedicata ma condannata ad essere subalterna alle scelte e alle indicazioni delle gerarchie partitiche. Nei partiti totalizzanti europei, al militante non si richiede altro che una obbedienza o una capacità di servizio senza confini, mentre nell’esperienza radicale può succedere – è successo – all’ultimo dei militanti di essere chiamato a responsabilità direttive. Io non ho dovuto quasi mai pormi il problema della militanza, se non tra luglio 1974 e novembre 1975, quando da normale cittadina insegnavo e intanto andavo da volontaria all’AIED e poi quando davo una mano al CISA. Quasi subito è arrivato l’arresto, il trasferimento a Nizza, eccetera, e la richiesta di Spadaccia – al congresso di Firenze del 1975 – di trasferirmi a Roma nella segreteria radicale. In definitiva, nella galassia radicale, ciò ce interessa sviluppare è la coscienza, più che l’attivismo. Noi chiamiamo militanti quei pensionati che versano l’altissima quota di iscrizione, quei cittadini che isolati nel loro paese o città, cuciono quotidiani tessuti di rapporti civili e sociali nei quali essi vengono individuati come radicali, appunto, innanzitutto per la consequenziarietà dei loro atteggiamenti.

    Un’ultima, breve, annotazione sulla militanza al femminile. Gli anni delle lotte per l’emancipazione della donna videro un formidabile scatenarsi di militanza di donne magari fino al giorno prima del tutto estranee alla politica. Non rinnego nulla di quelle lotte, di quelle militanti, di quelle battaglie, ma credo che oggi anche alla donna debba essere richiesta, più che una militanza a tempo pieno, la crescita di consapevolezza e di intelligenza politica perché, senza bisogno di quote rosa, salga a responsabilità sempre maggiori nella vita civile.

    Fonte: dal libro Parola di Donna | vai alla pagina

    Argomenti: Donne, donne e politica, Partito, Wikipedia | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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